Virginia Woolf inserisce tutti i tratti salienti del suo pensiero femminista nel saggio Una stanza tutta per sé.

Virginia Woolf è sicuramente una delle più grandi menti del Novecento, andando a ricoprire un posto speciale nel trittico letterario formato insieme a Joyce e Proust. Il suo pensiero e le sue opere sono state una delle voci in grado di dar vita a quella nuova categoria filosofica e artistica che possiamo definire ‘uomo contemporaneo’

 

Differisce, rispetto ai due citati autori, per il suo essere donna e il suo orgoglio in tal senso, all’interno di una società che ha profonde radici nel patriarcato, e nessuna voglia di perderle. Il contributo dell’autrice inglese sarà quindi non solo legato alle tematiche universali più tipiche della modernità, ma anche ad una linea di pensiero volta all’emancipazione culturale, artistica e personale della figura della donna.

Nel 1929 pubblica Una stanza tutta per sé, in cui fonde due conferenze tenutesi l’anno prima per le studentesse di Cambridge, nelle quali, afferma, rivede se stessa da giovane. E proprio in questa pubblicazione si trovano i tratti salienti del suo pensiero femminista, volto ad emancipare la donna portandola allo stesso livello dell’uomo socialmente, artisticamente, ed economicamente.

 

L’invito della scrittrice a queste giovani donne è quello di risvegliare sé stesse e le proprie coscienze. Se vogliono diventare scrittrici necessitano di due cose: una stanza per loro, per vivere quella individualità di donne che finisce per perdersi all’interno della società maschile e maschilista, e cinquecento sterline, che possono garantire loro un’indipendenza per sovvenzionare in modo pratico la loro aspirazione letteraria.

 

Quello che la Woolf rende tangibile è l’obiettivo che negli anni precedenti (ma anche a lei contemporanei) risulta essere pura utopia. Due elementi apparentemente così legati al contesto quotidiano come una stanza privata ed un reddito, diventano la chiave pratica per guadagnare l’accesso a quei privilegi intellettuali e sociali che magari oggi diamo per scontati, ma che al tempo erano per lo più preclusi alle donne.

Secondo la Woolf, la donna deve scrivere poiché è donna, anche se deve cercare, allo stesso tempo, di conservare quel carattere androgino che è il tratto riconoscibile dell’artista novecentesco: tratto che può essere identificato soprattutto nella paritaria ricerca di indipendenza.

 

“Se ha intenzione di scrivere romanzi, una donna deve possedere denaro e una stanza tutta per sé.”

 

La Woolf configura come motore essenziale per l’emancipazione delle giovani donne artiste quel vissuto che lei stessa ha provato sulla propria pelle: l’esclusione giovanile da parte di una società mai in grado di accettarla appieno, causandole sofferenza, e al contempo uno spirito femminista che cominciava a prendere vita in Inghilterra e che, poco più tardi, avrebbe travolto l’Occidente come un uragano. Ciò che rimprovera alle ragazze cui si rivolge, è la dipendenza spasmodica e disfunzionale che hanno nei confronti degli uomini, che porta alla non-cultura, e di conseguenza al privarsi di loro stesse.

 

E Virginia, durante tutta la sua vita, medita sulle problematiche della letteratura, e cerca di chiarire ragioni e poetica personale: d’altra parte è proprio il romanzo Ottocentesco che risulta ormai inadeguato alle esigenze del nuovo Secolo, e l’arte muta come l’individuo che la pratica. L’io guadagna un nuovo confortevole spazio all’interno della poetica letteraria, grazie al caratteristico e peculiare monologo interiore: quella che avviene, è una sostanziale fluidificazione della rigidità narrativa che sembrava essere bandiera del Realismo.

 

Virginia Woolf 1

Virginia, durante tutta la sua vita, medita sulle problematiche della letteratura

 

 

 Ma come avviene il cambiamento? Per prima cosa, bisogna abbandonare quel senso di collettività spersonalizzante promosso dal Positivismo, e abbracciare l’umanizzazione del personaggio, entrare in contatto con la sua intimità.

Esso deve essere considerato non solo per la sua esteriorità, per le sue azioni all’interno del contesto narrativo tanto caro al romanzo di Ottocentesca memoria, ma soprattutto per la sua sfera interiore: questo aspetto è solitamente in secondo piano, celato rispetto a quello manifesto delle azioni. Ma celato anche rispetto a quel granitico tessuto sociale formato da convenzioni e dinamiche pregresse, fossilizzate… come può essere appunto il ruolo della donna, assoggettata ai dogmi della rigida società patriarcale.

 

In Una stanza tutta per sé, la Woolf tratta della propria esperienza durante una visita all’università di Oxford, in cui non le permettono – perché donna – di calpestare il prato e accedere alla biblioteca. Tuttavia, di cosa ci sta parlando realmente?

Il suo grido è per tutte quelle donne che non hanno la loro stanza personale, ma sono costrette a seguire la loro inclinazione durante la routine delle proprie case, complicate e ostacolate dalle faccende domestiche, prive del tempo necessario e di quella privacy così basilare per l’artista. Se si volge indietro lo sguardo, d’altronde, il binomio donna-letteratura è sempre stato difficile, e l’autrice propone un excursus storico del rapporto della donna-scrittrice con la società.

 

La Woolf formula un assioma fondamentale: la donna, secondo i principi regolatori della società patriarcale, è oggetto di proprietà dell’uomo, che può arrivare a trattarla da schiava, se ciò lo aggrada, poiché è totalmente giustificato a farlo dalle convenzioni sociali in uso. In questo tipo di ambiente, allora, come può una donna diventare una scrittrice? Come può seguire la sua passione? La sua privacy è completamente inesistente, senza menzionare la sua evidente impossibilità di staccarsi dal marito, poiché non economicamente indipendente.

Bisogna inoltre ricordare che la Woolf pone particolare accento sulla necessità di dar voce al desiderio di scrivere un libro, che è ben diverso dalla scrittura generica, fine a se stessa, solitamente avulsa dalle esigenze di successo, di approvazione sociale e critica. Scrivere per un pubblico è il punto d’arrivo necessario, motivo per acculturarsi e vivere di arte e creazione. Chiunque, d’altronde, è in grado di scrivere lettere.

 

“Avete idea di quanti libri si scrivono sulle donne in un anno? Avete idea di quanti sono scritti da uomini? Sapete di essere l’animale forse più discusso dell’universo?”

 

Sono menzionate anche Jane Austen e Emily Bronte, due outsider, che nonostante le condizioni fino ad ora sottolineate come da superare, riescono a raggiungere il loro obiettivo e, soprattutto, a dar vita a personaggi femminili che riflettono questa condizione; basti pensare a Elizabeth Bennet di Orgoglio e Pregiudizio, che potrebbe davvero essere simbolo di tutta la questione: colei che, conscia della sua forte personalità, si ribella alle convenzione sociali che la insidiano.

Dove sarebbe finita Elizabeth Bennet se Jane Austen non avesse potuto esprimere il suo talento? Avrebbe mai visto la luce?

 

“Per cominciare, dover fare sempre un lavoro indesiderato, e farlo da schiava, lusingando e sorridendo controvoglia, benché non sempre fosse necessario, ma ci sembrava tale e non potevamo correre rischi; e poi il pensiero di quell’unico talento, che era la morte nascondere – piccolo, ma caro a chi lo possiede – il quale languiva, e con esso la mia persona, la mia anima; tutto questo diventava come una ruggine, una peste che divorava il boccio di primavera, che distruggeva il cuore della pianta.”

La Woolf porta come esempio una immaginaria sorella di Shakespeare. Provvista di talento e potenzialità, ella tuttavia non avrebbe mai potuto anelare ad essere celebrata come il fratello, poiché uomini e donne non avevano i medesimi diritti e, molte volte, lo spirito femminile veniva completamente soppresso in favore dell’unica prospettiva di sposarsi, far figli e accudirli.

 

“Sarei capace di scommettere che Anonimo, il quale scrisse tante poesie senza firmarle, spesso era una donna”

 

La ribellione, tuttavia, non deve risolversi in una sterile critica alla società patriarcale, o più in generale, all’universo maschile, senza reale forza innovatrice e creativa.

Se così fosse, una donna non sarebbe così diversa dal quel mondo da cui cerca di allontanarsi: al contrario, deve fare delle sue proprie peculiarità un motivo di fiera e personale valorizzazione, in barba a quei canoni preconfezionati che la vorrebbero divisa tra marito e cucina. Non deve insomma, cercare una nuova via imitando l’uomo.

 

Virginia Woolf 2

Una donna non sarebbe così diversa dal quel mondo da cui cerca di allontanarsi

 

 

“Sarebbe un gran peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o vivessero come loro, o assumessero il loro aspetto; perché se due sessi non bastano, considerando la vastità e la varietà del mondo, come potremmo cavarcela con uno solo? L’educazione non dovrebbe forse sottolineare e accentuare le differenze, invece delle somiglianze?”

 

“Le donne hanno illuminato come fiaccole le opere di tutti i poeti dal principio dei tempi.

[…] I nomi si affollano alla mente, e non richiamano l’idea di donne mancanti “di personalità e di carattere”. Infatti, se la donna non avesse altra esistenza che nella letteratura maschile, la si immaginerebbe una persona di estrema importanza, molto varia; eroica e meschina, splendida e sordida; infinitamente bella ed estremamente odiosa, grande come l’uomo, e, pensano alcuni, anche più grande.”

 

 

Ed è con queste parole che il pensiero di una delle più grandi personalità moderne è in grado di invitare ancora oggi alla riflessione: è un invito a non arrendersi agli schemi sociali imposti, a trascenderne le rigide inquadrature per dar vita a qualcosa di nuovo, personale, e libero… a ritirarsi nella stanza tutta per sé, proprio per entrare a far parte del Mondo.

 

“Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna?”

 

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