As I lay dying è il capolavoro di Faulkner portato sul grande schermo da James Franco.

Quando, un paio d’anni fa, lessi Mentre morivo (As I Lay Dying), uno dei migliori romanzi di uno dei padri della letteratura americana novecentesca William Faulkner, pensai a quanto potesse essere arduo affrontare una sua eventuale trasposizione cinematografica soprattutto per la struttura polifonica particolarmente complessa di racconto intersoggettivo. Ed è per questo che quando sono venuto a sapere che il giovane attore, sceneggiatore, regista (la lista potrebbe continuare) James Franco, di cui ammetto di non aver visto alcun precedente lavoro registico, era presente nella sezione Un certain regard al Festival di Cannes di quest’anno, sono rimasto piuttosto sorpreso. È quindi con molto scetticismo che mi sono apprestato alla visione di questo film.

Detto questo, però, vorrei sgombrare subito il campo da un possibile equivoco: quello di James Franco è un grande film e dello scetticismo iniziale alla fine non ne è rimasto neanche un po’.

As I Lay Dying è la storia dei Bundren, famiglia del profondo sud degli Stati Uniti alle soglie della depressione, e dell’odissea che testardamente intraprendono per il volere del padre di rispettare la promessa fatta alla moglie in punto di morte:  seppellire il suo corpo nella lontana città natale. Così, caricata la bara ed i cinque figli (Cash, Darl, Jewel, Dewey Dell, Vardaman) su un carretto, Anse Bundren (incarnazione della stoltezza e della testardaggine contadine) si dirige verso Jefferson deciso in tutti i modi a soddisfare l’ultima volontà della moglie contro ogni avversità (diluvio, allagamenti, rottura del ponte sul fiume, precoce decomposizione della salma). Saranno poi i figli a portarsi dietro, nel corpo o nella mente, le stimmate del viaggio.

 

As I lay dying 1

James Franco in una scena di As I lay dying

 

È così per il piccolo Vardaman, per la giovane donna Dewey Dell (che nasconde una gravidanza illegittima di cui vuole sbarazzarsi), per il fratello maggiore Cash (che sarà costretto a perdere una gamba, rotta nel tentativo di attraversare il guado col carro), per Jewel (figlio avuto da una relazione extraconiugale della donna) ed è così per Darl vero e proprio centro focale del racconto, il figlio disadattato, reduce di guerra che costituirà l’agnello da sacrificare in nome di un ritrovato “ordine” familiare (celebrato con la presentazione della nuova signora Bundren), tanto necessario quanto fittizio.

 

James Franco per As I lay dying si avvale dello split screen (per quasi tutta la durata del film) e della voce off per riuscire a restituirci l’enorme complessità del romanzo; il suo senso immediato e quello mediato, ma soprattutto le diverse voci che narrano lo svolgersi degli eventi ciascuna dal proprio punto di osservazione. Il risultato è sorprendente: così come la lettura del libro, anche la visione del film ti avvolge e coinvolge con tutta la sua aurea di angoscia e malessere.

La tragedia, il dramma, è imminente e lo percepisci in ogni inquadratura. James Franco, per mezzo di Faulkner, fa sue le lezioni di James Joyce e di William Shakespeare e riesce a dare corpo e voce a questa parabola discendente: un viaggio nello squallore e nella miseria dei Bundren, dell’America, dell’intera umanità.