Don DeLillo mette in prosa la cruda e multiforme danza a cui la modernità ha dato vita per ignorare la Morte.

Dichiarare che la prevenzione delle stragi nelle scuole da parte di sociopatici armati fino ai denti debba dipendere, più che da un severo e restrittivo regolamento delle vendite degli arsenali a popolazioni inermi, da una formazione degli insegnanti che preveda il loro addestramento militare e la fatale presenza nei cassetti delle cattedre o in appositi armadietti dei suddetti congegni di morte (come suggerito da Donald Trump dopo l’ennesima strage), equivale a dire che per sostituire la lampadina fulminata occorre girare l’appartamento. La barzelletta che diventa realtà, insomma.

 

Peccato che la detenzione di un’arma sia, consciamente e inconsciamente, legata inestricabilmente al desiderio di usarla. Il potere che questo tipo di congegni portano non si può considerare neutro. La sicurezza della patria-casa-famiglia contro l’ignoto violento che urge non cambia il predicato ontologico del concetto di arma: uccidere, ferire, provocare violenza e intimidazione (in valore assoluto, prescindendo da come questa violenza sia sentita a mano a mano criminale, quella del pazzo sadico, o difensiva e legittima, come sparare sulla Gestapo).

 

Rumore Bianco 1

La detenzione di un’arma è legata inestricabilmente al desiderio di usarla

 

Chi di noi può affermare d’essere al di là della seduzione del male, se anche il buon professore di college Jack Gladney nel romanzo Rumore bianco di DeLillo, dal momento in cui viene in possesso di una pistola, una volta superato l’iniziale smarrimento, comincia ad apprezzarla, accarezzarla, esserne affascinato, avvertirne l’inesorabile potere fino a risolversi a portarla con sé nel dipartimento e insegnare con l’arma nel cassetto? Un eroe trumpiano, si può dire, per libera iniziativa e con quarant’anni d’anticipo. Don Delillo l’aveva previsto.

 

Il genio americano nel suo abbagliante romanzo a 330 di metronomo descrive con notevole precisione ed efficacia l’humus culturale americano moderno (e quindi occidentale) attraverso la storia del nostro professore e della sua famiglia. Jack insegna nel college di una piccola città, è titolare della surreale cattedra di studi hitleriani, e divide il suo tempo tra la vita domestica, circondato da una numerosa e moderna famiglia frutto di precedenti matrimoni, e l’università. Suo collega-confidente è Murray, impegnato in un serrato dialogo speculativo con lui lungo tutta la narrazione, nel tentativo continuo di interpretazione del nostro tempo e dei suoi detriti cultural-popolari. Murray è – significativamente – un visiting professor chiamato a tenere un corso sugli incidenti d’auto nel cinema americano. La vita rassicurante e consumistica del protagonista, della quale è evento rilevante la spesa al supermarket (vero tempio della civiltà e sua unica forma di religiosità), scorre tranquilla fino a che non viene inghiottita da una nube letale, un evento tossico aereo espressione condensata delle miriadi di piccoli eventi tossici di cui è disseminata un’esistenza a contatto continuo con trasmissioni televisive, radio, forni a microonde e cibi stracolmi di conservanti e additivi chimici.

 

Rumore bianco 2

La spesa al supermarket è il vero tempio della civiltà e sua unica forma di religiosità

 

Questo disastro ambientale diviene il motore scatenante della paura della morte di Jack, in quanto direttamente coinvolto tramite esposizione all’aria contaminata. Egli scopre nel frattempo che la moglie Babette, atterrita anche lei dall’idea di morire, ha intrapreso un segreto quanto oscuro percorso di cura a base di un farmaco sperimentale (il Dylar) creato per eliminare la paura della morte: nonostante la convinzione di Babette dell’inefficacia di questo nuovo composto, Jack ne diventa sempre più ossessionato fino a riuscire a mettersi in contatto con il responsabile scientifico dell’esperimento. La cosa non finirà bene e la ricerca sarà stata di fatto inutile.

 

Il libro si articola in tre macro-sezioni, ognuna delle quali evidenzia alcuni temi che costituiscono, assieme alle componenti stilistiche, l’interesse culturale dell’opera e il suo status di capolavoro della post-modernità.

 

Le Onde e radiazioni che titolano la prima parte sono il basso continuo della nostra esistenza, tutti i micro-eventi tossici che ci accompagnano nelle nostre case, al lavoro, nelle nostre macchine. Oggetti a emissioni costanti che sono il preludio a disastri di più ampio respiro, elementi oramai integrati e indispensabili alle nostre vite ma in qualche modo rappresentanti una fondamentale imprudenza umana. Oggetti messi in vendita in luoghi simbolo come grandi magazzini e supermercati, che rappresentano vere e proprie cattedrali della modernità, simbolici luoghi di culto inquadrati in precise liturgie acquisitive. Nel libro il supermercato è un luogo topico che costantemente ritorna, i protagonisti vi si ritrovano, lo frequentano provando sensazioni di estremo appagamento:

 

«Mi parve che Babette e io, nella massa e varietà dei nostri acquisti, nella grassa abbondanza suggerita da quei sacchetti […], nonché nella sensazione che provavamo di esserci riempiti di scorte […] mi parve, dicevo, che avessimo conseguito una pienezza dell’essere che doveva risultare ignota a coloro che hanno bisogno di meno, si aspettano di meno, incentrano tutta la loro vita su solitarie passeggiate serali»   

 

La merce è determinazione esistenziale, unico elemento che sembra offrire pienezza identitaria e il luogo della vendita è, come si diceva, fulgido tempio della civiltà consumistica. Murray, nelle sue geniali divagazioni, arriva a paragonarlo al periodo tra morte e rinascita delle credenze tibetane sulla trasmigrazione dell’anima:

 

«Dopo poco l’anima sarà accolta da un nuovo grembo […] è la stessa cosa che penso ogni volta che vengo qui. Questo posto ci ricarica sotto il profilo spirituale, ci prepara, è un passaggio. Guarda quant’è luminoso. […] Le grandi porte si aprono scorrendo e si chiudono spontaneamente. Onde di energia, radiazione incidente. E poi ci sono lettere e numeri, tutti i colori dello spettro, tutte le parole in codice e le frasi convenzionali. […] Non si fa altro che procedere verso le porte scorrevoli»

 

Il valore fondamentale è il consumo, e la finalità del consumo è buttare via per ricominciare a consumare. Il circolo escretivo della società consumistica è inarrestabile come un vero e proprio circolo ermeneutico, in cui ogni cosa viene mercificata, a partire dai prodotti del supermercato, per passare alle notizie sui tabloid, i format televisivi e radiofonici, gli stessi dati culturali forniti dal college con le succitate ed emblematiche materie di dipartimento (forse anche parodia dei Cultural Studies, nati appunto americani su per giù in quegli anni). DeLillo utilizza marcatamente la tecnica dell’enumerazione non solo per catalogare oggetti o notizie (come la meravigliosa elencazione nell’episodio in cui Babette legge i giornali a un vecchio cieco), ma anche per descrivere ciò che Jack si stanca di avere e che butta. È infatti emblematico come il protagonista, in momenti di evoluzione o di crisi personale, si sbarazzi di un’infinità di cose, provando un singolare piacere che è in tutto e per tutto il piacere che prova in altri momenti a comprare «con abbandono incurante […] spendevo […] somme che tornavano sotto forma di credito esistenziale».

 

Rumore Bianco 3

Il valore fondamentale è il consumo, e la finalità del consumo è buttare via per ricominciare a consumare

 

Altro medium fondamentale che diventa per sé stesso valore è la televisione: rispettando certi canoni espressivi (telegiornali e talk show , per esempio, in puliti, luminosi e funzionali studi) è in tutto e per tutto una forma di supermercato dell’informazione impacchettata in differenti formati e inserita nel circolo escretivo del consumo. Nonché contenitore della categoria con cui potremmo definire la nostra epoca, l’intrattenimento. Facciamoci guidare dall’esperto Murray:

 

«Onde e radiazioni. Sono giunto a capire che il mezzo televisivo è una forza di fondamentale importanza nella casa tipica americana. Conchiusa in sé, senza tempo, autolimitata, autoreferente. È come un mito nato qui nel nostro soggiorno, come una cosa che conosciamo in modo preconscio, quasi in sogno»      

   

Anche qui come al supermarket sempre in presenza di strati di dati da decrittare, che spingono Murray a intensive sedute televisive con carta e penna a portata di mano per prendere appunti.

 

Da questi luoghi culto, uno dei quali è la nostra casa e la macchina come mobile appendice di questa, partendo dal grande magazzino, promana una stratificazione di voci elettroniche e annunci al microfono, di brusii, di beep elettronici delle casse che attestano l’avvenuto riconoscimento del codice a barre, il mormorio dei clienti, voci radiofoniche che ci seguono nella strada del ritorno e ci accompagnano fino nel salotto domestico dove avviene il quotidiano evento dell’accensione del moloch televisivo: tutto questo è il Rumore bianco di DeLillo. Il mantello di onde e radiazioni prodotto da una società che ha gran bisogno di distrazione permanente, bisogno che il mercato è ben contento di soddisfare con la sua merce ad ampio spettro, con le sue reclame e informazioni, con il suo circolo escretivo e liturgico.

 

Rumore Bianco 4

La TV è in tutto e per tutto una forma di supermercato dell’informazione

 

È possibile trasformare tutto in prodotto, inserirlo nel circolo produci-consuma-abbandona, anche l’uomo si può in parte mercificare e sottomettere al marcusiano ‘principio di prestazione’, versione aggiornata del ‘principio di realtà’ freudiano, tutto tranne nostra sorella Morte, che per la sua natura di evento conclusivo della coscienza è al di fuori da questa possibilità e da tutti gli sforzi di distrazione di massa. Tutto il Rumore bianco viene perforato in un punto da un sottile quanto denso fascio di luce nera con cappuccio e falce d’ordinanza.

 

La nostra morte è il biglietto da visita della nostra libertà ma anche la condanna più grande, e il Rumore con cui dovremmo cercare di occultarla non dovrebbe provenire dall’algido e asettico studio televisivo o dalla sterile corsia di supermercato, ma dal felice e colorato brusio delle gialle passioni, dell’arte arancione, della verde preghiera. Il titolo ha proprio questa peculiarità: la sua bianchezza innaturale, sintetica, memore di pareti in sale d’attesa, di luci al neon su manifesti pubblicitari, di pagine word vuote palpebranti.

 

Il romanzo è pervaso dalla presenza della morte e dall’ansia di sfuggire all’angoscia del suo avvicinamento: la nera signora si inserisce tra le voci che distraggono proponendo la propria irrisolvibile questione in un perpetuo, binario, ansioso differimento d’angoscia.

 

Rumore Bianco 5

La nostra morte è il biglietto da visita della nostra libertà

 

La sua presenza si fa più incombente soprattutto nell’ultima macro-sequenza titolata Dylarama, eppure il passaggio fondamentale che trasforma la paura di Jack da latente a urgente è nell’Evento tossico aereo della sezione di mezzo: rimanendo esposto al composto chimico ad alta tossicità per un tempo eccessivo, il suo dottore gli diagnostica un processo irreversibile di decadenza che lo porterà lentamente alla fine. Il Nostro naturalmente non sente più l’indefinitezza gioiosa della vita, anzi si trova di fronte a un processo letale che per quanto di lungo periodo si è innescato e sta decorrendo.

 

Babette invece prova una paura slegata da particolari eventi: è lei a portare il Dylar in casa, dopo aver partecipato ad un esperimento segreto. Questo farmaco rappresenta l’ultima spiaggia di una società non più in grado di accettare la morte. L’ansia che abbiamo di essa è fuori controllo (chi più chi meno, ma se ci si esercita si possono raggiungere livelli notevoli di paura) perché i sistemi economico-culturali che dominano e muovono le nostre esistenze non la prevedono più come componente rilevante: nelle culture religiose in genere è il momento risolutivo dell’esistenza, mediate il quale l’anima affronta l’oltremondo, da cui proviene il suo senso antico, mentre nella cultura attuale, che ha liquidato ogni idea e struttura sociale fondata su una qualsiasi idea di trascendenza, è solo la fine del consumo, un evento da rimuovere e nascondere.

 

Si può dire che oggi più che mai siamo soli di fronte alla morte, privi di qualsiasi piano che la renda armonizzabile con la realtà, morti di logica a ogni possibile speranza oltremondana. La fine è tutta sulle nostre spalle, consegnata a noi e alla nostra angoscia, e il Dylar ne è l’unico solvente: non sentire, modificare la mente, soluzione razionale e problematica. Non sono effettivamente riuscito a scegliere, mentre leggevo, se nell’ipotesi di poter mettere le mani sul Dylar fosse più sensata una morte con o senza di esso. La mia ambiguità è dovuta alla coesistenza di una formazione culturale che vede nel momento della morte una sorta di evento consacrato, d’estrema dignità, con la pulsione a una sfrenata volontà di annichilimento che vorrebbe solo passare avanti e non sentire. La seconda forse è la prospettiva che più mi solletica, eppure non riesco a liberarmi della sensazione che nel fenomeno morte vi sia più di una cessazione biologica di funzioni vitali. Non saprei. Voi lo prendereste, il Dylar?

 

Rumore Bianco 7

Voi lo prendereste, il Dylar?

 

Forse non c’è assolutamente niente ed evitare l’angoscia è solo la mossa più saggia, eppure rimane questa ostinata impossibilità di determinazione, questa ambigua e ostinata fedeltà da una parte all’invisibile e al provabile dall’altra per cui ogni presa di posizione sarebbe cercare di barare e confondere le carte. Rimaniamo nella nostra contraddizione.

 

Intanto un Dylar analogico e fruibile senza incertezze è stato appena assunto per via oculocervellare, un libro per cui è pregnante la categoria di post-moderno come commistione degli elementi tradizionalmente appartenenti alla cultura ‘alta’ e motivi della cultura popolare. In questa totemica opera che non smetto di adorare la fusione è totale e, attraverso un godibilissimo uso del dialogo che magnetizza per freschezza e fluidità, l’autore specula sagacemente attraverso Jack (con l’efficace aiuto di Murray) toccando tematiche, inquietudini e nervi scoperti della modernità. La narrazione è sempre significativamente infarcita di presenze e voci pubblicitarie, televisive, radiofoniche che si inseriscono agilmente nel dettato (per semplice ed efficace giustapposizione) realizzando una sorta di polifonia merceologica nella quale la voce umana si disperde nelle molteplici voci morte della perpetua reclame disumana.

 

Rumore Bianco 8

Rumore bianco è un libro per cui è pregnante la categoria di post-moderno come commistione degli elementi tradizionalmente appartenenti alla cultura ‘alta’

 

Di fronte a queste fatue presenze, per finirla con George Steiner, salvifica e fruttifera è la «vera presenza» del classico che non smette di corteggiare la nostra stanca, distratta umanità.      

 

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