Nanni Moretti con Mia madre, torna a stupirci ancora dopo quattro lunghi anni dall’ultimo Habemus Papam.

Quando esce al cinema un nuovo film di Nanni Moretti mi si illuminano gli occhi, mi si apre il cuore.
Per me Nanni Moretti non è solo uno dei migliori registi italiani in circolazione; semplicemente, lo adoro. Ergo, ho molte aspettative. Ogni volta.

Ed ecco che, come un bambino affamato di dolcetti finalmente solo in casa, sprofondo in trepidante attesa sulla a me destinata poltroncina rossa, spietatamente scomodissima.
Incipit. Musichina. Ci siamo, inizia.

Il film si apre con una sequenza di quotidianità: alcuni operai scioperanti infuriati a causa dei troppi licenziamenti si scagliano contro la polizia che, armata di manganelli, li respinge picchiandoli. Non è una scena reale, è una delle tante sequenze mal riuscite del film che sta girando Margherita. Lei la trova troppo cruenta, c’è qualcosa che non le torna nel suo collega che sta riprendendo, le pare un sadico, che inquadra tutto da così vicino, che filma le botte.

Margherita (Margherita Buy) è una regista, presa dal suo mestiere ma decisamente sconsolata: gli attori sono mediocri, le scene vanno rifatte troppe volte, gli operatori di macchina sbagliano inquadrature, tutti commettono errori e lei si sente circondata da incapaci. Margherita è pignola, ossessiva e maniaca del controllo; pensa, poi parla, ma nessuno capisce quello che vuole. È una creatura strana. Ma Margherita è anche una persona sola: nessun compagno, nessun amico in vista, una figlia adolescente che si gode la spensieratezza della sua giovane età, un fratello ingegnere serio ed impegnato. Qualcuno nella sua vita però c’è: è sua madre, Ada, che però sta morendo. Chiusa in ospedale, l’anziana Ada (una dolcissima Giulia Lazzarini) attende le visite giornaliere di Margherita, di Giovanni (il fratello di Margherita, interpretato dallo stesso Giovanni, detto Nanni, Moretti), della nipotina Livia. Margherita, dal canto suo, si divide tra il lavoro e l’ospedale. Vedere la madre in quello stato la sta facendo soffrire moltissimo. Quella perdita inevitabile che già si sta concretizzando, sembra così assurda, così impensabile seppur nella sua normalità.
A rincarare la dose dei problemi di Margherita ci pensa Barry Huggings (John Turturro), attore statunitense chiamato ad interpretare il ruolo del nuovo titolare della ditta nonché licenziatore compulsivo. Barry è un egocentrico ed eccentrico concentrato di personalità imbevuta di divismo. Ingestibile, incontrollabile, imprevedibile e, dulcis in fundo, incapace di imparare una qualsiasi battuta del copione. Insomma, la ricetta perfetta per un disastro.

Cosa accadrebbe se Nanni Moretti fosse stato donna e gli fosse capitato di affrontare la morte di sua madre (cosa peraltro realmente accaduta nel 2010)? Mia madre è una sorta di ipotetica risposta a questa ipotetica domanda, che probabilmente Moretti si è posto. Margherita non è altro che l’alter ego di Moretti; però al femminile. In bilico tra Margherita e Giovanni, lo spirito di Moretti aleggia dubbioso nei dintorni dei due personaggi. Senza dubbio quello di Margherita è ben riuscito: la donna racchiude in sé molte della caratteristiche e delle connotazioni tipiche di Moretti. Ma manca qualcosa. Manca la cosa più importante, quella che più fa amare (o odiare) Nanni Moretti al pubblico. La sua simpantipatia (concedetemi il neologismo in questa circostanza) deriva principalmente, a mia opinione, dall’ironia distaccata e contemporaneamente interessata di Moretti. La Buy non ce l’ha e non può sforzarsi di averla. O la si ha o non la si ha, punto e basta.

Molto bravo Turturro. Frizzante, simpatico, una boccata d’aria fresca. Scelta pessima per Margherita, ma azzeccatissima per Nanni Moretti. Un uomo pieno di vita, costretto ad implodere come essere umano a favore dell’esplosione dell’attore. Una disperata ricerca della realtà in conflitto con l’attaccamento morboso a quella finzione che sembra più reale del reale. Barry vive in due dimensioni che si intrecciano. E’ così che vive anche Moretti? E’ anch’egli scisso fra vero e finto, fra cinema e quotidianità? La domanda sorge spontanea.

Questo film parla di cinema e di persone, parla della morte e della sua ineluttabilità (anche Moretti comincia ad ossessionarsi a tal proposito). Ci ricorda della situazione economico-sociale italiana. E’ un film che mostra anche le possibilità che abbiamo, la scelta della rinuncia (già proposta in Habemus Papam) come opzione da contemplare. Margherita non molla, ma Giovanni lo fa, lascia il suo lavoro senza problemi. Indeciso anche qui il nostro Moretti?
Ma Mia madre parla anche, e soprattutto, di donne. Di tre generazioni. Ognuna imperfetta, con i suoi limiti, con le sue bellezze, con le sue paure. C’è chi odia il latino, chi lo ha amato e ne ha fatto una professione. E c’è chi, invece, lo ha vissuto come una transizione, senza se e senza ma.