La puttana dagli occhi tristi. Un uomo solo cerca conforto in una birra in un locale. Qui incontra un uomo che gli parla di un club dove si può dormire con una sconosciuta.

In quel periodo mi sentivo molto solo. Girovagavo per le strade di Tokyo senza meta, come un cane impaurito in cerca di chissà cosa. Era una sera d’inverno, fuori c’erano circa zero gradi e me ne stavo con le mani in tasca ripensando all’ultima volta che avevo fatto sesso.

Erano passati circa due mesi dall’ultima volta, con quella ragazzina rimorchiata in un ristorante al diciottesimo piano. Diciotto come gli anni che doveva avere. Ma che importava?
Ne avevo compiuti trentasei da pochi giorni, ma addosso sembravano sessantatre come quelli di mio padre.
Credevo che quella ragazzina avrebbe potuto risollevarmi con la vitalità tipica degli adolescenti, ma mi sbagliavo. Scopare con lei mi sembrò un inutile sforzo, una pratica insulsa, una perdita di tempo, un po’ come pagare le bollette all’ufficio postale. Qualche giorno prima ero andato con una puttana e se devo essere sincero non saprei dire quali fossero state le differenze, tranne che ad una ho dovuto pagare due drink in un locale mentre all’altra 15mila yen per una scopata.
Mi staccai dal filo dei ricordi per guardare una vetrina di un negozio che aveva colpito la mia attenzione con delle luci al neon più violente del solito.
Era un negozio di apparecchi elettronici, che scintillavano in tutto il loro splendore tecnologico abbagliando le facce dei clienti, rapiti dal cellulare di ultima generazione o dal robottino Spazza e Gioisci. Il boom degli Spazza e Gioisci mi aveva sensibilmente sconvolto. Innanzitutto per quel nome che violentava la mia psiche giorno dopo giorno, ma anche perché non riuscivo a credere che la gente fosse diventata così sfaticata da non volere alzare il culo neanche per spazzare.
Dopo un attimo di smarrimento riuscii a riprendermi da tutte quelle luci e da quelle urla impazzite.
I saldi facevano proprio un brutto effetto.
Continuando a camminare vidi un bar che trasmetteva tutta la mia disperazione, per questo ne fui attratto come dal canto di una sirena.
“Una birra” chiesi al barista.
“Che birra vuole?”.
“Una qualsiasi”.
“Asahi?”.
“Pfff…va bene”.
“Sempre questa birra del cazzo, eh!?” esclamò una voce alla mia destra.
Girandomi notai un giapponese minuscolo dai capelli a spazzola e qualche pelo a mo’ di baffo che lo faceva sembrare una vera e propria carpa.
“Non le piace? Eppure è giapponese”.
“Mi ha davvero rotto le palle. Asahi di qui, Asahi di là, non se ne può più. Gliela spaccherei in faccia se potessi…”.
Quell’uomo era una vera bomba ad orologeria, aveva così tanta rabbia addosso che un bel giorno sarebbe scoppiato…e quel giorno non sarei voluto essere il barista davanti alla sua faccia nemmeno per tutto l’oro del mondo.
“Anche a me ha rotto le palle. Ficcatela in culo questa Asahi!” dissi al barista per eccesso di conformismo.
“Sei anche tu di Akihabara?” mi chiese il soldatino dai baffi di carpa.
“No…in realtà ci sono finito per caso. Non mi piace. Troppe luci, troppi negozi da nerd. Tutte quelle canzoncine dei cartoni animati, quegli articoli per adulti…insomma è un po’ un quartiere di depravati…”.
“Anime”.
“Cosa?”.
“Si chiamano anime non cartoni animati”.
“Lo so amico. Anime, cartoni animati, cose del genere sai?”.
Ci fu un momento di silenzio in cui pensai che da un momento all’altro avrebbe potuto spaccarmi la faccia con quella maledetta Asahi, ma per fortuna mi sbagliavo.
“Sai nulla dei Soineya?” mi chiese con fare furtivo.
“Cosa sono, una nuova setta?”.
“Non dire sciocchezze”.
“Nuovi cellulari?”.
“Non essere patetico”.
“E cosa sono?” chiesi stufo di essere bistrattato.
“Negozi dove si dorme insieme”.
“Che follia! Chi pagherebbe per dormire con un estraneo?”.
“Io per esempio”.
“…”.
“Ci vado almeno una volta a settimana…senza sarei spacciato”.
“Che vuol dire?”.
“Capirai amico, capirai” mi disse dandomi una pacca sulla spalla dileguandosi in un secondo.
Uscendo lasciò cadere un biglietto da visita.
Lo raccolsi e vidi che era un buono omaggio di un Soineya chiamato Yume.
Yume…ovvero sogno. Che lo avesse fatto cadere di proposito per adescarmi in una trappola spilla soldi? O semplicemente gli era scivolato di tasca per sbaglio?
“Ehi, ehi…dove è andato il nanerottolo del suo amico?” chiese il barista indispettito.
“Mio amico? Ma veramente io…” gli risposi catapultato improvvisamente fuori dai miei pensieri.
“Qualcuno dovrà pur pagare…”.
“Asahi del cazzo!” esclamai pagando il conto.
Uscendo dal bar guardai il biglietto per un’ultima volta, quasi a cercar conferma della cosa giusta da fare.
Fuori si era alzato un vento dalla grande voce che mi avrebbe potuto spazzare via da un momento all’altro tanto era gracile il mio corpo.
Attirato dal fascino del mistero decisi di incamminarmi verso il Soineya.
La curiosità era l’unica cosa che mi tenesse in vita, ma avrebbe potuto essere anche la mia rovina. Era una giornata di merda come tante altre, ero sicuro che peggio di così non sarebbe potuta andare.