Don DeLillo ha radunato nel suo più grande capolavoro le paranoie, i miti, gli eroi, di cinquant'anni di America.

Di mezzo c’è stata una moltitudine confusa di eventi storici: le Torri Gemelle crollate per mano di Al-Qaeda; una guerra civile che ha provocato la morte di tremila soldati americani e di un milione di iracheni; un informatico originario di White Plains che ha fondato, insieme ad altre cinque persone, il social network più famoso del mondo; e poi: uno dei cinque uragani più gravi della storia degli Stati Uniti; una condanna a morte che ha destato scalpore in tutto il mondo (come dimenticare il volto spaesato di Saddam Hussein mentre gli stringono un cappio al collo?); lo scoppio di una bolla immobiliare che ha fatto tremare le banche e le borse di tutto il pianeta; e ancora: un Presidente degli Stati Uniti d’America di colore; la morte del Re del pop Michael Jackson; l’uccisione di Osama Bin Laden; la scomparsa di Steve Jobs; fino a una strage in un locale gay della Florida e, al posto della consueta ciliegina sulla torta, il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump.

 

Ebbene sì. Sono trascorsi vent’anni dalla data della prima pubblicazione di Underworld, uno dei libri centrali della narrativa postmoderna americana. Vent’anni da quando un uomo di nome Don DeLillo (nel 2016 in testa alle classifiche degli autori più venduti con il suo ultimo romanzo Zero K) decise all’improvviso di spezzettarci l’America, mangiarsela e vomitarcela addosso attraverso 840 pagine di pura maestria. Ma di cosa parla, precisamente, quel monumento testuale?

 

Personalmente scelsi di confrontarmi con la lettura di Underworld nel mese di ottobre 2016. L’occasione me la fornì il tour promozionale dell’autore per Zero K. Quando seppi che, la sera del 24 ottobre, Don DeLillo sarebbe stato al Circolo dei Lettori di Torino, non me lo feci ripetere due volte: presi in mano il cellulare e chiesi a un caro amico che vive al Nord il favore di comprarmi una copia di Underworld, e di farmela autografare da DeLillo in persona.

 

Underworld 1

Don DeLillo

 

Se c’era un motivo (pratico) per cui quell’autografo mi serviva, era questo: mantenere costante, durante tutto l’esercizio della mia lettura, la consapevolezza che quel libro non fosse esistito per uno strano scherzo dell’editoria, bensì per lo sforzo mentale, fisico e intellettuale compiuto da un essere umano. Una persona come me, insomma. Altrimenti, questo è quello che pensavo, sarebbe stato davvero difficile credere che una sola mente umana avesse potuto riuscire nel compito di dipingere, per altro con dovizia di particolari e suggestioni, l’affresco più completo di un cinquantennio di storia statunitense attraverso i nomi dei suoi protagonisti più illustri: da John F. Kennedy a Lenny Bruce; da Frank Sinastra a Andy Wharol; da Truman Capote a Fidel Castro; da Edgar Hoover (il potente capo dell’Fbi) ai Rolling Stones.

 

L’intera avventura letteraria di Underworld comincia con la descrizione di una leggendaria partita di baseball tra i Giants e i Dodgers avvenuta il 3 Ottobre del 1951 al Polo Grounds di New York. Durante quella partita, Cotter, un ragazzino nero di Harlem, si impadronisce della palla con cui viene battuto il fuoricampo che assicura la vittoria (e il campionato) ai Giants. A questo punto, non solo la descrizione della pallina vale quanto tre corsi di creative writing insieme, ma ripaga l’intera pena di lasciare tutto (TUTTO) quello che si sta facendo, per tuffarsi a capofitto in queste pagine senza tempo. Guardate qui:

 

«Una palla da baseball la si strizza. La si spreme, per così dire, o la si munge. La resistenza del materiale pressato fa venir voglia di stringere più forte. C’è un equilibrio, una piacevole tensione animale tra l’oggetto di pelle dura e la mano ad artiglio, con le vene gonfie per lo sforzo. E la sensazione delle cuciture in rilievo sulla punta delle dita, contorni di filo simili a gobbe sotto le articolazioni delle nocche – il cotone ritorto che può essere visto come un’impronta di pollice ingigantito delle spirali sul polpastrello del tuo pollice. La palla era color seppia intenso, impastata di terra, erba e generazioni di sudore era vecchia, sbattuta, pesta, intrisa di tabacco e marchiata dal tempo e dalle vite che aveva alle spalle, chiazzata dalle intemperie e personalizzata come una casa in riva al mare. E aveva una striatura verde vicino al marchio di fabbrica Spalding, aveva ancora un piccolo livido verde nel punto in cui era andata a sbattere contro un pilone secondo la storia che l’accompagnava, vernice scrostata di un pilone imbullonato nelle tribune dell’area sinistra impressa sulla superficie della palla. Trentaquattromila e cinquecento dollari».

 

Durante il romanzo questo cimelio d’amore viene via via rubato, venduto, regalato. E sono proprio i passaggi che compie di mano in mano i pretesti narrativi per raccontare tutta l’America dall’inizio della Guerra Fredda fino al crollo dell’Unione Sovietica.

 

«La palla non portava né fortuna né sfortuna. Era un oggetto che passava di mano. Ma spingeva la gente a raccontargli cose, a confidargli segreti di famiglia e storie personali inconfessabili, a singhiozzare di cuore sulla sua spalla.».

 

Seppure i temi trattati all’interno del volume siano tanti, tutto è manipolato con i guanti dell’originalità: dall’ossessione tutta contemporanea di guardare la morte in video (si veda per intero il primo capitolo della seconda parte); alla tecnologia impazzita che «redime la confusione e fa avverare la realtà»; dalla violenza facile che corrode come una macchia appiccicosa di una sostanza tossica la società contemporanea – «Vivere era impossibile. Non si poteva camminare per strada mettendo un piede davanti all’altro. Perché sai che succede? Succede che ti ammazzano. […] Questa è l’ultima novità in fatto di morte e minacce. Tu li guardi e loro ti ammazzano. Incroci il loro sguardo per sbaglio, e questo gli dà il diritto di mettere fine alla tua vita.» – alla sostanziale mercificazione dei corpi femminili, che in molti casi ha a che fare con il consumismo più bieco, altro tema preponderante dell’opera:

 

«Videro una prostituta il cui seno al silicone aveva cominciato  a colare, poi si era rotto e infine un bel giorno era esploso, schizzando polimeri in faccia all’uomo che le stava sopra, e adesso era disoccupata e viveva in una stanza grande come un loculo».

 

Tuttavia trattandosi di un lavoro, anzi, del capolavoro, di un Maestro, lungo tutto il volume vengono distillate non poche intuizioni geniali che – per l’appunto – ci si aspetta da uno come lui. Mi vengono in mente soprattutto quei passaggi indimenticabili ispirati dalla facoltà mentale che più connota l’autore americano, ossia la prescienza. Ma non quel tipo di prescienza che immaginiamo tutti, figuriamoci, parlo proprio della prescienza ottenuta con la consapevolezza di venire dopo che poi è uno dei criteri del postmoderno (basti pensare alla stessa immagine scelta da DeLillo per la copertina di Underworld, su cui si stagliano le Torri del World Trade Center): il primo esempio lo ritroviamo a pagina 179, dove un personaggio di nome Marvin fa notare che il primo segno del collasso totale dell’Unione Sovietica si trovi sulla testa di Gorbačëv.

 

Infatti, provateci, se si fa ruotare la carta della Lettonia di novanta gradi in modo che il confine orientale venga a trovarsi in cima, si ottiene esattamente la celebre macchia che Michail Sergeevič Gorbačëv ha stampata sulla testa; il secondo lo troviamo a metà del settimo capitolo della quinta parte (siamo oltre la metà dell’opera, precisamente a pag. 672) dove con precisione chirurgica si racconta di una fantomatica ragazza dal talento speciale che non ha niente a che vedere col sesso in sé: sa fumare una sigaretta con la passera (!); e che dire di uno dei passaggi finali in cui l’autore immagina un domani in cui sia possibile vendere un paio di testicoli per quattromila dollari a un’azienda russa che si fa carico di asportarli chirurgicamente per poi ridurli in poltiglia fino ad estrarne un liquido sciropposo risultante come crema di bellezza, con guadagni da capogiro?

 

Underworld 2

Underworld è un vortice postmoderno che investe l’America

 

Ma se, in definitiva, mi si chiede dove risieda la forza di questo grande autore, che per una serie di motivi facilmente intuibili oggi avrebbe molta più difficoltà a raccontare l’America più recente (anche se il romanzo del 2008 L’uomo che cade è un bel segno di sfida accettata), risponderei di cercarla nel coraggio con cui ha saputo sfidare la sua visionarietà facendola stridere con una realtà solo in superficie asintomatica e decifrabile, e imponendo al lettore di farsi le sue stesse domande, legate alla paura di chi conosce i pericoli della tecnologia. Come quella presente a pagina 547:

 

«Ma che succede, pensò Eric, se un bel giorno muori e scopri che tutto quello che hai fatto in privato, nell’aldilà diventa accessibile a chiunque. Tutti vengono a sapere quello che hai sempre fatto mentre ti credevi assolutamente, astutamente al sicuro, invisibile.».

 

Non è, forse, una delle domande che ci poniamo più di frequente negli ultimi anni? Sembra addirittura un plot per una puntata di Black Mirror. Per non parlare della riflessione più twittata dell’intero romanzo (eppure Twitter era ancora nel liquido amniotico di mamma tecnologia, quando è stata pensata e scritta):

 

«C‘è solo una verità. Chiunque controlli i tuoi globi oculari, governa il mondo.».

 

A ben vedere tutti i personaggi di DeLillo sono intrisi di una medianità che li ha esautorati di ogni capacità di decidere e forse di vivere. Resta da immaginare quale sarebbe stata la gamma dei protagonisti scelta da DeLillo per raccontare gli anni successivi a quelli già raccontati.

 

Underworld non è un libro per tutti. Se non altro perché quello che in Underworld è grande, agli occhi di più di qualche lettore viziato dal moderno senso dell’immediato, potrebbe risultare tedioso. Ma chi vuole scrivere, chi vuole capire cos’è la Letteratura, quella vera, che brucia gli occhi e non fa dormire, non può esimersi dal confrontarsi con questa bestia della Parola.

 

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