Un viaggio ad Atene raccontato utilizzando i sensi del gusto, del tatto, della vista, dell'udito: dalla bellezza del Partenone alla gustosa feta fritta.

Atene è un regalo. Per me in ogni senso essendo la destinazione scelta dai miei amici per farmi passare qualche giorno di vacanza prima di buttarmi in quel limbo difficilmente etichettabile che separa il mondo universitario da tutto quello che viene dopo. Sono stato ad Atene, in Grecia, dal 14 al 18 maggio e questo è ciò che ho sentito.

Sulla pelle. Atene nel mese di maggio è calda. Il vento che soffia dal Pireo e che si inoltra nelle strette vie della città ti evitano di parlare del caldo con il tuo compagno o la tua compagna di viaggio. Solo a sera ti scopri pesce pagliaccio, un po’ perché sei disabituato a stare sotto il sole, un po’ perché quel vento dal Pireo un po’ ti frega. Camminare intorno alle rovine del Partenone ti fa venire voglia di indossare sandali, figurarsi che fine farebbe un bastone da selfie. La storia ti sbatte in faccia con la polvere sollevata dalle folate di vento. Eppure la mitologia greca mi piaceva. Ah si, l’ulivo. Il dono che Atena fece alla città per ingraziarsi il popolo che da allora non ha mai smesso di venerarla.

 

In bocca. Anche il cibo aiuta a non sentire il caldo, soprattutto se si evita l’agnello arrosto. Insalate, formaggi, le polpette di carne con il riso e l’immancabile feta. Ad Atene si gusta una cena deliziosa con una cifra che non supera i 15 euro. Noi avevamo trovato un ristorantino dalle luci soffuse (ah, scordatevi l’illuminazione pubblica) e con le cassette della frutta attaccate al muro a mo’ di mensole. La feta fritta accompagnata da una marmellatina leggera rimane la sensazione più cara provata in quei giorni.

Per gli occhi. È una città profondamente bianca, candida a perdita d’occhio. Non nasconde sotto il tappeto quegli stessi problemi che altrove si preferisce togliere dalla vetrina da mostrare ai turisti. Non esiste una linea dell’orizzonte se non quella rappresentata dal mare, ad ovest, e dalle montagne, ad est. Il resto è una domanda: perché non costruire in senso verticale? Semplice, per vedere da ogni angolo la collina del Partenone, i cui templi si diroccano allo sguardo man mano che ci si avvicina, passando per le viuzze aggrappate al pendio roccioso, un labirinto fatto di tavolini, aperitivi, cuscini sulle scalinate e stanze più che abitazioni.

 

La bandiera greca sventola appesa agli edifici pubblici accanto a quella blu con il cerchio di stelle dell’Unione Europea nonostante la crisi economica. Sembrano guardarsi a braccia incrociate, come due amanti che pagano il prezzo di aver fatto l’amore senza prima aver definito i rischi e le inevitabili conseguenze. Eppure, se c’è una cosa che Atene ha saputo tenersi è proprio l’estetica. E capirai – direte – l’hanno inventata loro. Sbagliato, non è per quello. Le forme classiche si esauriscono già poco più in là della collina del Partenone lasciando il posto alle linee chiare e sfuocate del vintage normalmente inteso. Non ci sono locali brutti, esistono solo cose del secolo scorso messe al posto giusto e accompagnate dalla modernità fatta in casa. Un equilibrio perfetto. E poi i fondi commerciali dalle parti del mercatino delle pulci, adibiti a cassetti delle cianfrusaglie tanta la merce accumulata e acquistabile con pochi euro. Colonne, non doriche, ma di libri, accatastati nelle vetrine e persi fuori da ogni forma di archivio. Le forme industriali delle vecchie fabbriche, oggi spazio dedicato all’esposizione e allo stare insieme, come il Tecnopolis.

Fin dentro le orecchie. Le auto. Gli artisti di strada. La musica dei locali, mai esagerata. Il canto del sacerdote ortodosso che accompagna i fedeli vestiti a festa la domenica mattina. Il brusio dei tifosi. Perché ai greci non piace schiamazzare, ma la finale di Eurolega tra l’Olympiacos e il Real Madrid merita più di uno scambio di battute.

È così che gli organi di senso ti raccontano Atene. Non mi ero mai spinto così tanto verso est. L’Europa sembrava così lontana, nei colori, nei suoni e nei sapori. Eppure, c’è un pezzo di mondo che viene da lì, dai Balcani fino allo Spagna. Atene è una madre paziente. Prende il sole aspettando i suoi figli, rinfrescata dal vento del Pireo.