Guy Delisle ci trasporta nella Corea del Nord con un'opera dallo stampo documentaristico.

Immaginiamo di essere trasportati improvvisamente in uno dei luoghi più ambigui e ostili del mondo, dove vige un regime che controlla il pensiero di chiunque, a partire da quello dei bambini e dove non si ha la minima idea di chi sia Bob Marley. Questo mondo claustrofobico senza uscita è racchiuso nel titolo di una graphic novel del fumettista canadese Guy Delisle: Pyongyang.

 

È difficile ammettere che un fumetto sia uno dei documentari qualitativamente più coerenti e realistici della situazione politica e sociale della Corea del Nord mai realizzati finora. Delisle trasporta il lettore inmediatamente nel grigio squallore di una dittatura che ha inghiottito avidamente i colori di un paese ormai assuefatto. Non a caso, le tavole di questo libro sono anch’esse in bianco e nero o, meglio, di un grigio perenne che cambia soltanto sfumature, con un tratto essenziale e diretto, a sottolineare la schiettezza paradossale con cui il regime agisce indisturbato diffondendo il suo potere. Il punto di vista è in prima persona: Guy Delisle, infatti ci racconta la sua esperienza nel 2003 come supervisore di una serie animata francese in uno studio di Pyongyang. La sua attenzione si focalizza sui paradossi del regime nordcoreano e di come questi influiscano sul suo lavoro e sulla vita quotidiana.

 

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Sfiorando momenti esilaranti ed ironici, in cui si affrontano situazioni ai limiti dell’assurdo, e spesso anche del grottesco, il narratore e protagonista della storia ci racconta Pyongyang, un luogo surreale, dove gli abitanti ostentano una felicità che non ha nulla di entusiasmante nè di gioioso, ma che al contrario appare come un sentimento soffocato e raggelato. La felicità, insomma, si esprime con compostezza. E questo accade con ogni tipo di sensazione. Nulla deve uscire fuori dagli schemi, tutto è sotto controllo continuamente. Delisle ci descrive scene in cui, come straniero e lavoratore, viene perennemente accompagnato da una guida e da un traduttore simultaneo; vive in un hotel dove soggiornano i pochi stranieri presenti in città; non può uscire da solo nè andare ovunque. Deve, insomma, sottostare alle regole che gli vengono inculcate fin dall’inizio della sua esperienza, molte delle quali è lui stesso a dover comprendere.

 

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Ciò che più colpisce non è solo la contraddizione di un paese che afferma di volere il bene del suo popolo e offrirgli tutto quello di cui ha bisogno per poi negargli completamente la possibilità di esprimersi, ma è anche la stessa contraddizione con cui è narrata la storia. La tragica situazione del regime nordcoreano è disegnata e raccontata con cinismo e con una punta di comicità. Questo velo dolceamaro di cui è avvolta l’atmosfera di questo libro lo rendono sensazionale. È difficile, infatti, poter raccontare con intelligenza e spirito critico una dittatura e ciò nonostante dare alla stessa la possibilità di esprimersi a pieno in tutta la sua essenza paradossale e, dunque, spesso tragicomica. Il regime di Kim Yong-un è una sorta di bolla di sapone dove la gente vive in uno stato militare in cui tutto è continuamente minacciato dall’arrivo di una possibile guerra: metropolitane-bunker, supermercati vuoti, strade desolate, inni al partito ad ogni ora del giorno e della notte, vie illuminate solo dall’immagine del presidente, soldati in ogni angolo, televisioni con un solo emittente e marchi oscurati.

 

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Uno dei canali di lettura utilizzati in questo libro è il romanzo distopico 1984 di George Orwell, che lo stesso protagonista legge durante la sua permanenza a Pyongyang, giacchè riesce a farlo passare alla dogana in aereoporto. L’uso di questo espediente non è ovviamente casuale. 1984 è un romanzo di denuncia nei confronti dei regimi totalitari, siano essi di destra che di sinistra, attraverso la storia di un uomo che vive in una società immaginaria del futuro dove si è in costante stato di guerra e di dittatura, nonchè dove si subisce un controllo così constante da distruggere l’essenza di ogni personalità. L’elegante, nonchè intelligente, accostamento di queste due opere rende il senso di questo lavoro autobiografico ancora più critico e profondo.

 

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Il parallelismo, infatti, non è banalmente realizzato come semplici riferimenti a ciò che accade nel libro e a quello che succede effettivamente nella realtà di Pyongyang (che quasi sempre coincide), ma segue un filo di pensieri e princìpi che vengono letti parola per parola dalle pagine di Orwell e che, senza nè dirlo nè affermarlo, osserviamo accadere nelle immagini delle vignette. Ciò che si apprezza maggiormente di questa graphic novel è che poche volte si descrivono realmente le regole o i principi a cui si deve sottostare, giacchè tutto viene dedotto dalle situazioni rocambolesche vissute dallo stesso Delisle. Questa strategia narrativa irrompe come un manifesto critico e rende quest’opera un manoscritto semplice, diretto e assolutamente vero.

 

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