Jaroslav Hasek con il suo soldato Sc'vèik riesce a creare il più grande anti-eroe della prima guerra mondiale.

“Ricorda Josef Lada illustratore dello Sc’vèjk che nel tempo in cui Jaroslav Hasek abitava presso di lui, per tutta la mattinata lo scrittore dormiva su un’ottomana poi, all’una, veniva nel suo studio e fino alle quattro i due amici se la spassavano fra canti e scherzi, dalle quattro alle sei Hasek lavorava, buttando giù di getto un racconto, un bozzetto, su un tema già pronto oppure creato all’istante, quindi  immediatamente a vendere in qualche redazione il più recente frutto della sua fantasia procurandosi in tal modo il denaro necessario per i divertimenti serali e notturni, che lo vedevano immancabilmente in qualche trattoria o cantina, attorniato da una schiera di amici gaudenti e bohémien al pari di lui. Altre volte Hasek scriveva in una birreria, in un caffè, e spediva qualcuno a portare il manoscritto fresco fresco a qualche periodico, per racimolare alla lesta i soldi occorrenti per saldare il conto. Le testimonianze circa la vena scorrevole dello scrittore sono numerose e concordi”.

 

Così nell’edizione Universale Economica Feltrinelli del 1963, il curatore e traduttore Bruno Meriggi, tratteggia la figura di Jaroslav Hasek (1883-1923), nella sua Introduzione al secondo volume de “Il buon soldato Sc’vèik, al fronte”. E non possiamo che partire dalla mente che sta dietro al romanzo e all’eroe che in esso si muove per affrontare quella che è una strepitosa opera dell’umorismo novecentesco europeo. Il Buon soldato Sc’vèik (suddiviso nella sua prima edizione italiana in tre volumi: vol. I Il buon soldato Sc’veik; vol. II Il buon soldato Sc’veik Al fronte; vol. III Il buon soldato Sc’veik Botte da orbi e Ancora botte da orbi, ma reperibile anche in edizione compatta in qualsiasi libreria) non può essere letto e compreso a pieno, se non si conosce almeno di sfuggita le vicende del suo autore.

 

Jaroslav Hasek è un letterato sui generis che non poggia le basi su solide conoscenze letterarie e culturali, ma che al contrario vive col popolo e nel popolo, frequentando osterie e cantine e morendo proprio a causa di una sbornia. Hasek è un mistificatore che si prende gioco delle autorità e delle convenzioni sociali come dimostrano la fondazione del fantomatico quanto inconcludente Partito del progresso moderato entro limiti della legge, col quale si presentò alle elezioni praghesi al solo scopo di prendersi gioco dei partiti cosiddetti seri; oppure la sua attività in riviste di opposte ideologie arrivando a polemizzare con lo pseudonimo di sé stesso. Senza poi dimenticare la sua attività come propagandista nelle Russia post-rivoluzionaria alla quale si era legato, in seguito alle vicende della prima guerra mondiale alla quale aveva in effetti partecipato, finendo prigioniero. È solo da un personaggio del genere che poteva nascere un eroe “idiota” e sconclusionato come Sc’vèik, suo alter ego letterario.

 

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Jaroslav Hasek, autore de Il buon soldato Sc’vèik

 

Sc’vèik è un bonario soldato ritenuto inadatto alla vita militare, perché giudicato da un’apposita commissione troppo imbecille, che soffre di reumatismi e che si guadagna da vivere allevando cani bastardi, vendendoli come di razza dopo aver inventato le loro genealogie e pedigree. Non ci si aspetti però un personaggio maligno e approfittatore. Sc’vèik appare sempre con la sua faccia bonaria e col suo sguardo tranquillo che spiazzano l’interlocutore, esegue gli ordini pedissequamente e si muove nella convinzione di servire l’imperatore d’Asburgo. Il romanzo, rimasto purtroppo incompiuto a causa della morte dell’autore, inizia con l’assassino di Ferdinando d’Asburgo, siamo dunque alle soglie della prima guerra mondiale, e dipinge nel migliore dei modi la farraginosa impalcatura di un impero centrale che si sta sgretolando. Fra le righe si possono infatti intercettare quelle che sono le tensioni intestine a un impero che accoglieva al suo interno diverse nazionalità ed etnie, i cui soldati sono peraltro più preoccupati di soddisfare il proprio stomaco che di combattere per la patria. La critica si fa poi feroce nei confronti dell’apparato burocratico e giudiziario, composto da incompetenti e fannulloni.

 

“L’apparato giuridico era veramente magnifico quale non può esistere altro che in uno stato alla vigilia della sua decadenza totale, politica, economica ed etica. Lo splendore della potenza e della gloria trascorse veniva conservato a forza di tribunali, polizia, gendarmi e d’una banda prezzolata di delatori”.

 

Sc’vèik passa infatti da presidi di polizia, carceri, manicomi, scambiato per spia o disertore e ne esce sempre magnificamente, spesso con la pancia piena e il suo sorriso bonario, accettando ed eseguendo gli ordini impartiti o gridati da superiori incapaci e dediti ai peggiori vizi. Sc’vèik non è un ribelle, gli basta seguire alla lettera gli ordini che gli vengono impartiti perché tutto vada a rotoli. La maggiore preoccupazione che pervade i personaggi del libro è quella di riempirsi la pancia di gulasch e buon cognac e fare baldoria.

 

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Un francobollo dell’URSS dedicato al buon soldato Sc’vèik

 

Le tirate fortemente ironiche e sprezzanti di Jaroslav Hasek non risparmiano neanche la chiesa impersonata soprattutto dal cappellano militare Otto Katz, che si ritrova per convenienza più che per vocazione a svolgere il suo ruolo ed è infatti pieno di debiti a causa del suo alcolismo e della sua dedizione alle donne. Per avere uno schizzo del personaggio di cui Sc’vèik sarà attendente basti citare questa sua predica, pronunciata durante la messa:

 

“Di tutte le dilette/la più cara è la mia:/ma io non ci vo solo/(sarebbe una bugia):/da te viene uno stuolo/d’amanti, o mia diletta,/o Vergine Maria!”.

 

Sc’vèik passa per le più disparate avventure divenendo attendente del tenente Lukas che fa ammattire con i suoi, “faccio rispettosamente notare signor Leutnant” e le varie storielle reali o inventate a modo di esemplificazione di qualsiasi situazione in cui si viene a trovare. E se qualcuno gli fa notare che è “un completo imbecille”, questa è una delle sue risposte. “Faccio rispettosamente notare che in verità io stesso, talvolta, ho osservato che sono un po’ deficiente, specialmente verso sera…”. Ma non sempre il buon soldato è un mero esecutore di ordini. Quando la situazione precipita sa anche come arrangiarsi, prendendo iniziativa e menando le mani, come nella rissa in cui è coinvolto con l’amico Vodicka, con il quale si lascia dandosi appuntamento alle sei dopo la guerra, al massimo le sei e mezzo, all’osteria del Calice (vecchia birreria ancora esistente a Praga).

 

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L’interno dell’Osteria del calice a Praga, che omaggia i personaggi di Jaroslav Hasek

 

Tra i personaggi più significativi c’è poi il mangione Baloun che quando è affamato ha gli occhi sgranati “così guardavano forse i cannibali, con l’acquolina in bocca ed avidità, allorché dal missionario arrostito allo spiedo, cola giù il grasso, effondendo un delizioso profumo di strutto”. C’è poi il volontario con ferma annuale Marek, che ha il compito di scrivere la gloriosa ed eroica storia del battaglione di cui fa parte Sc’vèik e che si avvantaggia nel tragitto in treno inventandosi come sarebbero andate le vicende belliche. Abbiamo anche il sottotenente Dub, convinto che Sc’vèik “finga di essere uno scemo per coprire sotto il mantello dell’idiozia le sue mascalzonate”, ripetendo come un disco rotto “tu ancora non mi conosci, ma vedrai quando mi avrai conosciuto…”.

 

E questa è solo una piccola parte dell’esercito di personaggi e macchiette create dalla mente di Jaroslav Hasek, e non me ne vogliate se ve ne ho presentato di sfuggita alcuni, è solo un tentativo di invogliare qualcuno a leggere un libro che ha il grave difetto di essere incompiuto. E la guerra? Se ne parla nel libro? Diciamo che se siete amanti di sangue e ammazzamenti, declinate l’invito alla lettura… ma se volete ridere con il faccione simpatico di Sc’veik e con tirate sferzanti e argute che sottolineano l’inutilità dell’atto bellico stesso, allora consolatevi con questa immagine di una zona di combattimenti vista dagli occhi della Mannschaft dal treno che dovrebbe portarla al fronte e che racchiude nel migliore dei modi quella maniera giocosa di Jaroslav Hasek nel dire cose profondamente serie.

 

“E poiché da quelle parti erano passati gli eserciti accampandosi nei pressi, tutt’intorno si scorgevano dovunque collinette di escrementi umani di origine internazionale, lasciati dalle varie nazioni dell’Austria, della Germania e della Russia. Questi escrementi di tutte le nazionalità e di tutte le confessioni religiose stavano gli uni accanto agli altri oppure si accatastavano senza per questo azzuffarsi”.

 

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Una statua del buon soldato Sc’vèik a Humannè

 

Se questo non vi è bastato permettetemi di aggiungere una postilla del tutto personale che riguarda il modo rocambolesco (come poteva essere altrimenti per un libro del genere) grazie al quale sono venuto a conoscenza dell’opera. Penso che a volte i libri abbiano qualcosa di magico, qualche assurda e imprevedibile coincidenza li fa materializzare sotto i nostri occhi e va così che un libro trova il suo momento per balzar fuori dalla biblioteca dello scibile umano e trasformarsi nel nostro oggetto di evasione e passione. Un giorno un mio collega, e appassionato lettore, durante una pausa caffè mi parlò in toni entusiastici di questa opera e del suo autore, che mi ripromisi di cercare al più presto. Il giorno dopo, in una delle mie lunghe passeggiate col cane, mi ritrovo in una piazza di Firenze, con soli 2 euro in tasca, a curiosare in uno scatolone di libri usati, che le cartolerie a volte mettono all’ingresso del negozio. Ebbene, nel mare magnum dei libri a 1 euro, fra i quali dominavano per presenza numerica gli Harmony, vedo spuntare i primi due volumi de Il Buon Soldato Sc’vèik, con tanto di illustrazioni e per giunta in ottime condizioni. Estasiato per la scoperta chiedo alla commessa il costo dei due volumi, pensando che fossero finiti lì per sbaglio e scopro che invece il mio patrimonio era sufficiente. Esco con il mio miglior sorriso e con la consapevolezza che a volte sono i libri a cercarti o i cani a portarti da loro, dipende dai punti di vista.

 

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