I Vampiri di oggi, i Vampiri di ieri e tutto quello che i Vampiri potevano essere (e non sono stati).

“Venendo all’ultimo argomento, come procede la caccia ai Vampiri?”

L’uomo in piedi di fronte al tavolo, guance lisce e posa rigida, si raddrizza.

“Procede. Si nascondono bene, ma sappiamo come stanarli. La luce del sole non gli è amica”. Si concede un sorriso, e le labbra sono fili di rasoio. Magro e ossuto, l’uomo ha occhi che ammiccano e un naso un po’ troppo grande, che gli conferisce una voce tremula. A vederlo in abiti civili lo si scambierebbe per un impiegato. In quel momento indossa una divisa grigia, che gli fa quadrato sulle spalle come fosse una taglia più larga, e lucide scarpe nere.

“Per la fine della settimana voglio un rapporto dettagliato. Sono arrivate le nuove divise a collo alto rinforzato?”

“Sì. Stia tranquillo: non spilleranno nemmeno una goccia del sangue Ariano”.

 

L’interlocutore seduto al tavolo è curvo, come sotto un peso terribile. Ha pochi capelli, condannati a essere eternamente sporchi, e piccoli baffi dritti. Gli occhi dietro alle lenti tonde sono allungati, dal taglio obliquo e triste. Se son si fosse scavato una tana nel reame del Terrore, ispirerebbe sentimenti di compassione. Annuisce lentamente, e intanto gratta il mento del pastore tedesco che gli annusa la mano.

L’uomo in piedi ammira la capacità di sopportazione del Comandante. Sa quale fardello, enorme e necessario, egli porti quotidianamente. Entrambi conoscono intimamente la solitudine, ma solo uno porta su di sé le terribili responsabilità del potere. Oltre alla medesima disposizione d’animo, condividono un passato di lotte condotta fianco a fianco, e sempre nel nome del Bene Superiore. L’uomo in piedi lo seguirebbe fino all’Inferno: sa che il loro sodalizio, nato nel sangue delle Bestie, finirà solo quando l’ultimo nemico degli Uomini si sarà contorto con dolore intorno al legno di un paletto.

 

“Molto bene. Il sole sta calando, si assicuri che le pattuglie di Heinrich vengano equipaggiate con le nuove divise già per i turni di stanotte. Può andare.”

L’uomo sbatte in tacchi, alza un braccio e urla il saluto di rito. Adolf Hitler non risponde: gli sta già dando le spalle, in piedi di fronte alla vetrata. Le strade di Berlino sono una rete di cemento grigio che scivola nel buio, indifferente agli ultimi raggi di luce fredda. Otto Adolf Eichmann lascia la stanza, e mentre il suono dei suoi passi risuona nel corridoio il Fuhrer riflette su Bene Superiore, e sull’ennesima notte di terrore che li aspetta.

Maledetti Vampiri del cazzo, pensa. Maledetti Vampiri Ebrei del cazzo.

 

*

Quella che avete appena letto non è una storia vera. Non è mai accaduta, né nella realtà (duh?) né nella letteratura. Vale a dire che nessuno l’ha mai pensata, né elaborata, né scritta. È una non-storia, e potete pregiarvi di averla non-letta.

 

Quella che avete appena non-letto è una non-storia di Vampiri che oggi, fortunatamente, nessuno scriverebbe mai. Tra le tante folli tesi che costellano la galassia filo-nazista, ne manca una che assimili Hitler a Van Helsing. Al netto di revisionismi e negazionismi, la Storia (con la s maiuscola) si è già espressa, sia sui Vampiri che sul nazismo. Come ci ricorda La Svastica sul Sole di Philip Dick, comunque, non ci sarebbe voluto molto perché il giudizio sulla Germania hitleriana cambiasse totalmente verso (un pezzettino di plutonio in più, magari). Perché cambiasse quello sui Vampiri, invece, sarebbe bastato ancora meno. Una svolta sbagliata nel cammino della letteratura, e nell’immaginario collettivo odierno il Vampiro si sarebbe associato a cose ben più sgradevoli dell’erotismo pubere. Al posto dello scamiciato Robert Pattinson, la distopia in discorso conoscerebbe ebrei-vampiri.

 

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Brad Pitt è stato uno dei vampiri più famosi del cinema in Intervista col Vampiro

 

Come vedremo, si trattava di una possibilità remota. I nazisti hanno perso e il Vampiro è oggi il nostro quasi-migliore amico. Ma va comunque tenuta a mente: se l’ipotesi di una vittoria nazista è ormai relegata al terreno della fiction, e costituisce soprattutto un esercizio di immaginazione, quella di una perversione concettuale del Nosferatu è sempre dietro l’angolo e ha ancora parecchio da insegnare.

Al netto del disgusto per la deriva degli Immortali Sbrilluccicanti e del rimpianto per i “bei tempi andati”, infatti, uno sguardo al Vampiro-infante (quello che ancora doveva sbocciare nel paradigma Stokeriano, l’immagine ondivaga che emerge dalla letteratura pre-Dracula) ci rivela che il Vampiro odierno sarebbe potuto essere qualcosa di ben diverso. Più inquietante, ma non per questo migliore.

 

*

Non è un mistero che sia stato il Dracula di Bram Stoker a consacrare la figura del Vampiro all’altare della letteratura di genere; né è un mistero che nella biblioteca di Stoker abbondassero opere che avevano già affrontato il tema Vampirico, dalle quali l’Autore pesca più o meno a piene mani per consegnare ai posteri il suo Immortale.

 

Chi però volesse risalire il fiume delle fonti alla ricerca della Sorgente finirebbe per perdersi: le origini del Vampiro intrecciano mito, letteratura e realtà in un gioco di continui rimandi e corrispondenze intraviste. Incapace di riflettersi negli specchi (un tratto che deve all’inventiva di Stoker), il Vampiro scivola fra le ombre e sfugge a risposte definitive.

 

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I Vampiri scivolano fra le ombre sfuggendo a risposte definitive

 

Le stesse radici del lemma (quelle linguistiche) sono incerte: “вампир”, dal Serbo, è l’ipotesi che riscuote il maggior successo; ma non risolve il dilemma sull’etimologia, e finisce per essere una spiegazione tautologica (la parola verrebbe usata per descrivere il Vampiro, ma si risolverebbe in un neologismo di origine ugualmente incerta). In questo senso l’ipotesi Turca sembra offrire maggior conforto: così Vampiro nascerebbe da “uber”, strega, passando per i vari sinonimi Slavi (“upior”, “uper”, “upyr”). Presi dall’entusiasmo, si pensa a The Strain e agli “strigoi”, il termine Rumeno usato per descrivere i Vampiri, ed ecco che la corrispondenza Strega-Vampiro acquista forza.

 

Al di là dell’attendibilità di certe teorie, l’idea che il Vampiro sia una espressione del Male (e che quindi possa associarsi linguisticamente ad altre forme in cui il Male si manifesta) troverebbe conferma anche nelle sue radici mitologiche. Dalle lamie e le strigi greche alla mesopotamica Lilitu, poi traghettata nell’ebraica Lilith, l’associazione fra sangue e vita (pervertita nel consumo del primo per prolungare la seconda) sarebbe così diffusa in ogni cultura da fare del Vampiro un archetipo Junghiano: il punto d’origine del mostro, passando per il medium del mito, diventerebbe così l’inconscio collettivo. D’altronde il taboo della consumazione del sangue è vecchio (quasi) come il mondo: Genesi 9:4, “ma non mangerete carne con la sua vita, cioè con il suo sangue”.

 

Chissà. Se quella del Vampiro è davvero una “maledizione divina”, come ricordava già Prosper Méerimée nel suo “La Guzla”(1827), il Paziente 0 potrebbe essere colui che per primo fu maledetto da Dio. Caino, assassino e intoccabile, ovverosia immortale. L’idea affascina, e su di essa il gioco di ruolo Vampire: The Masquerade impernia l’origine dei suoi Vampiri (per l’effetto creando una generazione di nerd per i quali l’associazione Caino = Primo Vampiro è quasi scontata). Ma i riscontri si trovano anche in letteratura: Grendel, il mostro del poema epico inglese Beowulf, succhia sangue e discende – guarda un po’ – proprio da Caino. Coincidenze?

 

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Un’immagine dal videogioco Vampire:The Masquerade

 

Potremmo continuare a lungo: continui rimandi e corrispondenze, come si è detto. Ma il Vampiro della letteratura gotica dovrà pur nascere da qualche parte, no? Al netto delle ipotesi mitopoietiche, delle costellazioni di puntini da unire e delle vaghe coincidenze, da dove arriva il nobile alto e pallido che infesta i sogni dell’onesta borghesia Londinese? E soprattutto, che forme assumeva nelle sue prime manifestazioni letterarie?

 

Chiudendo un occhio di fronte alle meraviglie del possibile e concentrandosi solo su di lui, si scopre che il Vampiro letterario (l’infante reso adulto dalla penna di Stoker) nasce da un posto inatteso e piuttosto noioso: la realtà.

Inizialmente si lascia appena intravedere, facendo capolino nel dodicesimo secolo: nel suo Historia Rerum Anglicarum William of Newbury descrive la straordinaria storia (vera, il piglio è quello del cronista) di un uomo ritornato dal mondo dei morti per tormentare i parenti. L’apertura della tomba e la scoperta del suo cadavere “pieno di sangue e non decomposto” sono familiari.

 

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Uno dei vampiri più famosi della storia: Vlad III di Valacchia detto anche Dracula

 

Per motivi ignoti, salvo questa breve apparizione il Vampiro dorme per almeno cinque secoli, per poi ripresentarsi in Serbia agli inizi del ‘700: in uno sperduto villaggio di montagna il Vicario Imperiale Frombald riporta una storia molto simile a quella di Newbury, anche se ben più dettagliata (il suo resoconto offre quasi tutti gli elementi topici, compresi i paletti da piantare nel cuore del mostro, il defunto Peter Plogojowitz). A nemmeno un anno di distanza la cosa si ripete, sempre in Serbia (il nome è quello di Arnold Paole), e stavolta a raccontarlo sono persino dei medici.

Tutte cose realmente successe, sulla scorza di un’isteria collettiva che cumulava morti per tubercolosi all’incomprensione per fenomeni ormai considerati naturali nel processo di decomposizione dei corpi. Vallo a spiegare a Don Augustine Calmet, che a quel che scrive nel suo Dissertations sur les apparitions des anges, des démons et des esprits, et sur les revenants et vampires de Hongrie, de Bohême, de Moravie et de Silésie ai Vampiri ci crede parecchio (e con lui molti altri, in un’esplosione di trattatistica Vampirica che fra il 1728 e il 1746 vede la comparsa di almeno una decina di opere).

 

I giornali Europei annusano il potenziale, e in breve tempo l’isteria vampirica filtra dalla realtà alla letteratura: prima la poesia (“Der Vampir”, poemetto del tedesco Ossenfender) e poi la prosa. D’altronde il terreno è quello fertile sul quale, alla fine del secolo, sboccerà il Romanticismo: il Vampiro si appresta a diventare il mostro gotico per eccellenza.

Nelle sue prime manifestazioni era comunque ancora lontano dalle vette romantiche, un po’ scrauso e quasi più simile a uno zombie: raccoglieva il folklore Balcano (o meglio le cronache) e lo riciclava nel tema del morto che ritorna pieno di brutte intenzioni. Le prime innovazioni comunque non tardarono ad arrivare: con un inatteso rovesciamento del meccanismo di genere, nel suo poema “Lenore” (1773)  Gottfried August Bürger attribuisce a un personaggio femminile il ruolo di ritornante, segnando uno degli elementi paradigmatici che Stoker provvederà a ridimensionare: il Vampiro, il morto che ritorna, è donna.

 

La femminilità del Nosferatu, insieme alla sua carica erotica (fra denti e paletti la penetrazione è ovunque) è tanto per cominciare la cifra distintiva del “Carmilla” di Le Fanu (che anticipa Stoker su molti temi e che in tema di erotismo gli dà una pista), nonché dell’incompiuto poema di Coleridge dal titolo di “Christabel”, due opere troppo simili per non ritenere la prima almeno un vago omaggio alla seconda. Proseguendo sulla strada dell’inquadratura di genere, le tre donne di Poe ritornate dal mondo dei morti (Ligeia, Berenice e Morella) non sarebbero altro che Vampire sotto mentite spoglie. Se si vuole, le si chiami pure streghe: si è già detto come i due concetti possano compenetrarsi.

 

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Il Vampiro è donna?

 

Carmilla, nobile e bellissima, raccoglie a sua volta l’eredità del Lord Ruthven di Polidori (“The Vampyre”, 1819, i cui germi nascono insieme a quelli del Frankenstein nella famigerata Sfida a Villa Diodati): già nella prima metà del secolo il Vampiro inizia a risalire la piramide sociale, ascendendo ai ranghi della nobiltà e scardinando lo stereotipo contadino (assai noioso, e nella logica del tempo assai realistico).

È inevitabile che per strada si perda qualcosa: il rimedio delle origini al morso vampirico, cospargersi della terra in cui il Vampiro è stato sepolto (nonché del sangue che gli scorre impunemente nelle vene) scompare dai testi. Troppo sporco, troppo da poveri. Ben poco adatto alla sensibilità romantica.

 

Così, nel giro di un secolo e mezzo, il Vampiro emerge dalle ombre del medioevo passando per il canale del reale, e dopo un po’ di assestamento si erge, maturo, dall’alto del suo castello Transilvano. Ci sono parecchie tappe intermedie che meriterebbero di essere ricordate: il magistrale “The True Story of a Vampire” del Conte Stenbock, che rovescia Carmilla nel segno di un’omosessualità maschile; l’anonimo “The Mysterious Stranger”. Un panorama ampio ed eterogeneo, di cui forse solo la metà era nota a Stoker. Un insieme di occhiate, ammiccamenti e tentativi di alzarsi in piedi di una creatura che sarebbe potuta essere molte cose.

 

Quella del Vampiro letterario è, in effetti, soprattutto una storia di fortuna. Non fosse stato per due poveri Serbi morti di tubercolosi, il Nosferatu sarebbe rimasto sepolto nella trattatistica medievale. A farne un signore pallido e affascinante, di estrazione sociale assai elevata, ci ha pensato l’animo Ottocentesco. Il Vampiro aveva comunque in sé tutti gli elementi per essere altro: una strega dalle abitudini particolari, uno zombie ante-litteram, un espediente presto dimenticato per giocare con l’erotico e il fantastico.

Non è stato nessuna di queste cose. La fortuna editoriale del Dracula ha fermato l’oscillazione fra i poli del possibile, consegnandoci un Mostro lucido e dai tratti definiti che non si sbaglierebbe a definire Sacro (fosse solo per le difese a spada tratta che riceve).

 

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Per comprendere il senso dell’introduzione, e individuare quei tratti del Vampiro che avrebbero legittimato  certe terrificanti associazioni, bisogna soffermarsi su un aspetto del Dracula fortunatamente abbandonato dalla posterità: quello della xenofobia.

Oltre al fascino maledetto dell’Inferno, il nobile Transilvano incarna anche un certo terrore per “l’altro” che era ben noto alla sensibilità Romantica. Un piccolo aggiustamento di prospettiva, e l’elegante Conte straniero diventa un rumeno dall’alito pesante che si presenta in Inghilterra con il piglio dell’invasore. Oh, dopo tutto non è che avesse proprio le migliori intenzioni.

 

Per riaggiustare ulteriormente il tiro, aggiungiamo all’equazione le terribili “accuse del sangue” resuscitate dalla propaganda Nazista, secondo cui gli Ebrei avrebbero avuto il vizietto di rapire i bambini cristiani per usarne il sangue nei loro rituali (oggi sgraniamo gli occhi, ma nel quattrocento a Trento su questa cazzata ci hanno costruito un Santo). Quegli stessi Ebrei che la propaganda definisce come “parassiti. Inizia a delinearsi un altro terrificante ammiccamento, una corrispondenza che (fortunatamente) Storia e Letteratura hanno saputo schivare.

 

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Christopher Lee nei panni del Conte Dracula

 

C’è, comunque, mancato poco: “Il Bacio di Giuda”, 1893, fa dell’Iscariota il primo Vampiro e di tutti i suoi discendenti i perpetratori della maledizione. Sarebbe bello leggere la cosa in chiave erotica, nell’accostamento fra bacio e morso; ma resta il dubbio che un pelo di antisemitismo ci sia.

In ogni caso tutto questo è sfuggito al regime nazista, che fra i propri tanti orrori non annovera anche la perversione del mostro gotico alla bandiera della propaganda. Avrebbe potuto farlo? Probabilmente. E viste le gambe ancora giovani su cui camminava il nostro Dracula, chi può dire come ne avrebbe risentito?

 

È andata diversamente: da Stoker a oggi, la distanza fra noi e il mostro si è andata accorciando, trasformandolo letteralmente in un vicino di casa.  È stato un processo di avvicinamento progressivo, iniziato (con buona pace dei fan) con Anne Rice e culminato in Twilight, nel quale il Vampiro ha perso le proprie prerogative aliene e spaventose, per diventare invece paradigmatico di un ethos un po’ cheesy, fondato sulla comprensione di ciò che appare bestiale ma che tutto sommato non lo è.

È vero, l’alito alla menta del Vampiro-teenager ci fa inorridire, e per i motivi tutti sbagliati. La paura è finita nel dimenticatoio, forse soverchiata da una realtà che offre orrori con cui è difficile tenere il passo, e il ruolo del Nosferatu è diventato ormai quello di prenderci per mano. Ma se consideriamo una delle tante possibili alternative forse possiamo arrivare a guardare Robert Pattinson e tirare un sospiro di sollievo.

Sarebbe potuta andare peggio. Molto, molto peggio.

 

Post Scriptum.

Genesi 33:4

Esaù, dopo essere stato fottuto malamente dal fratello Giacobbe (storia di eredità), “gli corse incontro, l’abbracciò, gli si gettò al collo, e lo baciò”. Una reazione un po’ anomala, visto il contesto.

Forse aiuta sapere che “neshikah” si traduce in “bacio”, ma “neshicha” si traduce in “morso”.

Sia come sia, la conclusione è una sola: maledetta, oggi e sempre, la dottrina delle corrispondenze.

 

 

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