Ecco la prima parte del nostro viaggio all'interno della metro B di Roma.

Lettera di un amico nostalgico

Mi chiedevo se anche a Bari ci fosse una Metropolitana. Quando mi siedo sull’ultimo sedile del primo vagone, penso sempre a tutte quelle volte che abbiamo fatto il viaggio insieme, uno di fronte all’altro, senza accorgerci di esserlo; oppure di quando ci accorgevamo di esserlo solo poco prima di scendere. Mi fa rabbia, perché se allora non la ritenevo una perdita, oggi – con te lontano e irraggiungibile – la vedo come un’occasione persa che non tornerà mai più. Lo so che sei andato a Bari e non in Botswana, ma reputo sia comunque altamente improbabile incontrarti di nuovo su quella metro ai miei orari e sul mio tragitto.

 

Mi perdo allora in ricordi che prima non avevano alcun valore.

La nostalgia mi fa rimpiangere anche quelle spallate che all’improvviso ricevevo da quello che in un primo momento presumevo essere un cafone da stordire con una giornalata, ma che poi, data anche l’impossibilità di alzare le braccia per concedermi questo sfogo senza correre il rischio di colpire le dozzine di persone intorno/sopra a me, scoprivo essere invece un tuo modo affettuoso di palesarti. Che poi, rispetto ad altri sistemi osservati nella mia pluriennale esperienza aventi la medesima tua intenzione di sorprendere l’ignaro amico per caso incontrato – palpeggiamenti, baci, schiaffi, calci in culo, colletti, pugni nello stomaco, leccate, urla – la tua spallata era senza dubbio discreta e sobria.

 

Seduti lì eravamo inermi alle altrui volontà umane e non, il nostro libero arbitrio era relegato al dove sederci, almeno per quanto riguardava l’andata, perché al ritorno, il crogiolo umano e non, questo lusso non ce lo concedeva. Quel “non” vorrei che ti fosse chiaro essere lì per ricordarti le razze e le specie incontrate non appartenenti al genere umano, tipo: cani, gatti, il ratto sulle spalle del tizio con i rasta, le pulci sui rasta del tipo col ratto, i pappagallini ululanti nelle gabbiette, i ciclisti, gli alieni, i seguaci di Harry Potter, le fidanzate incazzate.

 

Tu sei uscito da questo vagone e a ciò mi devo rassegnare. Sei fuggito dalle limitazioni che questo treno rappresenta. Hai deciso di scendere lasciandoci tutti qui a percorrere queste rotaie che la mattina ci portano lontano da ciò che amiamo e, la sera, ormai stanchi e silenziosi, ci riportano ai nostri amori lasciandoci, di tanto in tanto, quell’unica scelta rappresentata dal dove sederci.

 

 metro b

 

 

Odori

Certo qui le facce sono sempre le stesse, come anche gli odori; qualche giorno fa, però, ho percepito una fragranza nuova, mai sentita prima, che mi sarebbe piaciuto immensamente condividere con te: l’odore mi ricordava il classico tanfo del maratoneta in giacca e cravatta – quelli che, vestiti di tutto punto, sembrano aver rincorso la metro per decine di fermate per poi entrarvi, apparentemente solo per diletto, e riscendere alla fermata successiva, immagino con il proposito di riprendere la corsa – solo che era più completo, più rotondo. Annusando bene, infatti, l’acredine iniziale mutava e diventava quasi dolce, ricordandomi quell’odore che una volta percepii nella sala d’attesa del pediatra di mio figlio: un odore che era dappertutto e che inequivocabilmente era da imputare a quel povero bimbo con i pantaloni sporchi di feci fino alle caviglie. Se poi annusavi ancora meglio, riempendoti bene i polmoni, riuscivi, e stentavo a crederlo, a isolare anche un altro aroma che con certezza posso sostenere si trattasse dei sintomi della bromidrosi plantare.

 

Rimasi sorpreso di ciò: dopo anni la metropolitana aveva ancora qualcosa di nuovo da offrirmi. Furono in molti quelli sorpresi, a dire il vero. Qualcuno però più degli altri: ad esempio, la ragazza che era seduta accanto a me fu colta da stupore e meraviglia a tal punto che, come i pupazzi che escono all’improvviso dalle scatole, si alzò ed iniziò a ondeggiare in tutte le direzioni. Sono convinto che scendere a quella fermata non fosse il suo iniziale obiettivo ma la vidi arrancare a fatica, imprecando e lanciando anatemi che per educazione non riporto, verso la porta più vicina. Lo sbalordimento più totale la colse però quando si rese conto che uscire non le sarebbe stato possibile. Potei notare, in quell’istante, la commozione nei suoi occhi virare rapidamente in pianto quando le porte si richiusero con lei, noi e la fragranza, stipati all’interno per riprendere la corsa.

 

Se volessi riprodurre l’essenza che ti ho descritto, dovresti seguire questi quattro semplici passaggi: 1) metti a macerare un calzino per almeno cinque giorni sotto l’ascella (non dovresti lavarla e ci dovresti dormire); 2) passati i cinque giorni, devi raccogliere le feci (le tue vanno benissimo) e inserirle dentro una scarpa, possibilmente usane una di pelle non traspirante; 3) rimettiti il calzino; 4) rinfilati la scarpa e tienila indosso per almeno tre giorni programmando un’ora di corsa al giorno. Passati questi otto giorni, potrai finalmente, accostando la scarpa al naso e inspirando, assaporare in tutta la sua complessità l’effluvio da me e da altri percepito.