Un viaggio mentale è un racconto che descrive come un semplice sogno possa sfociare nella realtà.
E’ il mio turno, non posso più tornare indietro, ora o mai più.
E’ il momento della verità, non un semplice viaggio mentale (forse) e il professore lo sa.
“Venga Borghini…si sieda”.
Io mi siedo e lo scruto con sguardo da cane impaurito.
Ha gli occhi da predatore in attesa di sbranare la preda.
“Vedo che è il suo ultimo esame. Vedo anche che è fuori corso di un anno e mezzo. Come mai ha impiegato tutto questo tempo? Studente lavoratore?”.
“Avevo delle cose da risolvere”.
Il professore si alza e accende il proiettore, sullo schermo appare un teatro antico.
Dietro di me non c’è nessuno, siamo solo io e lui.
“In che periodo ci troviamo?”.
“Siamo nell’età romana” rispondo prontamente.
“No, si sbaglia, guardi più attentamente”.
Io rimango perplesso, la mia risposta è giusta ma a lui non va bene.
“Teatro di Tito, Anfiteatro Flavio, età romana, 80 d.c. né un anno di più né uno di meno”.
“Si sbaglia Borghini, la verità risale a molto tempo prima”.
Non capisco bene cosa vogliano dire quelle parole, ma una cosa è certa; non può essere un teatro greco e su questo non ci piove.
“Non si limiti ad usare gli occhi. Se ha bisogno di tempo si alzi e vada pure a guardare da vicino”.
Seguo il suo consiglio, mi avvicino al telo. Spalanco gli occhi, ma davanti a me vedo sempre il teatro di Tito.
Improvvisamente una mano mi spinge, scivolo dentro il telo.
Mi giro e intorno a me vedo il teatro di Tito. Dall’altra parte c’è il professore che mi guarda.
Da osservatore sono diventato osservato.
“E’ riuscito a capire ora Borghini?”.
Ma capire cosa? So solo che mi trovo intrappolato in questa diapositiva sfocata. Non so come, ma ci sono finito dentro.
“Aspetti Borghini, ora la raggiungo”.
Il professore si tuffa verso di me.
E’ passato, ce l’ha fatta.
“Ora anche lui è intrappolato in questa diapositiva del cazzo. Ben gli sta” penso con un briciolo di cattiveria.
“Andiamo Borghini, mi segua, ora le mostrerò la verità riguardo al teatro”.
Mi giro ma il teatro non c’è più. E’ scomparso.
Al suo posto c’è un’enorme vasca d’acqua.
Il professore senza battere ciglio si butta completamente vestito.
“Venga Borghini mi segua”.
Io sono un po’ titubante. Dal centro della vasca si erge un palo che arriva su fino in cielo.
Ai lati spuntano delle cabine simili a quelle delle giostre panoramiche.
Il professore è già lì bello comodo su una di esse. Mi fa cenno con la mano di seguirlo.
Non ci penso due volte. Prendo la rincorsa e mi tuffo di getto.
Dopo alcune bracciate arrivo davanti al palo.
“Come faccio ad arrivare lassù?” chiedo guardando il professore.
“Te fallo. Fallo e basta”
Non mi sembra una risposta molto logica per un professore.
Mi rimbocco le maniche e inizio a scalare quel maledetto palo.
Dopo aver sputato litri di sudore, finalmente raggiungo la cabina.
Mi siedo accanto al professore e lo guardo in attesa di qualcosa.
“E’ riuscito a capire adesso?”.
Lo dice come se fosse tutto chiaro, ma niente è più incasinato di questa situazione assurda.
“Sarò franco. Non ho capito un bel niente”.
“Male Borghini, male. Pensavo, che dopo tutto questo, avesse capito” mi dice scuotendo la testa.
“Ma capito cosa?” mi domando, con una gran voglia di dargli un bel ceffone su quella faccia sorridente, ma non lo faccio; improvvisamente dentro di me si inerpica una sensazione strana, inizio quasi a voler bene a quel professore che fino a poco tempo prima appariva ai miei occhi come un predatore affamato.
“Evidentemente non sei ancora pronto. Hai bisogno di un piccolo aiuto” mi dice passandomi degli occhiali davvero ridicoli, perfino peggio di quelli usati per vedere i film in 3d.
Mi sento scemo con quegli occhiali e mi vergogno anche un po’, ma tanto siamo solo io e lui.
Non appena messi gli occhiali tutto si dissolve.
Improvvisamente rimango solo. Il mio Virgilio in questo viaggio assurdo è come scomparso.
Sono in una specie di caverna rossa.
Fa freddo, forse perché sono ancora bagnato, forse perché sono rimasto da solo, forse perché è il momento della verità.
Mi addentro nella caverna, sempre con quegli orrendi occhiali da sole.
Sono diventati parte di me, ormai.
Vado avanti e noto che ai lati della caverna ci sono piccoli schermi che trasmettono qualcosa.
Mi avvicino al primo, lo guardo e non c’è niente. Una malinconia improvvisa mi assale lentamente.
Sono scosso, ma non so il perché.
Davanti a me solo uno schermo bianco.
Decido di andare avanti, di farmi forza.
“E’ il momento della verità, non posso arrendermi ora” penso stringendo le spalle per il freddo.
Arrivo allo schermo successivo, lo guardo con attenzione, ma vedo solo qualche immagine sfocata.
Sento una fitta allo stomaco, una lacrima mi scende da un occhio.
Asciugo la lacrima e inizio ad avere paura.
Non capisco perché, però ho davvero paura.
“E’ il momento della verità. Non posso deludere il professore” penso proseguendo.
Arrivo davanti all’ultimo schermo.
Metto le mani davanti agli occhi creando un piccolo spiraglio per poter guardare, ma sono sinceramente spaventato.
So che guardando questo ultimo schermo potrei perdere tutto, potrei rimanere vittima di me stesso, potrei deludere le aspettative del professore, potrei deludere le aspettative dei miei familiari, ma potrei arrivare anche alla verità.
Scosto le mani e guardo spavaldo, non curante di quello che mi potrebbe succedere.
Scoppio in pianto, tremo, rido, urlo; è un calderone di sensazioni.
Finalmente capisco.
Su questi schermi sono rappresentate tutte le mie paure.
E’ il duro confronto con la realtà e con me stesso, non posso fuggire in eterno.
Affronto tutto questo da solo.
“Grazie professore per avermi indicato la via, ora posso camminare con le mie gambe”.
Mi sveglio, guardo l’orologio, 6 in punto.
Ho un leggero mal di testa ma mi sento più forte.