Non il miglior libro di José Saramago, ma sicuramente un ottimo prodotto.

A quattro anni dalla cecità bianca un altro evento straordinario colpisce la medesima città. Dopo l’attacco a uno dei cinque sensi, l’affronto stavolta è nei confronti della democrazia, quando alle elezioni politiche si assiste a un’ondata di schede bianche, ben l’83%. Anche qui la situazione è grottesca e paradossale, con il governo che prende delle misure per proteggere il paese dal possibile dilagare della malattia che sembra aver colpito la città, screditando i vertici della politica. Nel Saggio sulla lucidità, Saramago riprende una caratteristica a lui cara, cioè la situazione di spaesamento e di tutti contro tutti già vista in Cecità e nelle Intermittenze della morte. Qui però la reazione della popolazione, va in una direzione imprevedibile che rispecchia quell’indifferenza che aveva caratterizzato la scelta del candidato nelle cabine elettorali. Saramago non sembra neanche considerare come straordinaria la reazione del popolo della scheda bianca, dando l’impressione al lettore che quei cittadini siano in realtà un grande corpo sonnolento, per niente intimorito dall’abbandono in cui è caduto e per niente preoccupato degli atti sovversivi che il governo mette in scena per poi scatenare la caccia al colpevole. All’interno del governo si vede come l’ambizione e la voglia di primeggiare guidi le azioni di premier e ministri. Verso metà racconto ecco il raccordo fra i due romanzi e con la donna che in Cecità non era stata colpita dal morbo che entra prepotentemente in scena. Da qui le indagini di investigatori, le ricerche senza costrutto, i sotterfugi che il governo cerca di mettere in scena e l’enigmatico uomo con la cravatta a pallini. Di fronte all’insubordinazione del commissario pentitosi viene fuori l’anima del popolo della scheda bianca, che con un’azione imprevedibile fa capire di esistere. Il governo non possiede certo un’indole arrendevole e come tutti i governi è restio a fare il mea culpa… e allora come reagirà?

 

A voi la lettura di questo romanzo, ben scritto e abbastanza avvincente, in cui personaggi, come in Cecità, non hanno un nome, ma sono nominati per il mestiere o per una loro caratteristica, i dialoghi sono interpuntati con una virgola e creano spaesamento e, se in Cecità questo poteva essere giustificato dal voler trasmettere la cecità al lettore, qui pare più affettazione. Interessante è invece come da questa situazione paradossale Saramago voglia tratteggiare una realtà ben viva nel mondo in cui viviamo, cioè la completa disaffezione verso la politica. Una politica subdola, arrivista e autoreferenziale; una politica e un governo in fondo non essenziali alla vita in società, o almeno di questa società che si lascia scivolare addosso con indifferenza e pacatezza tutti gli affronti e i soprusi, una società in cui a governare è il potere che la censura esercita su di essa. Che sia questa indifferenza, dopo le sommosse e le rivoluzioni, l’arma necessaria per fondare una nuova società? O è questa stessa indifferenza che ci farà cadere nelle grinfie di approfittatori e arrivisti, uscendone sconfitti? Alla fine non si capisce chi ha vinto perché la storia della nostra modernità è ancora da scrivere.