Sempre più persone "pubbliche" coprono il proprio labiale quando parlano. La storia di un futuro dove viene insegnata tale pratica a scuola.

“Tommaso…”

“Tommasoooo!”

Urlò la professoressa.

Tommaso, colto dalla professoressa in flagranza di distrazione, si guardò attorno timidamente muovendo velocemente i suoi occhi azzurri nascosti tra i capelli neri arruffati. Poi guardò in direzione dell’insegante che lo osservava con aria severa e rispose:

“Scusi professoressa ero distratto”.

“Si, l’avevo notato, cosa che non mi sorprende affatto. Su, adesso ripeti l’esercizio come lo stava eseguendo Luca”.

“Professoressa, non stavo guardando”.

“Che pazienza. Improvvisa! Dopo tre mesi dovresti essere in grado, o no! Dì quello che ti viene in mente…”

Tommaso ci pensò su, e di cose da dire ne aveva a iosa. Il problema era come dirle…utilizzare la tecnica giusta. Essere sicuro di non sbagliare. Se sbagliava, si sarebbe fatto di sicuro la lezione fuori dalla porta. Prese coraggio, tentò di ricordare tutti i movimenti corretti e poi, come se la potenza dell’inspirazione lo potesse riempire di eroismo esordì:

“Alla prof. gli puzza l’alito”.

Tutti lo stavano osservando. Solo una bambina, che stava al primo banco della fila centrale, fu l’unica a fare un espressione contrariata, scuotendo impercettibilmente la testa, da destra a sinistra e viceversa. Tommaso colse il disappunto e capì che qualcosa doveva essere andato storto: se aveva capito lei anche l’insegnante l’aveva fatto.

“Noooo!” Esclamò la docente, più con delusione che con rabbia mentre Tommaso si stava coprendo il viso con le mani. “Tommaso, non ci siamo. Non ci siamo proprio. Enrico, per piacere fagli vedere te come si fa”.

Enrico era seduto al secondo banco dietro la bambina che ancora adesso guardava Tommaso con occhi increduli.

“Paolo ha il papà che è un disoccupato fallito”

“Oooooh, bravo Enrico. Tommaso, ti prego, adesso esci dall’aula. Non ti devi permettere di dire certe cose in faccia all’insegnante. Vai fuori ed esercitati. Prova a ricordare come ha fatto Enrico”.

Tommaso, spostando leggermente il banco in avanti si alzò dalla sedia e, con lo sguardo basso e le cuffie ben posizionate, uscì sommessamente dall’aula. Se non avesse avuto le orecchie tappate, anzi se non avessero avuto tutti le orecchie tappate avrebbero sicuramente udito le parole con le quali Sibilla, la bambina che era seduta al terzo banco della fila di destra, aveva indirizzato tanto alla professoressa quanto a Enrico. Parole che non sarebbero state gradite a nessuno dei due ma che avrebbero trovato l’approvazione certa di Tommaso e di parecchi altri.

La classe era disposta su tre file: a sinistra c’erano quattro banchi, al centro tre e a destra altri quattro. Tommaso, come consuetudine vuole (il peggio in fondo), era seduto al quarto banco della fila di destra e Sibilla, stava seduta al banco davanti al suo.

Tommaso come fu fuori dall’aula chiuse la porta dietro di se e, velocemente, dopo essersi tolto le cuffie, si avvicinò il più possibile a questa per cercare di carpire se, e chi, lo stesse eventualmente schernendo. Dall’interno però provenivano solo rumori confusi, voci mischiate, poi, calò il silenzio e la voce di Sibilla emerse e coprì il resto: “professoressa, posso provare io adesso?”

“Certo Sibilla” rispose la professoressa.

Sibilla, che in matematica e geografia era una schiappa ma in questa materia era un portento guardò fissa l’insegnante e poi:” purtroppo cara professoressa a volte è proprio una stronza!”

La docente la fissava: lo sguardo vacillava tra perplessità e meraviglia. Strabuzzò gli occhi e disse: ”non ci credo. Hai già fatto? Sibilla sei un fenomeno! Ragazzi qui abbiamo un talento. Prendete spunto da lei. Brava, brava e ancora brava. Non mi sono nemmeno accorta che hai parlato. Hai un futuro, te lo garantisco!”

Adesso tutti la guardavano e Tommaso, da fuori, l’ascoltava. “Professoressa”, disse ancora ”posso provare un’altra volta”, “certo che puoi” rispose entusiasta la docente ”ma adesso per piacere” e si rivolse a tutta la classe “guardate tutti Sibilla e studiate ogni suo gesto”, “Sibilla quando vuoi puoi iniziare”. Sibilla più che l’insegnante sembrava stesse guardando Enrico, ma la traiettoria era la stessa e nessuno ci fece pertanto caso, si schiarì la voce e senza paura disse: ”Enrico lo sai che da oggi in poi tutta la scuola saprà che la notte dormi ancora con il pannolino?”.

Stavolta la professoressa non reagì allo stesso modo. Dapprima divenne paonazza, poi andò in iperventilazione e subito dopo iniziò a gridare “fuoriiiiiii, Sibilla esci da questa aula! Nessuno si prende gioco di me! Sei una stupida, fuori, fuori fuoriiiiiii”.

Sibilla a differenza di Tommaso si diresse verso l’uscita a testa alta, guardando negli occhi tanto la professoressa quanto Enrico che nel frattempo dalla vergogna si era messo a piangere. Come era venuta a sapere di quel dettaglio rimase un mistero: sulla sua veridicità invece, a ben vedere la reazione dell’accusato, non c’era ombra di dubbio. Del resto a tredici anni è alquanto disonorevole farsela ancora sotto durante la notte.

Tommaso aveva fatto appena in tempo ad allontanarsi dalla porta quando questa si aprì per poi richiudersi con malcelata violenza.

Si ritrovarono così entrambi fuori dall’aula. Perché Sibilla avesse voluto difendere Tommaso non fu chiaro: forse gli animi umani di tanto in tanto si ribellano alle ingiustizie più per istinto che per coscienza.

Si sedettero in terra lungo il corridoio, uno vicino all’altro, con le braccia che cingevano le ginocchia strette al petto. Tommaso guardò Sibilla che aveva lo sguardo perso nel vuoto: “Cosa hai fatto, perché ti ha cacciato anche a te?” gli domandò.

“Quello che sentivo di dover fare da tanto tempo: ho detto quello che dovevo dire senza dovermi nascondere”.

“Nooo…Perché l’hai fatto?”

“Perché qualcuno si deve opporre”.

“E chi l’ha detto? E poi opporre a che cosa?”

“A tutto questo. Abbiamo e stiamo continuando a perdere la dignità, un pezzo dopo l’altro. Ma tu ti rendi conto di quanto sia assurda questa materia?”.

“No, non la trovo assurda. La trovo difficile. Infatti, a differenza tua, io, non sono qui fuori per aver fatto il rivoluzionario ma semplicemente per incapacità”.

“lo so…ma non cambia molto. Siamo qui fuori entrambi no? Entrambi esuli da una classe che non curante continua a procedere nella sua lezione di pazzia. E tra l’altro, un po’ rivoluzionario secondo me lo sei pure te: non so cosa hai detto alla prof per farla incazzare tanto ma non lo avresti dovuto dire, non senza la certezza di riuscire ad eseguire in modo tecnicamente corretto l’esercizio”.

“Già…Ma a differenza tua io ci tengo però a riuscire nell’esercizio. Non voglio rischiare di perdere l’anno per colpa di questa materia”.

Nei due animi calò la quiete, le bocche tacquero. Pochi minuti sembrarono ore. Ognuno alla ricerca disperata del filo logico che li potesse portare fuori dal medesimo labirinto in cui si erano cacciati. Perché chi non riesce ad accettare una realtà è esattamente sullo stesso piano di chi non riesce a comprenderla. Forse, come presto arrivarono a capire, soltanto attraverso l’aiuto reciproco, il dedalo sarebbe stato risolto; se da una parte sapere dell’esistenza di due strade alternative per il raggiungimento di una medesima soluzione può essere di grande aiuto, dall’altra, avere coscienza di essere in due può fornire quello sprone necessario per iniziare il cammino. Fu così che Sibilla dopo aver capito di non essere sola decise di proporsi: “Io, se vuoi, posso aiutarti”.

“Davvero, lo faresti?”

“Si, perché no. Vieni a casa da me questo pomeriggio, e magari anche il prossimo. Mia madre ti può aiutare. Lei è bravissima, sa tutti i trucchi”.

“Perché? Che lavoro fa tua madre?”

“Mia madre è sorda, legge le labbra”.

*       *       *

Il laboratorio di comunicazione occulta si trovava al secondo piano dell’edificio scolastico. Le lezioni, si svolgevano, per la sezione B, tutti i martedì dalle 12:00 alle 13:30. All’ingresso dell’aula, alla destra della porta, c’era un armadietto di metallo basso, con serratura, la cui chiave era a disposizione dei docenti. All’interno, sul primo ripiano, erano disposte dentro due cassette di legno numerose cuffie; sul secondo ripiano invece c’era uno stereo. Le cuffie munite di grandi pon-pon aventi la funzione d’imbottitura insonorizzante, unite tra loro tramite un supporto rigido, erano collegate tramite Bluetooth allo stereo nell’armadietto. Durante la lezione tutti gli utilizzatori delle cuffie-pon-pon ascoltavano della musica a medio volume: sempre la stessa, Beethoven sinfonia numero nove.

Gli alunni, quando la professoressa entrò, erano tutti seduti e cuffiati. La prima cosa che fece fu quella di prendere le cuffie, dopo di che disse: “Buongiorno a tutti, tra pochi secondi avvierò la musica. Oggi interrogazione a sorpresa a meno che non ci siano volontari. Ce ne sono?”

Dal quarto banco, della fila di destra, la mano di Tommaso si alzò. Stessa cosa fece la mano di Sibilla dal terzo.

La professoressa lì guardò in modo severo. Erano due settimane che non li vedeva alla sua lezione. Ragione questa che li avrebbe comunque resi i più probabili per l’interrogazione a sorpresa. Fece un cenno con la testa e disse: ”Va bene. Inizia tu Tommaso. Appena senti la musica puoi partire”. Si accucciò e prese dall’armadietto un telecomando e lo azionò.

La nona sinfonia, opera in Re minore composta da Beethoven quando già completamente sordo, si diffuse tra gli studenti. Studenti resi sordi da una musica scritta per udenti da un sordo…

Tommaso si concentrò per qualche istante, chiuse gli occhi e nella mente risuonarono gli insegnamenti e i rimbrotti della madre di Sibilla: “…devi mettere le mani a conca, davanti alla bocca…”, “…nooo, non devi mettere la mano piatta, altrimenti chi ti sta a lato ti può vedere e il labiale si può capire!”, “…come pensi di poter far strada nella vita se non riesci a parlare in segreto in pubblico?”, “…Tommaso, la faccia non si deve muovere, il trucco è cercare di parlare con la bocca il più possibile chiusa, tipo i ventriloqui…”, “…la mano, la devi posizionare prima orizzontale davanti alla bocca e poi devi chiudere le dita su di essa…”, “…cazzo Tommaso, sei una rapa, gli occhi devono essere inespressivi, se ti guardi in giro si potrebbe capire a chi ti riferisci!”, “…allora, hai presente gli arbitri? I calciatori? I politici? Loro devono essere i tuoi maestri. Osservali e ripeti i loro movimenti…”, “…senti, adesso, non ti mettere a chiedermi anche tu perché, come fa quella debosciata di mia figlia, fallo e basta”, “…nooo, non puoi parlare apertamente alle persone, come ti viene in mente una sciocchezza simile?”, “…e se ci fossero telecamere? Se non copri i lati della bocca sei fottuto!”.

La voce di Tommaso risuonò nella sordità dell’aula: “Odio la lezione di comunicazione occulta. Tutti i miei compagni di classe, ad eccezione di Sibilla, sono delle pecore compresa la prof. che è una povera imbecille leccaculo delle istituzioni che rendono normale questo genere di comunicazione. Prenderei a calci in culo ad uno ad uno tutti quegli stronzi che utilizzano la mano per coprirsi quella fogna di bocca che si ritrovano iniziando proprio da lei cara prof”.

Sibilla aveva gli occhi sgranati, era l’unica ad aver scostato le cuffie dalle orecchie, l’unica a poter udire.

La professoressa andò in visibilio, fermò la musica: “non so come tu abbia fatto ma sei un fenomeno. Dieci e lode! Con il due che avevi sei arrivato a sei. Bravo, davvero bravo. Fate un bell’applauso a Tommaso tutti quanti”. Dalla cattedra dove era seduta, chinò la testa ed appuntò il voto sul registro. Subito dopo si rivolse a Sibilla: ”anche per te vale lo stesso, quando senti la musica puoi iniziare ma, mi raccomando, non ti azzardare a dire nulla senza aver messo la mano davanti alla bocca altrimenti questa volta ti faccio sospendere, intesi?”. Sibilla annuì con la testa. La musica partì: ”cara prof, non so come siamo giunti a questo punto. Perché qualcuno debba coprirsi la bocca per parlare non lo capisco. So però che è sbagliato, nessuno dovrebbe mai nascondere i propri pensieri dietro una mano, tantomeno le persone pubbliche, tantomeno le istituzioni. Mi vergogno di essere nata in quest’epoca. Mi vergogno di tutti voi. Un tempo era considerata maleducazione anche il solo parlare nelle orecchie mentre oggi, se parli dietro una mano vuol dire che sei una persona importante. Andate al diavolo”.

Sibilla, proprio mentre la professoressa stava per applaudirla, si alzò, prese per mano Tommaso ed uscirono.

La musica scritta da un sordo che non ebbe mai la possibilità di ascoltarla, dopo un primo generale stupore, continuò ad assordare chi poteva udire.