L’amico speciale è un racconto che esalta l’importanza dell’amicizia.

“E’ un po’ picchiatello” dicevano i miei genitori.

“E’ un po’ picchiatello” dicevano i vicini.

Non sapevo cosa significasse, ma tutti me lo ripetevano in continuazione. 

L’unica bocca da cui non uscì mai era quella del mio amico speciale Alter.

 

Con lui mi sentivo al sicuro da tutte le avversità e sopratutto dalle malelingue che quando mi incrociavano per strada usavano mettere la mano davanti alla bocca per bisbigliare quella parola senza pronunciarla apertamente. Ma Alter no; lui era un amico con la A maiuscola, era la mia fortezza, era il falò che riscaldava il mio cuore nelle fredde giornate invernali, era il ragazzo che ascoltava tutti i miei pensieri più nascosti, i miei desideri impronunciabili, insomma era il mio unico amico. In autunno passeggiavamo nel vialetto dietro casa osservando con curiosità il cambiamento di colore delle foglie, con i miei genitori guardinghi alla finestra che parlottavano frasi come: “Uscire un po’ gli farà bene alla salute”, oppure: “Quando si renderà conto che quel suo amico non è davvero un amico a tutti gli effetti?”. Perché dicessero che non era un amico a tutti gli effetti non l’ho mai capito; forse perché ogni tanto spariva di colpo come nel cilindro di un prestigiatore, come quella volta che camminando per casa gli chiesi cosa pensasse dell’arcobaleno e lui non mi rispose, anzi, si prese addirittura la briga di nascondersi a mia insaputa mentre urlavo il suo nome a squarciagola in tutte le stanze.  Comunque, nonostante la sua brutta abitudine di sparire, posso dire che fino al momento della sua partenza sia stato più di un amico, un fratello mancato, un castello incantato, un treno con un posto in prima classe riservato solo per me. 

 

L’unica ferita che mi inflisse fu proprio quando partì senza dirmi nulla, scomparso come un sogno di mezza estate.

 

(Pubblicato sul Tirreno lunedì 20 agosto 2012)