Terry Gilliam realizza con Brazil il suo massimo capolavoro, sicuramente uno dei migliori film di fantascienza della storia del cinema.
La burocrazia al potere
8:49 di sera. Da qualche parte nel Ventesimo Secolo. Così si apre Brazil, togliendoci qualsiasi punto di riferimento, catapultandoci in un mondo distopico e indefinito, senza confini, in cui la burocrazia controlla ogni attività dell’uomo.
Quindi uno stato totalitarista che si impone sull’individuo uccidendo ribelli e sognatori.
Sam Lowry (il miglior Jonathan Pryce) è un umile impiegato del Ministero dell’Informazione, ma è anche un sognatore che si immagina munito di armatura alata a salvare una fanciulla in pericolo.
Un giorno viene incaricato di correggere un errore di stampa causato da un insetto rimasto incastrato in una stampante e da lì inizia la via crucis di Sam, novello Pindaro alla ricerca della libertà.
L’errore ha determinato l’arresto, il processo e l’esecuzione di Archibald Buttle, scambiato per il ricercato terrorista Archibald Tuttle. Il fato dunque al centro di tutto, lo stesso fato che gli farà incontrare Jill Layton, ragazza dei suoi sogni e vicina della vedova Buttle, oltre che il terrorista Tuttle (un carismatico Robert De Niro).
Voli pindarici, scenografia e fotografia al potere
Terry Gilliam, per creare la sua macchina fantastica, si affida a Norman Garwood (scenografia) e al fido Roger Pratt (fotografia), utilizzato anche dieci anni più tardi per L’esercito delle 12 scimmie, altro pilastro dei film di fantascienza firmato dal regista ex Monty Python.
Il risultato che ne viene fuori è un mondo dai toni grigi e deformati, un futuro in cui i mezzi di trasporto sembrano appartenere ad un antico passato.
L’uso della lente di Fresnel permette a Gilliam di dare vita alle sue allucinazioni, distorcendo gli ambienti, creando spazi, annientando confini fino alla piena rappresentazione di un sistema-labirinto da cui è impossibile scappare. Il Minotauro è lo Stato, rappresentato da Gilliam sotto forma di samurai gigante, contro cui Sam combatte, impugnando una spada, protetto da un’armatura alata, ma non basta. Tolta la maschera al samurai viene svelato il mistero, il volto è quello di Sam Lowry. Quindi un percorso di lotta contro le istituzioni ma anche contro se stessi, per cambiare in maniera viscerale e poter continuare a sognare.
I voli pindarici di Sam servono ad annientare gli influssi catastrofici del mondo circostante, tramite una non-accettazione del reale che lo porta a farsi cullare in mondi colorati, a metà strada tra la fiaba e l’allucinazione, in cui regna una devianza destabilizzante. Quindi devianza che destabilizza, ma trionfo della fantasia.
Citazioni al potere
Terry Gilliam legge, guarda e vive intensamente, cibandosi di tutto ciò che ha a disposizione.
Brazil, è sì un omaggio a 1984 di Orwell, ma se ne distacca completamente mettendo da parte la politica e puntando l’occhio della cinepresa sul profilo sociale, creando una vicenda intima e a suo modo calda, in cui fulcro portante è la perdita di importanza dell’individuo capace di decidere, agire e sognare.
Ad un certo punto una guida fa da apripista al concetto di fondo del film:
“Guardate questa statua bambini, è la Statua della Verità. Bisogna sempre dire la verità. […] La verità vi renderà liberi.”
È dichiaratamente una citazione del Vangelo secondo Giovanni:
“conoscerete la verità e vi farà liberi.”
Il citazionismo di Gilliam è quanto di più dolce e delicato si possa vedere su schermo, completamente diverso dall’uso che ne fa Quentin Tarantino, fenomeno del citazionismo ma usato soprattutto per botta e risposta al fulmicotone.
Gilliam ci consegna anche una citazione leggera e toccante di Alice nel Paese delle Meraviglie, trasformando Pincopanco e Pancopinco in due tecnici del Central Service (tra cui un magistrale Bob Hoskins) che, chiamati da Sam per riparare un guasto, gli devastano casa applicando la ‘procedura d’emergenza’.
Un omaggio a Lewis Carroll, ma anche al cinema stesso, che ci permette di sognare, proprio come Sam, distaccandoci dalla vita di tutti i giorni e proiettandoci in quei voli pindarici tanto cari al protagonista. Quindi grazie Terry, grazie per averci fatto sognare per 140 minuti, grazie per averci regalato una colonna sonora tragicomica e nostalgica, grazie per aver consegnato ai posteri uno dei migliori sci-fi della storia del cinema.
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