Un corpo, e una voce, di fronte alla sfida della parola

Una scena nuda e disadorna. Un palcoscenico vuoto, chiuso da un grande fondale nero. Un leggio lievemente decentrato, unico elemento che rompe la povertà dell’allestimento. Si potrebbe pensare a un ennesimo caso di spending review. E invece no. Una scelta registica precisa ed efficace quella voluta da Sandro Veronesi, attore e autore di Non dirlo. Il Vangelo di Marco, andato in scena il 28 giugno scorso al Festival dei 2 Mondi di Spoleto e replicato il 3 e 4 novembre al Teatro Fabbricone di Prato.

 

Nessuna scenografia, nessuna musica. «Soltanto un corpo, il mio, che s’interpone fra testo e pubblico», ha dichiarato Sandro Veronesi. Un corpo presente ed energico combinato a una voce vigorosa e coinvolgente, tinta di un leggero accento toscano solo a tratti lasciato libero di tradursi in espressioni vernacolari, hanno fatto di questo monologo un vero e proprio show. Battute brillanti e metafore cinematografiche inaspettate hanno stemperato il carattere austero del testo senza mai banalizzarlo, rendendo gradevole e accattivante la lectio magistralis del grande maestro pratese. Un istrione alla Benigni, spoglio di Dante, di Santa Croce e delle telecamere della Rai, ma impegnato nella stessa impresa divulgativa. Davanti a lui una platea (quasi) gremita, ammaliata e sorprendentemente divertita dall’esegesi del Vangelo di Marco.

 

Ma perché uno scrittore pluripremiato, votato alla letteratura, sceglie di cambiare totalmente registro, dedicandosi alla scrittura e all’interpretazione di un testo teatrale dall’argomento tanto complesso? Sandro Veronesi ha scoperto la portata rivoluzionaria del primo Vangelo sinottico e ha voluto riportarne in scena le più sconvolgenti verità. Brano dopo brano, evento dopo evento, viene analizzata la vita di Cristo, raccontata per fatti concreti: i viaggi, i miracoli, la quarantena nel deserto, la condanna per apostasia e infine la morte. Ed è proprio qui che Marco dimostra la sua forza. Astuto e audace, egli non si rivolge ai Giudei o a Teofilo, ma parla direttamente ai romani, raccontando loro la parabola dell’esistenza di Cristo, prima eroe onnipotente e modesto, poi uomo ingannato, tradito e crocifisso, rimasto schiacciato dall’infedeltà del suo popolo. Una scrittura rapida e diretta, «un Vangelo d’azione, un western», che punta a muovere e commuovere: si mette in moto la macchina della conversione, rivolta tanto al diffidente interlocutore romano quanto ai più moderni contemporanei.

 

Non dirlo è l’ennesima sfida vinta da Sandro Veronesi. Scrittore ateo e novello attore, ha chiosato il Vangelo con mirabile entusiasmo, invogliando anche i più tenaci disamorati alla lettura del testo sacro.