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La prima volta che mi sono avvicinata al lavoro dell’artista Danese Nikolaj Bendix Skyum Larsen, è stato all’inizio di questo anno accademico, durante una lezione tenuta dallo stesso presso Sotheby’s, a Londra. In quel momento il mio interesse per la video arte stava sempre più approfondendosi e fui immediatamente colpita dalla disinvoltura con la quale l’artista utilizzava la macchina da presa, per eseguire un ritratto sensibile ed accurato della realtà e le sue complesse sfaccettature. La sua naturale ed attenta analisi delle dinamiche orchestranti i rapporti umani trova infatti origine nell’ancora discusso fenomeno della globalizzazione ed al contempo ne studia gli effetti correlati: multiculturalismo, integrazione ed immigrazione costituiscono di questa ricerca le parole chiave e le intime relazioni d’amore ed amicizia tra individui ne definiscono i contorni. Nonostante questo, come Larsen ha specificato durante una nostra recente conversazione, la sua fissazione lunga una carriera per le tematiche legate all’immigrazione nacque unicamente come pura coincidenza. 

Promised Land Installation view,  Kunstpalais, Erlangen, Germany, Courtesy of the artist.

Promised Land Installation view, Kunstpalais, Erlangen, Germany, Courtesy of the artist.

Fu nel 2003, in occasione della sua prima partecipazione presso la Biennale di Sharjah, negli Emirati Arabi. Oltre ad esporre alcuni dei suoi primi lavori, Larsen si offrì di prestare il suo aiuto come Coordinatore Tecnico dell’esposizione, trovandosi così a collaborare con una squadra di immigrati Indiani. Condividere con questi la routine lavorativa, gli consentì di entrare in contatto con la cultura dei lavoratori stagionali e le loro storie di esilio forzato fecero scattare in lui profondi interesse e curiosità: tre anni dopo, Larsen fece ritorno a Sharjah gettando le basi per la sua prima opera sull’immigrazione, una video installazione ritraente i lavoratori espatriati e le loro famiglie ancora in India (Rendezvous, 2009). Da quel momento in poi, l’artista ha sviluppato un personale stile documentaristico, imperniato su una esaustiva descrizione dei fenomeni migratori e della sempre più rigida politica nei controlli di frontiera.

I video di Larsen, infatti, non soltanto fanno luce sui racconti personali dei migranti, ma documentano al contempo le esperienze dei familiari lontani, così come quelle di testimoni casuali o di coloro che contribuiscono all’imbarco illegale dei rifugiati verso le coste Europee. (Emblematico a tal proposito il video End of Season (2014), dove oltre alla comunità Rom di lavoratori stagionali, vengono raccolte le testimonianze degli abitanti di Üyüklütatar Köyüa e di un trafficante di uomini). Attraverso un processo oramai collaudato, Larsen rassicura di volta in volta gli intervistati (spesso intimiditi alla vista della videocamera e riluttanti a parlare), spingendoli a fidarsi delle sue buone intenzioni e del suo team e lasciando loro completo spazio. Sempre nascosto aldilà dell’obiettivo cinematografico, e dunque invisibile allo spettatore, l’artista in questo modo si oppone al protagonismo della tradizionale figura del giornalista ed affida il comando della struttura narrativa dei video ai suoi diretti protagonisti. Affascinato dall’imprevedibilità di questi incontri, Larsen in sostanza utilizza la camera per soddisfare il suo intento di ritrarre il lato più umano dell’immigrazione, ad esempio filmando la monotona routine in alloggi improvvisati o catturando dei migranti i sogni di una nuova vita (Promised Land, 2011). Attraverso questa serie di studiati espedienti, l’artista così raggira il pericolo di banalizzare o ‘spettacolarizzare’ il problema, non trascurando tuttavia il valore estetico del proprio lavoro: attraverso estatici piani sequenza di meravigliosi paesaggi o villaggi desolati, insieme ad una quasi sempre commovente colonna sonora, i suoi video si distinguono dunque per una particolare qualità cinematografica ed inevitabilmente risultano opere d’arte “belle da guardare”.

End of Dreams, (work in progress). Produced by Qwatz, Rome, funded by Danish Arts Council. Photo: Domenico Gallelli

End of Dreams, (work in progress). Produced by Qwatz, Rome, funded by Danish Arts Council. Photo: Domenico Gallelli

Strumento alternativo per più implicitamente commentare le stesse tematiche, Larsen molto spesso affianca alle sue sperimentazioni video pezzi scultorei. Come in Ode to the Perished (2011), le figure antropomorfe rassomigliano in modo ambiguo i corpi costretti in strati di vestiti dei migranti annegati in mare, rendendo così omaggio alla loro memoria. Un identico processo è seguito dall’artista per la realizzazione del suo ultimo lavoro, End of Dreams (2014), un gruppo di 48 sculture in tela di cemento (materiale utilizzato per salvataggi di emergenza), installato sotto il livello del mare a largo della costa di Pizzo Calabro. Le sculture affondano tra le acque attaccate ad una struttura lignea e sono lasciate in immersione per un periodo di 4 mesi, così che sviluppino una superficie melmosa simile a quella degli organismi marini. Il progetto, realizzato in collaborazione con il programma di residenze per artisti qwatz, ancora una volta riflette sulla drammatica questione dell’immigrazione e sulle migliaia di immigrati che di anno in anno annegano nel tentativo di raggiungere l’Europa (più di 23.000 negli ultimi tredici anni). Le sculture, non casualmente installate nel Mar Mediterraneo, potrebbero in ogni caso richiamare oggetti dispersi durante un naufragio, o antichi vasi di greca fattura ed in questo modo rievocare un passato storico e mitico che ancora ha la sua importanza in “Magna Grecia” ed Italia in senso lato. Creando così un efficace corto circuito tra un’eredità passata e l’attuale dramma dell’immigrazione, questa sorta di ambiguità temporale consente all’artista una giusta distanza nel trattare con sensibilità il problema. Un fatto curioso, l’installazione calabrese è stata inaspettatamente assoggettata ad un destino fatale ed imprevedibile: una tempesta ne ha distrutte le sculture, facendo di queste, disperse sui fondali marini, poetica metafora della tragica fine toccata ai migranti. L’evento inaspettato ha, secondo Larsen, dotato le sculture di una doppia narrativa che, idealmente chiudendo un cerchio, l’artista si appresta nuovamente a filmare.

Sempre attento a non esporsi politicamente, Nikolaj Bendix Skyum Larsen non ha la presunzione di dare risposte. I suoi poetici commentari visivi non costituiscono mai riflessioni scontate e la sua consapevole indagine della nostra società multiculturale consente uno spunto per un fondamentale dialogo. Senza mai assumere un atteggiamento autoritario, la sua produzione porta quindi in primo piano il potere educativo dell’arte e poeticamente si qualifica come metaforico motore di cambiamento sociale.

Nikolay Bendix Skyum Larsen (1971, Alboorg, Danimarca) è un artista multidisciplinare e lavora con video, fotografia, dedicandosi anche alla creazione di sculture ed installazioni. Formato presso il Chealsea College of Art, prima e Slade School of Fine Art successivamente, le sue opere sono state esposte in tutto il mondo (Tate Modern, Sharjah Art Foundation, Biennale di Salonicco e Triennale di Folkstone) ed ottengono rappresentazione internazionale in collezioni pubbliche e private (Danimarca, Inghilterra, Francia, Italia ed Emirati Arabi).

CLICCATE QUI PER IL VIDEO INTEGRALE DI PROMISED LAND 

NBSL immagine

English Version

The first time I approached the work of Danish artist Nikolaj Bendix Skyum Larsen was during a lecture at Sotheby’s, at the beginning of the current academic year. As I was developing a thorough interest in video-art, I was immediately struck by the sensibility and accuracy with which he used the camera to portray reality and therefore complex topics. His spontaneous yet attentive investigation of human conditions indeed has its starting point within the contested territory of globalisation, while it offers a subtle insight into the related effects of multiculturalism, integration and migration, as well as the natural dynamics of love and friendships that people hold onto within this context. Nevertheless, as he told me during a recent interview, his career-long preoccupation with the notion of migration only started as a coincidence. 

It was on the occasion of his first participation at Sharjah Biennal, in 2003. There, he offered to collaborate as a Technical Coordinator and was able to work with a large team of Indian and Pakistani migrants. Having the opportunity to learn about their culture, their personal stories of displacement triggered his profound interest: he returned to Sharjah three years later and developed the project for Rendezvous (2009), a video installation portraying expatriate Indian labourers in the Emirates and their families in India. Since then, Larsen has developed a personal documentary style, providing a path to the full spectrum of migration and borders’ control.

His videos indeed not only shed light on the personal stories of migrants, but also report on their families’ experience and on other people’s accounts as witnesses or direct collaborators to the passage of refugees towards the EU shores (the Romas’ community of seasonal workers, the Turkish inhabitants of Üyüklütatar Köyüa, a human smuggler as in End of Season (2014). Through an already tested process of getting people to trust him and his cameraman’s good intentions, the artist leaves complete space to the interviewees and lets them free to unfold their testimonies. Always concealed to the viewer, Larsen then reverses the traditional figure of a documentary journalist and naturally passes on the control of the visual compositions’ narrative to its protagonists. Fascinated by the degree of unpredictability of those un-staged interactions, he ultimately uses the camera to genuinely outline the human side of the migrants’ stories, as documenting the daily routine within improvised camps or their multiple attempts to sail towards a new life (as in Promised Land, 2011). Through this series of studied expedients, Larsen thus avoids to either banalise or ‘spectacularise’ the issue, while certainly not disregarding the aesthetic qualities of his work: the ecstatic long takes of the breathtaking landscapes or desolated villages, along with a most of the time moving background soundtrack, unavoidably foreground the cinematic quality of the videos and qualify them as beautiful pieces of art to look at.

An alternative tool to more implicitly comment on the exact same discourse, the artist often pairs his video experimentations with sculptural pieces. As for Ode to the Perished (2011), the anthropomorphic shapes ambiguously resemble dead bodies of migrants wrapped up in clothes and metaphorically pay homage to their memory. A similar process is followed by Larsen in his latest work End of Dreams (2014). A group of 48 sculptures made of concrete canvas (a material used for disaster relief) is submerged underwater, offing the shore of Pizzo Calabro (Calabria, Italy), and left there for a long period of time in order to develop a marine organism-like surface. Produced in collaboration with qwatz, End of Dreams again ponders on the dramatic issue of migration and the subsequent tragedy of illegal travellers perishing while attempting to reach the EU. Emblematically set in the depth of the Mediterranean Sea, the sculptures composing the installation could instead resemble items sunk after a capsized ship, probably precious vases made in Greece, thus directly referencing a historical and mythical past still bearing importance within Italian identity. This way short-circuiting the legacy of the past and the cogent drama of immigration, this temporal ambiguity allowed the artist for a sensible and subtle engagement with the problematic. A curious fact, the same degree of unpredictability, that Larsen usually pursues within the context of video, recently subjected the installation to a fatal destiny: a storm destroyed the underwater sculptures and dispersed them on the seabed, ultimately consigning the human-like shapes to poetically embody a metaphor of the migrants’ tragic ending. According to the artist, the unexpected event gave the work a real narrative that, ideally coming full circle, he is now documenting through a film.

Always careful not to take a political stand in documenting migration, Nikolaj Bendix Skyum Larsen has no presumption to give definitive answers. His visual commentaries never constitute superficial reflections and his aware depiction of Twenty-first Century multicultural society functions as a possible starting point for discussion. Without taking on an authoritative attitude, his production ultimately foregrounds the educative power of art and poetically qualifies as a metaphorical engine for social change.

Nikolaj Bendix Skyum Larsen (b. 1971, Alboorg, Denmark) is a multidisciplinary artist working with video, photography, sculpture and installation. He received is BA from Chealsea College of Art and his MFA from Slade School of Fine Art, London. His work has been exhibited worldwide (e.g.Tate Modern, Sharjah Art Foundation, Thessaloniki Biennal and Folkstone Triennale) and it is represented internationally in public and private collections (Denmark, England, France, Italy and United Arab Emirates).