Nati per essere Beat.

Era il 1952 quando il mondo conobbe ufficialmente la Beat Generation: “This is the Beat Generation” echeggiava il New York Times; ed era pure ora, anche se il vero spirito beat era stato partorito già anni prima, in tempi non sospetti, in sballi più remoti. È pur vero che ci sono centinaia di articoli, saggi, libri, recensioni e quant’altro che spiegano e raccontano fin nei minimi osceni dettagli la storia di una generazione che ha cambiato la direzione del vento e marchiato a fuoco la vera letteratura, quella con le palle, ma ora chi ha idea di cosa sia, di quale sia la vera letteratura? Chi sa cosa hanno fatto ‘sti tizi? Che lo chiedo a fare. Oramai nel 2016 i beats, i beatniks e tutto ciò che piroetta intorno a loro, sono perduti, per non dire castrati e scippati della loro storia… e quando parlo di storia non mi riferisco a quella nervosamente ripetuta ed etichettata delle droghe, tossicodipendenze, del sesso omosessuale e schizofreniche bevute: tutto questo era solo il contorno, abbondante, della portata principale sul tavolo del mondo. Ma spesso, il contorno è tutto ciò che riescono a vedere le piccole menti. “La poesia è rivoluzione” e “Il poeta è un barbaro sovversivo alle soglie della città che sfida costantemente il nostro status quo”: la storia beat non si può assolutamente riassumere e ridimensionare in qualche citazione, ma queste riescono certamente a lambire l’idea. Allen Ginsberg, Gregory Corso, William Burroughs, Lawrence Ferlinghetti e Jack Kerouac, sono la spina dorsale di quell’enorme corpo di giovani ribelli che urlavano sull’orlo del mondo, e forse alcuni di loro li avrete anche sentiti nominare, in mezzo a qualche ciancia, anche solo per sbaglio; gente che ci ha lasciato, oltre ai più bei romanzi e alle più belle poesie degli ultimi cento anni, le ceneri di una generazione da spargere tra le valli del Gran Canyon, ceneri sacre che sono di un’attualità spaventosa: il rifiuto della guerra e la lotta all’apparato militare-industriale; una nuova coscienza per l’ecologia; la liberalizzazione sessuale per i gay e per le donne; la fine della discriminazione nera; la depenalizzazione dell’uso della marijuana e delle droghe leggere; la liberazione della parola dalla censura; il rispetto per le terre, per i popoli e le creature indigene; l’evoluzione del “rhythm and blues” nel Rock and Roll e in forme d’arte più elevate, come hanno testimoniato i vari Beatles, Bob Dylan e altri; l’attenzione per quella che Kerouac chiamava “Seconda religiosità”, in grado di sviluppare una civiltà avanzata; la consapevolezza che l’idiosincrasia può rappresentare uno strumento d’opposizione contro i soprusi dell’apparato statale. Questa è, come la descrive Ginsberg, l’eredità beat, e mica roba da poco!

 

beat generation (2)

Carl Solomon, Patti Smith, Allen Ginsberg e William S. Burroughs

 

Dietro al sesso, la droga, al jazz e alle macchine da scrivere c’è qualcosa di più libero e selvaggio quanto profondo, un messaggio nella bottiglia finito sulla spiaggia del nostro Tempo che aspetta di essere recuperato.

 

Per Italo Calvino “il problema che la Beat Generation ha posto è come vivere fino in fondo la nostra natura umana in un mondo che sarà sempre più perfettamente artificiale”; un mondo da cui sarà difficile tornare indietro: che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria folle anima? Il punto è: una trasformazione del modo di stare al mondo. È abbastanza chiara l’antifona?