Ecco la sesta menzione d'onore del nostro concorso Trenta Racconti Italiani: il Referto Finale di Serena Russo, un bellissimo racconto sulla follia.

“Claudia.

Non ci sono altre case qui. Solo terra e prati sconfinati. Colline e ancora colline. Ogni tanto, dalla finestra, scorgo qualche margherita agli angoli delle strade sterrate. Totò è accanto a me e dorme appisolato davanti alla finestra. Si sente solo il vento soffiare. Un lungo fischio che ricorda il mare. Sai, come quando ascolti una conchiglia. Dicono che porti ricordi. Sarà, ma a me porta solo paura.

No, non preoccuparti Claudia. Sto bene. Sai che me la cavo sempre. Ma la paura viene spesso a trovarmi e non posso mandarla via. Arriva all’improvviso e mi inganna perché sembra che se ne stia per andare al primo ricordo felice. Ma poi ritorna sempre.

 

Ieri ho visto tre uomini camminare nel bosco. Stavo passeggiando con Totò. Erano dei cacciatori e c’era anche un falconiere. Uno di loro aveva una lepre morta tra le mani. Il sangue cadeva sul terreno roccioso e lasciava una lunga scia al camminare. Era marrone scuro. Quei signori ridevano e bevevano. Forse era alcool, forse era forte. E poi c’era un altro uomo, con un falco sulla spalla. Dio mio, Claudia. Non ne avevo mai visto uno in vita mia. Quant’era grande quell’animale. Sembrava più grosso di Totò e forse lo era. Mi hanno guardato in faccia. Mi sono sentito una preda. Occhi che puntano. Occhi che scrutano. Occhi che vogliono e chiedono. Ho sentito un brivido. Ma tu mi conosci, Claudia. Sono andato avanti, nell’altra direzione.

 

Adesso io e Totò viviamo in una baracca. Il legno è marcio. Sai, per via della pioggia. Ma sembra forte abbastanza da reggere al tempo. Ci sono le querce qui. Ti piacerebbero tantissimo. Sono maestose. Mi ricordano te.

Totò esce spesso. Va in giro a fiutare tra le foglie secche. Io, invece, me ne sto dentro quasi ogni giorno. Bevo acqua. Mangio scoiattoli. E’ l’unico cibo possibile. Non sono male. Se mi va bene, a volte riesco a prendere qualche lepre. Ma sono troppo veloci per me ormai e Totò è particolarmente buono per cacciarle. Dovrei rubare ancora qualche animale ai cacciatori, ma mi ammazzerebbero stavolta.

 

Leggo sempre lo stesso libro. Lo finisco e lo rileggo. Si chiama “Cime tempestose”. Catherine, la protagonista, ti somiglia. È ribelle, è forte, è passionale. Ma fa anche soffrire. Quando leggo quelle righe mi sembra di sentire il tuo grido che riecheggia tra le lande. Come un richiamo rimbalza tra i campi e arriva ai miei timpani. E poi… Poi si trasforma nel giallo del tuo vestito… Te lo ricordi? Quello che mettevi d’estate. L’aria correva tra le tue ciocche rosse e il mare giocava a farci innamorare.

 

Perché Claudia, perché non ci sei più? Qui il tempo fa male. Non so mai che ora sia. Io la cerco una via di fuga, sai che non mento. Ma quando vedo qualche cacciatore, non riesco ad avvicinarmi. Ho un senso di colpa. Mi prenderanno prima o poi, mi scopriranno per quello che ho fatto. E qualcuno già ne è a conoscenza. Lo so, lo so che dovrei essere più coraggioso, me lo dicevi sempre. Ma cos’è il coraggio? Assomiglia all’orgoglio. E tu sai che sono troppo orgoglioso.

 

Posso dirti, però, che da qualche tempo mi sono fatto un’amica. Si chiama Viola. Lei è un’allevatrice di scoiattoli. Ogni tanto viene da queste parti a prenderne qualcuno per poi portarselo via. Non so cosa ne faccia, ma è seria e sembra che le piaccia tanto il suo lavoro. Un po’ la invidio. Avrei voluto avercelo io un mestiere che mi appassionasse. E invece sono dovuto scappare.

Quando viene qui nel bosco, bussa sempre alla porta della baracca. La invito a prendere un po’ d’acqua che è l’unica cosa che posso offrirle. Parliamo per ore. Lei mi fa sempre un sacco di domande, mentre io non so mai cosa chiederle. Viola è molto alta e ha i capelli castani. Ha una G tatuata sul polso. Sarà l’iniziale del nome di qualcuno, di qualcosa. Le ho chiesto tante volte se le avesse fatto male, ma lei cambia sempre discorso e si tira giù la manica per nascondere quella lettera.

 

Poi, un giorno, ho scoperto che si trattava di suo figlio. Aveva cinque anni. Una volta all’uscita di scuola era arrivata in ritardo e lui già non c’era più. Nessuno seppe dirle nulla. Nessuno vide niente. Viola crede che sia stato il suo ex-marito a portarglielo via. Ma le denunce non sono servite perché anche lui era sparito. Da allora sono passati dieci anni.

«Chissà se ha già una ragazza», mi dice spesso.

Credo che suo figlio sia stato simile ad uno scoiattolo. Dolce e affabile, ma tanto veloce da correre incontro al suo destino.

Quando parla di lui, i suoi occhi diventano umidi e malinconici. Il volto sorride sempre, ma quello sguardo mai.

 

Oggi è venuta e mi ha portato un regalo. Non me l’aspettavo. È una bussola. È bellissima, Claudia. È di un colore nero, credo sia d’ottone e rifinita con il bronzo. Sembra davvero preziosa. Servirà ad orientarmi e cercare il mio nord, la strada della mia rinascita, forse. Viola dice che la devo custodire per bene, che non ci sono scuse. Allora la tengo sotto il cuscino. Spesso, di notte, non riuscendo a dormire, la prendo, esco fuori dalla baracca e quando mi rendo conto che non ci sono cacciatori in giro, cammino con quell’oggetto tra le mani. Seguo le frecce e mi oriento. So che vivo ad est. Non l’avrei mai immaginato. Ma allora il nord non è poi così lontano. Chissà quando lo raggiungerò, Claudia. Mi immagino quel posto come un castello di ghiaccio, dove tutto si gela, anche i sensi di colpa, gli incubi e i cacciatori. Tanti anni fa vidi un film dove tutte le persone erano come addormentate in bare di cristallo in un luogo indefinito. Le mura erano bianche. L’ambiente era inquietante. Ma io me lo immagino così il nord. Pieno di bare per i cacciatori. In questo modo non si muoveranno più e non mi faranno paura, non mi guarderanno male, non mi faranno sentire impotente. Sarebbe un sollievo, Claudia. Ma quando lo troverò questo posto?

 

Oggi fa freddo e Totò ancora una volta non si muove e non parla. Non mi va di mangiare, ho lasciato gli scoiattoli nel piatto. Sono stanco. Non mi va più di nascondermi e far finta di nulla, Claudia. Devo confessare. Devono saperlo i cacciatori. Quello che ho fatto è riprovevole, ma mi è piaciuto”.

 

Improvvisamente Lucas gettò la penna sul pavimento. La porta si aprì e la donna entrò nella stanza canticchiando. Gli fece un sorriso e gli chiese:

«Come va oggi, Lucas? »

«B…Bene» rispose l’uomo.

«Guarda che sole! Sembra già primavera! A me piace tantissimo quando il tempo inizia ad essere più caldo, quando si sentono gli uccellini cinguettare in lontananza… Non pensi anche tu, Lucas?», gli domandò allegramente.

«S…Sì. Bella primavera. Bellisssss…Bellissima. Bella lei, sì», rispose Lucas, con una voce tentennante. Gli tremava il polso e cercava di nascondere il quaderno dietro la schiena.

«A chi hai scritto oggi?» disse la donna.

«A Cl…A Claudia» rispose Lucas

«Ah… Claudia… Bene. E cosa le hai detto stavolta?»

«Scoiatt…Scoiattoli. Totò no no no… Non muovere»

«Dammi qua, che lo coccolo io Totò» prese il peluche dal letto e lo accarezzò.

«Dai… Adesso dammi il braccio» – gli chiese con dolcezza.

Lucas si alzò la manica lentamente. Lei gli strinse il laccio intorno alla pelle, picchiettò la siringa due o tre volte prima di immergere l’ago nella carne e farlo cadere, dopo pochi attimi, in un sonno profondo. Gli sorrise, gli accarezzò la fronte e fece per alzarsi.

 

La porta si aprì.

«Dottore, è lei…» disse la donna.

«Sì, buon pomeriggio infermiera…Come va il signor Lucas?» chiese.

«Mah… Che dirle. Come sempre. Sono qui da soli venti giorni e quello che vedo è sempre lo stesso. Scrive, e tanto. Credo che sia una specie di diario… Lettere… Lei lo sa… Indirizzate sempre a lei, a Claudia. L’altro giorno mi è scivolato il portacipria dalla borsetta e gliel’ho dato. Lo guarda, come se dovesse leggerci sopra qualcosa. Lo rigira, si alza, segue una specie di percorso che ha nella sua testa, forse, come se dovesse seguire una direzione…E poi si rimette a letto. Lo custodisce gelosamente sotto al cuscino. È difficile stargli dietro, dottore»

«Sì, il suo caso è abbastanza duro e particolare. Scrivere è l’unica cosa sana che gli resta da fare, anche se non parla bene come avrà potuto notare. Ormai sono dieci anni che è qui, ma non sembra essere migliorato. Qualche settimana fa ha aggredito il mio collega perché pensava che volesse sparargli con un fucile da caccia, quando invece aveva solo il tubo della flebo tra le mani… Può immaginare in che situazione ci troviamo.»

«Scusi dottore, non vorrei essere indiscreta ma… Chi è Claudia? Non nomina molte persone, ma Claudia sembra essere sempre presente»

«Claudia è sua moglie… Ma…Oh…Mi aspettano in riunione. Ne parleremo la prossima volta, infermiera. Vado! Buona giornata».

«A lei, dottore».

L’infermiera si alzò dal letto del paziente e gli diede un bacio sulla fronte. Chiuse la porta adagio e la manica del suo camice si tirò su fino a farle scoprire quella lettera sul polso.

«Oggi sono dieci anni e tre giorni, amore mio, che non sei più qui con me». Pensò ad alta voce.

 

Nel chiudere la porta della stanza vide la cartella del paziente dentro la fodera accanto alla maniglia. Non poté fare a meno di prenderla tra le mani e sfogliarla, anche se questo era contro le regole. Iniziò a leggere con curiosità.

“Lucas Modica. 39 anni. Ex cacciatore di lepri. Mostra manie di persecuzione e continue allucinazioni. Gelosia ossessiva nei confronti della moglie Claudia Mari, 36 anni che non vede dal 1998. La Mari ha confessato nel tempo diversi tradimenti che avrebbero messo in discussione la paternità biologica del paziente nei confronti del figlio Totò (Antonio Modica).  Nel 1996 lo sequestrò per portarlo via alla moglie. Lo uccise nel bosco con colpi di accetta, sbarazzandosi del suo cadavere. Si attribuiscono a lui almeno altri due casi simili di bambini scomparsi in città. Si sospetta il cannibalismo.

Referto finale: Schizofrenia”.

 

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Se il nostro concorso letterario ti appassiona leggi anche la quinta menzione d’onore, La leggenda dei Titani del vuoto di Nico Ovi.