L'Eurhop Beer Festival e considerazioni varie.

Se intorno a voi ci sono praticamente solo maschi, quasi tutti con la barba, e quei pochi senza, o hanno la sfortuna di non averla o hanno da poco superato la maggiore età, allora vuol dire che state partecipando ad un festival della birra artigianale. Quello che mi sto apprestando a scrivere, con la speranza che vada d’accordo con quanto mi è stato richiesto, è un resoconto dettagliato dell’Eurhop Beer Festival, l’unica manifestazione birraia alla quale ho partecipato. In realtà le mie competenze in materia di orzo, luppolo, grano, avena, coriandolo, caffè, liquirizia, lamponi, ciliegie, albicocche, pepe, ecc. si fermano ai singoli elementi categoricamente separati al contrario di quello che ho potuto notare qui: difatti sono rimasto impressionato dalla quantità d’ingredienti utilizzati per produrre della ‘semplice’ birra. Vi assicuro, tra l’altro, che alcuni sono davvero bizzarri, ad esempio ho sentito dire che una brasserie (birrificio) molto nota, la Mikkeller imbottiglia Oatmeal Stout (ossia una stout, birra prodotta con malto d’orzo tostato, con una certa percentuale di avena) nelle quali viene utilizzato in fase di produzione il ‘pregiato caffè Kopi Luwak’, la cui particolarità è che viene recuperato dalle feci degli zibetti delle palme (una specie di furetto) dopo essere stato parzialmente digerito.

 

birra artigianale (4)

Zibetto delle palme

 

Pare, anche, che questi intrugli, che nemmeno un capo druido si azzarderebbe a dare alla più sega tra i combattenti, vadano a ruba; chiacchierando con un ragazzo giapponese con lo spiccato accento romano (da due generazioni residente alla Garbatella) sono venuto a conoscenza che la Sankt Gallen, famoso (non a me) birrificio giapponese, ha fatto della merda del pachiderma tailandese il suo ingrediente principale; a suo dire la Kono Kuro (nome di questa birra di merda) è una vera rarità: basti pensare, infatti, che per avere un kg di feci utilizzabili, bisogna far ingurgitare all’elefante otre 33 kg di caffè; e non so se mi fa più sorridere il pensiero di un elefante sotto caffeina o l’immagine del povero tailandese che, dagli escrementi monumentali del sovraeccitato animale, si ritrova a raccogliere chicchi di caffè semi digeriti; anche se a dire il vero ciò che mi fa sbellicare letteralmente è l’idea che ci sia qualcuno pronto a sborsare fior di quattrini per ingurgitare merda; questione, questa, che tra l’altro pone il lavoro del povero tailandese su un piano del tutto inedito rispetto a l’insieme di quei lavori in cui le condizioni possono violare i più basilari diritti umani. Difatti qui, chi ha la peggio non è chi rimesta nella merda come verrebbe da pensare ma coloro ai quali la merda è diretta perché c’è una sostanziale differenza tra il maneggiarla e l’ingoiarla.

 

birra artigianale (6)

Dalla merda alla birra

 

Il Festival si svolge al Salone delle Fontane dell’EUR, vastissimo quartiere romano che include, a detta di molti, tutta la sezione Sud di Roma (ossia prendi Roma, la dividi a metà e la parte bassa è EUR): è un’immensa struttura architettonica dell’epoca mussoliniana. All’esterno si erge un alto porticato prospiciente il quale si estendono per tutta la sua lunghezza tre vasche rettangolari scenograficamente arricchite da fontane decorate con mosaici. All’interno l’altezza del soffitto e la vastità dei locali (sono due, divisi al centro da un colonnato speculare a quello esterno) lasciano quasi senza fiato. Lungo tutto il suo perimetro, ad eccezione solo della parete comunicante attraverso alte porte con l’esterno, troviamo circa 40 chioschi, tutti forniti di personale rigorosamente sorridente e probabilmente alticcio. Da diverse documentazioni vengo a sapere che originariamente avrebbe dovuto ospitare la biglietteria dell’Esposizione Universale di Roma nel lontano 1942.

 

birra artigianale (7)

Eurhop Beer Festival

 

Per entrare, come ad ogni altro evento, occorre munirsi di un biglietto, questo ha un costo di 10 euro: ti da diritto a 3 gettoni blu (anche se nessun micro-birrificio – parola molto di moda per descrivere i birrifici artigianali – accetta gettoni dispari) e ad un bicchiere da 0,33 l che risulta impossibile oltre che disdicevole chiedere di farlo riempire con la stessa birra; sulla questione del bicchiere e della sua parziale mescita è opportuno però tornarci in seguito.
L’Eurhop Beer Festival è considerato da molti uno degli eventi dedicati alla birra artigianale più importanti dell’anno. Coinvolgendo oltre 40 birrifici provenienti da tutta Europa “fa di Roma una delle vere e proprie capitali del movimento continentale della birra artigianale”. Che il business della birra però sia in una fase del tutto nuova ed espansiva lo dicono i numeri: solo in Italia si moltiplicano di anno in anno gli eventi che hanno come protagonista la birra; solo per citarne alcuni, Birre della Merla (Alessandria), Beer Attraction (Rimini), IBF Milano, FrankenBierFest (Roma), Pils Pride, Arrogant Sour Festival (Reggio Emila), Birra del Borgo Day (Rieti), Isola Birra (Cagliari), Berghem United IndiPub (Bergamo), Villaggio della Birra (Siena), Fermentazioni (Roma), Birre sotto l’albero (Roma). A testimonianza di questa tendenza ci sono inoltre innumerevoli negozi che vendono esclusivamente birra, i così detti Beer Shop, ad un prezzo che si aggira intorno ai 15 euro al litro per le imbottigliature standard ma che possono arrivare a livelli ben più alti per prodotti invecchiati o comunque più rari.

 

 

Per cercare di accontentare il più possibile tutte le curiosità, in qualità di vostro corrispondente, entrai all’evento all’orario di apertura, ore 12:00, così da avere una giornata intera per reperire quante più informazioni possibili. Capii ben presto di trovarmi in un mondo con un linguaggio ed una contabilità tutto suo. Mi persi in una vastità di birre dai nomi fantasiosi (Liquid Hops,The Black Madonna, Lawrence of Arabica, Alt In The Family, Framboisette, Cuvée Foufune, Hot Night at the Village Breakfast Edition, Figu Morsica, Smoking Trojka, Kicking Mule, ecc.) e catalogate per stile con sigle e nomi indecifrabili (IPA, DIPA, APA, DAPA, Saison, Fruit, Sour, Grisette, Imperial Stout, Formhouse, Rye IPA, Blanche, Porter, RIS, Barley Wine, Lambic, Grodziskie, Altbier, ecc.) e mi ci volle più di un’ora prima di assaporare la prima birra; ciò anche in ragione del fatto che per farmi versare un bicchiere pieno mi occorsero più di venti minuti. La ragazza che stava dietro il bancone parlava un francese strettissimo che con il mio italiano altrettanto stretto non trovava alcun punto d’incontro e la questione sulla quale c’eravamo incagliati era la mia ferma volontà di farmi riempire il bicchiere e la sua statuaria incapacità di accontentarmi. Per dirimere la situazione arrivarono due suoi amici che non capendo la mia richiesta iniziarono a fare gesti allorché non trovai soluzione migliore che rispondere anch’io a gesti: così da un lato c’ero io che indicavo il livello al quale volevo arrivasse la birra e dall’altro loro che con occhio vacuo e languido sembravano inabissati nella più profonda disperazione per l’impossibilità di comprendermi. Alla fine fu coinvolta una ragazza canadese del banco a fianco che d’italiano non capiva nemmeno le sillabe principali “sì” o “no” ma che parlava un inglese perfetto che comunque non trovava punti d’incontro con il mio italiano altrettanto perfetto ma che in interpretazione dei gesti era una spanna sopra agli altri suoi colleghi: riuscii così per tre gettoni a farmi versare un bel boccale di birra (scoprii in seguito che l’unità di misura standard era due gettoni per mezzo bicchiere e che ogni gettone aveva un valore nominale di due euro). Solo dopo averla assaggiata capii che qualcosa in quella birra non andava: sapeva indiscutibilmente di vomito misto a pesche, ma mi guardai bene dal fare obiezioni. Decisi però di evitare come la peste tutti gli spillatori di quella birreria di cui mi annotai il nome: Cantillon. Durante la giornata appresi che quella birra non era strana ma era così che doveva essere. Mi spiegarono che quel tipo di birra, la Lambic, prodotta esclusivamente nella regione del Payottenland (sud-ovest del Belgio) ha la particolarità di essere fermentata spontaneamente senza l’aggiunta di alcun lievito ma esposta ai lieviti selvatici della valle della Senne e a batteri autoctoni. Questo processo da vita a questa birra dallo spiccato sapore acidulo. Gli intenditori mi spiegarono inoltre che tutti al primo assaggio avvertono questa somiglianza con il vomito ma che solo con ripetuti e ripetuti e ancora ripetuti assaggi, il tuo gusto si affina e da quello che ho capito inizi a manifestare piacere a degustare vomito.
Un consiglio che sento di dare a tutti poi, come vostro fedele corrispondente, è quello di riporre particolare attenzione anche ai minimi segnali di una futura minzione: come avvertite, anche se impercettibilmente, lo stimolo, correte il prima possibile alla più vicina toilette perché con la birra il passo tra sensazione ed urgenza è veramente breve. Non vi darei una direttiva del genere se fossero presenti water adeguati: in totale sono presenti due bagni uomo/donna, con cinque gabinetti ciascuno, ed un wc chimico installato fuori dal salone. Nelle ore di punta, con oltre 2000 birraioli, gli orinatoi sono dei veri e propri miraggi e ho visto più di una persona letteralmente tremare davanti alla porta esterna del wc chimico presente fuori dal Salone: wc chimico che verso ora di chiusura sembrava un’isola in mezzo all’acqua o piuttosto in mezzo a ciò che tutto si poteva definire tranne che acqua.
Anche per la fase ‘vitale’ di acquisto e gestione gettoni mi sento di dovervi fare alcune raccomandazioni:

 

1) la fila non esiste ma davanti a voi, nella saletta adibita alla vendita dei gettoni, si parerà una massa disordinata di barbe parlanti che si muovono in tutte le direzioni (credo che qualcuno passi la serata lì), alcuni addirittura fanno la fila a zig zag, altri camminano nel verso opposto, altri invece stanno fermi. Quello che dovete fare voi, se siete ancora sobri, è camminare in linea retta verso la cassa disinteressandovi di quanto vi accade intorno;

 

2) alla cassa non vi capiranno, se volete cambiare dieci euro, aprite tutte e due le mani e iniziate a salutare, esimetevi dal mettervi a urlare “dieciiiii euroooooo”, non serve;

 

3) i gettoni che vi daranno possono avere formati diversi: ci sono da un euro, da due euro e da cinque euro; se vi danno due gettoni per dieci euro non iniziate a dare in escandescenza, fidatevi sempre del/la cassiere/a;

 

4) dato che avrete il boccale di birra inserito in una sacchetta, consegnatavi all’entrata, appesa al collo, evitate di mettere i gettoni nel boccale, ve li potreste bere;

 

5) vi ritroverete sempre con un gettone che vi avanza, regalatelo.
Ultimi piccoli dettagli che non posso omettervi riguardano tavoli e sgabelli. Sono due i luoghi dove ci si può sedere: all’esterno sono disposti tavoli e panche dinanzi al colonnato, adiacenti alle fontane; all’interno sono collocati dei tavoli alti un metro e mezzo con sgabelli nella sala non comunicante con l’esterno. Tanto i tavoli che gli sgabelli possono diventare oggetto di furiosi litigi. Se potete, non sedetevi. Se vedete sgabelli vuoti, non lo sono, e pertanto non toccateli. Camminate, bevete, chiacchierate e divertitevi.

 

birra artigianale (3)

Collection beer

 

In merito alla quantità di stand e di birre è garantita la soddisfazione di ogni palato, anche del più semplice ed immaturo, come quello di chi scrive. Una volta trovati gli sciacquabicchieri potete davvero iniziare a degustare in libertà, scegliendo tra le oltre 80 birre offerte. In dotazione, oltre al bicchiere, ai gettoni ed alla sacchetta, viene fornito un catalogo con tutte le birre presenti, indicante costi e descrizione dove inoltre è possibile attraverso la compilazione di una specifica casella posta a fianco ad ogni birra, dare un giudizio su questa. Non credo sia umanamente possibile provarle tutte, anche perché alcuni fusti vengono spillati in gran segreto, ma soprattutto perché facendo un rapido calcolo, se davvero si cercasse di assaggiarle tutte bisognerebbe essere disposti a bere oltre 16 litri di birra in due giorni e mezzo e spendere oltre 250 euro; come dicevo è impossibile porsi tale traguardo a meno che non si voglia morire ma posso giurare di aver assistito a scene che lasciavano intuire che qualcuno l’obiettivo non lo trovasse poi così impossibile. Vi chiederete “Come si può fare?” Bè, la risposta non è tanto complicata e il sistema l’ho praticato in prima persona seguendo alcuni veterani della bevuta a scrocco (comunque si deve essere disposti a farsi versare soltanto degli assaggi e non bicchieri pieni come più volte ha tentato di fare il sottoscritto): la prima cosa che occorre fare è quella di avvicinarsi allo stand con fare molto interessato (evitate però stand stranieri), magari grattandovi la testa, poi il passo successivo è quello di fare complimenti al mastro birraio anche se dei suoi intrugli ancora non avete bevuto nulla, infine, e questa è la pietra angolare per la riuscita della strategia, dovete strabuzzare gli occhi sul nome della birra e porre con l’incertezza di un dodicenne davanti alla cassa del cinema, la seguente domanda: “questa (indicando lo spillatore) me la consigli? Posso assaggiarla prima?” In genere la risposa è sempre “sì” ma non dovete commettere l’errore di dire che vi è piaciuta, dovete sostenere che vi piace un altro tipo di birra che guarda caso è presente tra quelle da lui proposte. Vi assicuro che se attuate i quattro passi sopra descritti potete bere a volontà senza ricorrere a quei stramaledetti gettoni.

 

In 10 ore di permanenza al Salone ho degustato circa 35 birre e speso meno di venti euro. Ho valutato tutte le birre bevute e fatto tante amicizie. Ho assistito a scene deliranti, con tizi pronti a menare le mani per non perdere il proprio sgabello e per non perdere quelli vuoti accanto a lui (probabilmente erano di suoi amici dispersi nel caos birraio oppure più verosimilmente del tutto inesistenti), ho visto versare un boccale di birra scura e densa dentro un passeggino per fortuna vuoto per perdita di equilibrio, mi sono visto infine costretto a tornare a casa in autobus perché non avevo più cognizione di me stesso ne tantomeno di dove potessi aver parcheggiato la macchina tre litri di birra prima.

 

In conclusione sento di potermi spingere verso alcune considerazioni che ritengo del tutto personali: ho bevuto birra che sapeva di liquirizia, di caffè, di vomito, di vomito alle pesche, di vino, di whisky, di mango, birre amarissime e birre salate, insomma ho bevuto di tutto e mi sono meravigliato di quanto vasto fosse il mondo della birra. Non c’è confronto con quello del vino, perché tra un Montepulciano d’Abruzzo e un Sassicaia non è possibile riscontrare tutte quelle diversità che ci possono essere tra una lager e un’Imperial Stout e allora ho iniziato a formulare il seguente pensiero: che questa della birra artigianale fosse una regressione dettata dal consumismo? Il consumismo e la sua sete di prodotti può determinare, indipendentemente dal gusto, la ricerca di singolarità al solo scopo di vendere? Studiando a posteriori alcuni tipi di birra trovo fatti corroboranti la mia teoria: ad esempio la Stout ha come diretta antenata la birra Porter, venduta nel 1700: era una birra commerciale ed economica, in cui si utilizzava del luppolo e malto (Brawn Malt) al 100% che delineava spiccati sentori di affumicatura, una birra che mi sento di definire tradizionale che impiegava ingredienti altrettanto tradizionali. Oggi le Porter non sono più di moda al contrario delle Stout, che altro non sono che delle Porter un po’ più forti dove è possibile a differenza delle prime intrugliare a piacimento con qualsivoglia ingrediente al solo scopo di creare una bevanda unica. Il prezzo di queste (Stout, Irish Stout, Chocolate Stout, Oatmeal stout, Oyster Stout, Imperial Stout, Coffee Stout, Breakfast Stout, Milk Stout ecc.) sale vertiginosamente poi per diverse ragioni: in primo luogo questo è dettato non tanto dalla qualità dei prodotti utilizzati ma dalla scarsa quantità prodotta e in secondo luogo dalla possibilità, attraverso l’innalzamento del tasso alcolico, di conservarle e poterle invecchiare: così possiamo trovare Stout che vengono vendute serenamente ad un prezzo che varia tra i 15 e i 100 euro al litro. Includerei in questo discorso anche le Barley Wine, birre dall’antica origine e dal sapore dolciastro, più vicine ad un marsala che ad una birra: non è dissetante, va bevuta calda, ha una gradazione intorno ai 16 gradi.

 

birra artigianale (8)

Barley Wine

 

Questa tipologia di birra è quella soggetta al maggiore rincaro sul prezzo motivato soprattutto dal suo necessario invecchiamento. La Baladin (birrificio italiano) ad esempio produce la serie Xyauyù che al dettaglio non si vende a meno di 60 euro al litro. Sono birre che di birra non hanno praticamente più nulla, sono bevande alcoliche che spingono più al collezionismo che al vero piacere di bere. L’idea che continua a ronzarmi in testa è difatti che la cavalcata di questo business sia stata diretto non al prodotto ma al consumatore inteso come soggetto che per godere deve possedere e nel possedere deve avere la possibilità di differenziarsi, di sentirsi elitario. Non è un mistero che la ricerca del guadagno faccia leva sul consumatore attraverso qualsiasi strategia lecita e talvolta occulta ma in questo caso la regressione è talmente evidente da non poter non far venire dei dubbi. Se oggi sugli scaffali sono presenti soltanto alcune tipologie di birra la motivazione è che la selezione consumatore-imprenditore ha salvaguardato degli stili che nel tempo sono sopravvissuti per giungere fino a noi lasciando indietro prodotti meno idonei. Ad avvalorare questa tesi non posso non menzionare la così detta IPA, India Pale Ale: questa è una birra che veniva prodotta con il solo scopo di farla arrivare dall’Inghilterra all’India in condizioni bevibili (trasportata nelle Indie, la sua linfa vitale non si sarebbe guastata come le birra in bottiglia) attraverso l’innalzamento del tasso alcolico e di una ingente luppolatura che gli conferiva un sapore spiccatamente amaro; oggi è la birra chiara più di moda del momento, vuoi per il suo grado di amarezza (misurato in IBU) che fa molto ‘maschio’ chi la beve, vuoi per il particolare sapore che viene esaltato dall’utilizzo dei luppoli più disparati, ma in passato questa birra veniva confezionata al solo scopo di poterla trasportare per lunghi tragitti, non certo per la sua bontà.
In tal senso cito la regressione consumistica: la regressione verso prodotti persi dalla selezione consumatore-imprenditore possono oggi riprendere vita grazie esclusivamente al potere del consumismo e alla forza del marketing.