L’ altro volto della speranza è la nuova favola tragicomica di Aki Kaurismaki.

Aki Kaurismaki ancora una volta riprende la verve della tragicommedia per raccontarci una storia reale e cruda con toni ironici, seguendo la linea di El Havre, suo precedente lavoro del 2011. Anche in questo caso, come in quello appena citato, la storia si sviluppa in un triangolo narrativo interessante che prende in considerazione tre destini che si muovono parallelamente, per poi unirsi: Wirkstrom è un uomo di circa cinquant’anni che, stanco della sua vita di sempre, abbandona la moglie per aprire un ristorante e realizzare così uno dei suoi sogni che, alla sua età, risulta davvero emozionante. Dall’altro lato c’è Khaled, un rifugiato siriano che arriva a Helsinki casualmente in cerca di fortuna e di una nuova vita, con la speranza di ritrovare sua sorella dispersa in qualche luogo di frontiera, chissà dove. Questi tre personaggi, ognuno coraggioso a suo modo, finiranno per incontrarsi grazie alle coincidenze del destino.

 

Aki Kaurismaki 1

Nel nuovo film di Aki Kaurismaki 3 personaggi si incontrano grazie alle coincidenze del destino

 

Vincitore dell’Orso d’Argento per la miglior regia al 67º Festival del cinema di Berlino, L’altro volto della speranza è, appunto, il secondo “episodio” della già annunciata trilogia sulle città portuarie, che dimostra, ancora una volta, una grandezza non solo stilistica, ma anche di temi sociali affrontati. Aki Kaurismaki realizza, senza dubbio, una lezione magistrale su come parlare di politica, senza fare politica, narrando le vicende con uno stile semplice, diretto e a tratti naif. Per certi aspetti, questa strategia sembra sfociare in ingenuità per la sua ironia, ma in realtà nasconde un’importante critica alla burocrazia, non solo quella che regola l’immigrazione nelle città e l’accoglienza ai rifugiati, ma anche quella che si occupa dei controlli, per esempio, di un ristorante.

 

È ammirevole il modo in cui Aki Kaurismaki evita i sermoni ed il sentimentalismo per arrivare dritto ad una questione delicata, come quella della guerra in Siria e delle sue conseguenze: la responsabilità del mondo occidentale, che spesso resta tale solo da un punto di vista “burocratico”, senza possedere un briciolo di reale umanità. Tutto è fatto perchè va fatto e non perchè si voglia dare un aiuto concreto. Sembra quasi che la legge resti legge, nel senso di una regola scritta, senza considerare realmente la gravità di certe storie, come quella di Khalid. Ma questo punto, su cui Kaurismaki insiste, è rimandabile a qualsiasi tipo di esempio burocratico, in cui ciò che vale realmente è rispettare la norma scritta e non l’essere umano.

 

Aki Kaurismaki 2

L’altro volto della speranza hs vinto l’Orso d’Argento per la miglior regia al 67º Festival del cinema di Berlino

 

È importante notare come i personaggi si incontrino tutti in luoghi di passaggio, quasi dei non-luoghi, come la strada, il centro d’accoglienza, il porto, il ristorante, un garage. Sono tutti posti in cui nessuno si ferma realmente, quasi a simboleggiare le terre di confine in cui, non solo un rifugiato, ma anche un normale cittadino attraversa quotidianamente per arrivare a trovare la sua destinazione.

 

L’aspetto brillante di quest’opera, come nella precedente El Havre, è che Aki Kaurismaki realizza un incontro fortuito nella più totale innocenza dei protagonisti, al limite della rarità, e con questo termine si vuole intendere l’essenza speciale di cui sono fatti, la loro solidarietà. È come in un racconto per bambini, dove si esalta la semplicità con cui tutto può accadere, con cui si possono tessere storie straordinarie. L’unica differenza è che Kaurismaki non cerca finali felici, ma finali migliori per i personaggi. Fa molta attenzione non tanto a ciò che desiderano, ma a ciò di cui hanno bisogno in quel momento. E sullo sfondo, le onde del mare, le barche e i fischi delle navi in partenza. Altre storie che arrivano ed altre che non ce l’hanno fatta, in un montaggio parallelo magistrale che si incontra in un punto che non ha più ritorno e di cui non conosceremo mai esattamente la fine. Eppure, come spettatori, ci basta quella casualità, quella piccola fiammella che resta accesa e che ci dà un senso di speranza nel farci capire che non si tratta di morale da quattro soldi, ma pura e semplice umanità.

 

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