Due geni surreali.

È passato quasi un millennio dalla pubblicazione del Manifesto Surrealista di André Breton (1925), documento simbolo della nascita della corrente surrealista. Eppure sarebbe assurdo affermare che il surrealismo sia un movimento morto e sepolto con la morte dei suoi pionieri.
Ma la domanda è: ci troviamo di fronte ad un Nuovo Surrealismo o a un Surrealismo di vecchia data, banalmente plagiato senza pietà? Esiste una lecita via di mezzo?
Ora vi mostrerò un caso in particolare, un insolito accostamento dove i confini fra vecchio e nuovo sembrano sfocarsi, lasciando a voi il compito di trovare una possibile risposta.

 

Il celeberrimo Salvador Dalì, simbolo del surrealismo, al punto da auto-definirsi “il surrealismo stesso”, è deceduto tragicamente nel 1989, ma nella nostra più palpabile contemporaneità è sbocciata quella che per alcuni rappresenta la sua possibile reincarnazione. Non ci troviamo più in Spagna, ma a Mosca, dove il pittore-scultore è già conosciuto come “il Salvador Dalì russo”: stiamo parlando dell’artista prodigio Vladimir Kush.

 

Rappresentazione dei meccanismi dell’inconscio, atmosfere oniriche e deformazione del reale: Vladimir Kush ha tutte le carte in regola per essere considerato un surrealista a tutti gli effetti.
Eppure, piuttosto che essere considerato un “surrealista ritardatario”, preferirà utilizzare il termine di “realismo metaforico” per qualificare le sue opere. I suoi dipinti vogliono essere metafore del mondo stesso, del mondo in cui vive, in cui viaggia, in cui sogna. Egli crea associazioni imprevedibili che stimolano la mente dello spettatore, restando nella memoria. Tuttavia, pur volendo in qualche modo distanziarsi dal concetto di surrealismo, il suo “realismo metaforico” vi è strettamente ricollegabile.
Nel manifesto surrealista si precisa infatti che pur parlando di Surrealismo non bisogna confondere la citata sur-realtà come qualcosa di distaccato dalla realtà stessa. Il sur-reale non è una realtà trascendente anzi, l’artista ha un forte attaccamento alla realtà fenomenica, ed è proprio in essa che si immerge per vedervi la sua realtà onirica soggettiva.
Kush autodefinendo la sua arte col termine “realismo metaforico” non ha fatto che ribadire questo principio, sottintendendo che le sue opere sono delle rappresentazioni metaforiche del reale più vero e più puro.
Come ho già accennato Vladimir Kush è stato soprannominato “il Salvador Dalì russo”. Ciò non è per niente casuale: lui stesso non nasconde che Dalì sia una delle sue più grandi fonti di ispirazione. Fu un tale colpo di fulmine, che di fronte ad alcuni quadri di Kush, spesso si può avere il dubbio che si tratti di un Dalì.
Ma allora cosa ne sarebbe stato di Kush, se Dalì non fosse esistito?
Il nostro artista russo si è spesso divertito a rivisitare temi classici del mondo daliano, a modo tutto suo.
Ritroviamo il tema dell’uovo, caro a Dalì, che oltre ad averlo inserito in molti dei suoi quadri (El momento sublime) aveva addirittura fatto costruire un uovo gigante sul tetto della sua casa-rifugio di Port lligat.
Qui l’esempio di Sunrise by the Ocean (by kush) vs La metamorfosi di Narciso (by Dalì)

 

vladimir kush (1)

Sunrise by the Ocean (by kush) – La metamorfosi di Narciso (by Dalì)

 

 

L’uovo però assume un valore simbolico facilmente interpretabile in Kush, dove il tuorlo prende il posto del sole, simbolo di calore, di luce e quindi della vita stessa. Notiamo subito l’idea di realismo metaforico di cui si ritiene portatore, presentando i suoi quadri come interpretabili su due livelli, quello del reale e quello della metafora. In ciò, egli dichiara di essere stato influenzato dal padre, un matematico, che paragonando l’arte alla matematica gli fece capire che il significato del quadro deve essere subito chiaro, per far sì che l’osservatore possa accettare anche l’impossibile. Al contrario, Salvador Dalì sembra voler complicare l’interpretazione, portando le sue opere all’assurdo, come se il significato potesse spiegarcelo soltanto lui.
Da notare inoltre come Kush tenda a inserire “l’elemento intruso” in un contesto sostanzialmente realistico e il più delle volte naturale, laddove invece Dalì sconvolge il significato stesso di realtà, portandoci direttamente nel mondo del sogno.
Altro esempio di metafora visiva è resa evidente in  African Sonata, opera kushiana in cui gli elefanti sono dipinti con enormi tube al posto delle facce, chiaro rimando al suono emesso dalle loro proboscidi.
Anche qui notiamo il rinvio a un soggetto più volte rappresentato da Dalì, che aveva dipinto elefanti dalle gambe allungate nel suo famosissimo La tentazione di Sant’Antonio, per esempio. Vediamo ancora una volta come Kush tenda a restare fedele ad una rappresentazione realistica dell’animale, esteticamente perfetto in ogni suo minimo dettaglio (fuorché l’elemento intruso), nulla a che vedere con la completa distorsione messa in atto da Dalì, che li trasforma da figure pesanti e goffe, in figure relativamente sottili e leggere. Quest’ultimo si era giustificato così: “Le zampe lunghe ed esili contrastano l’idea dell’assenza di peso con la struttura. Dipingo immagini che mi riempiono di gioia, che creo con assoluta naturalezza, senza la minima preoccupazione per l’estetica, faccio cose che mi ispirano un’emozione profonda e tento di dipingerle con onestà”.

 

vladimir kush (2)

African Sonata (by Kush) – La tentazione di Sant’Antonio (by Dalì)

 

 

Rinoceronti e tigri sono altre figure animalesche riprese e distorte dall’artista russo. Ritroviamo la prima nel dipinto Troyan Horse,  in “concorrenza” con la scultura in bronzo Rinoceronte vestido con puntillas di Salvador Dalì (1956).
La seconda in Being a Tiger di Kush, e già protagonista del famosissimo quadro di Dalì: Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio (dove era apparso per la prima volta anche l’elefante dalle gambe allungate, 1944).
Importante sottolineare in quest’ultimo caso,  il ruolo significativo assunto dal titolo. Il nome dell’opera daliana cita il “volo di un’ape”, e guarda caso il capo della tigre di Kush diventa proprio una sorta di agglomerato di api. Banale coincidenza?  

 

vladimir kush (3)

Being a Tiger (by Kush) – Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio (by Dalì)

 

 

Infine Kush rilancia gli orologi molli di Salvador Dalì trasformandoli in orologi chiocciola.
La spirale, come lui stesso spiega, rappresenta la ciclicità del tempo, nella transizione fra notte e giorno, nella loro più completa rigorosità e oggettività.  
Gli orologi de La persistenza della memoria appaiono invece passivi, non funzionanti e sul punto di sciogliersi al sole. Essi, riferendosi alla teoria di Einstein, rappresentano il soggettivo trascorrere del tempo, che assume una velocità e una connotazione diversa in base alla logica del ricordo.  
Nelle immagini seguenti, Spiral of Time vs La persistenza della memoria

 

vladimir kush (4)

Spiral of Time (by Kush) – La persistenza della memoria (by Dalì)

 

 

Per concludere, entrambi gli artisti hanno un’ossessione, uno sfizio pittorico.  Ancora una volta, una congiuntura: si tratta in ambedue i casi di insetti, precisamente le farfalle in Kush e le formiche in Dalì.
Kush è talmente ossessionato dalle farfalle da inserirle ovunque, quasi patologicamente, in contesti sempre diversi. Esse simboleggiano libertà, leggerezza, ma anche la fragilità e a seconda dell’ambiente dove sono inserite, possono essere interpretate con un significato differente. Egli però tende a dare loro un ruolo da protagonista, laddove gli sciami di formiche in Dalì restano nella maggior parte dei casi inosservati e sempre in secondo piano, inserite quasi a mo’ di firma del pittore.  Inoltre le piccole creature daliane hanno talvolta un significato più macabro, richiamando alla morte e alla decadenza, oltre a uno spiccato desiderio sessuale. Le ritroviamo appunto ne Il grande masturbatore, dove ricoprono il ventre della cavalletta, o nel precedentemente citato La persistenza della memoria, sull’unico orologio chiuso del quadro, del quale non si mostra l’ora.
Insomma, i punti in comune fra i due pittori sono evidenti, ma l’arte di Vladimir Kush non si riduce a questo.
La domanda che vi ho posto all’inizio dell’articolo è lecita, ma non è da confondere con una domanda retorica. Le opere citate sono solo un centesimo dell’intero repertorio dell’artista russo e non vorrei che vi creaste pregiudizi senza dare un assaggio all’intera totalità del suo mondo pittorico.  
E visto che non tutti avranno la possibilità di fare un salto alle Hawaii e a Laguna Beach per visitare le sue gallerie, vi invito a dare un’occhiata alla sua pagina ufficiale, nella quale spesso l’artista accompagna le sue opere con una breve descrizione.