Saoirse Ronan interpreta una giovane emigrante irlandese alla ricerca di un futuro possibile.

Impegnati a leggere le ‘gravi’ conseguenze dell’immigrazione di cui il Belpaese – al pari di altri Stati dell’Europa continentale – è stato fatto oggetto in dose massiccia negli ultimi decenni, dimentichiamo spesso quanto la storia dell’Europa sia una storia di emigrazioni. Gli Stati Uniti d’America, a partire dall’Ottocento, sono stati meta prediletta per tutti coloro che volevano lasciarsi alle spalle povertà e disoccupazione; l’attuale distribuzione etnica americana è la risultante di questi eventi migratori.
Tra questi, l’emigrazione irlandese rappresenta uno dei fenomeni più consistenti e costanti di tutta la storia americana. Meta prediletta degli irlandesi la East Coast, in particolare il New England e New York.

 

Brooklyn, diretto da John Crowley e scritto da Nick Hornby (da un romanzo di Colm Toibìn), racconta la storia di una migrazione come tante altre. La giovane Eilis Lacey lascia la povera cittadina di Enniscorthy – nel sud dell’Irlanda – per trovare fortuna oltre oceano, a Brooklyn, New York, dove un prete cattolico di origini irlandesi, e amico di famiglia, le ha trovato un’occupazione presso un grande magazzino. Per inseguire il sogno di costruirsi una vita propria, Eilis lascia dietro di sé la madre tanto amata, la sorella più grande – che invece un lavoro ce l’ha – e in generale tutto ciò che conosce della vita.
Ad attenderla, Brooklyn, uno dei quartieri più popolosi di New York e stazione prediletta per i migranti europei. Manhattan, la New York più ricca e benestante, di là del mare, l’East River.

 

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Saoirse Ronan e Emory Cohen in Brooklyn

 

 

Il film di John Crowley e Nick Hornby – candidato come Miglior film e Miglior sceneggiatura non originale agli ultimi Oscar – adotta con convinzione il registro melodrammatico per dipingere una storia inevitabilmente drammatica, con partenze sofferte, ritorni improvvisi e pericolosi ripensamenti. Saoirse Ronan è bravissima a regalare credibilità e profondità alla giovane protagonista; ed altrettanto convincenti risultano i personaggi di supporto. Fra questi Emory Cohen nei panni di Tony, immigrato italiano di cui Eilis si innamorerà. Proprio tra le pieghe del loro nascente amore, Eilis – ancora incapace di staccare il cordone ombelicale che la tiene legata alle sue origini – scorgerà la possibilità di iniziare una nuova vita, lasciandosi finalmente alle spalle presunti obblighi famigliari. Partendo da zero, costruendosi un futuro possibile, eleggendo Brooklyn, New York, gli States come nuova casa.

 

I risvolti drammatici nei quali la storia inciampa di qua e di là danno il senso della difficoltà insita nella scelta di lasciare il proprio Paese, la propria casa, per costruirsi un futuro lontano dalle proprie origini. Le migliaia di chilometri che separano Eilis e il suo nuovo mondo dalla propria famiglia possono essere allo stesso tempo causa di sofferenza e preziosi alleati nella costruzione ex novo di una propria identità – irlandese? americana? – all’interno di un focolare che adesso può essere chiamato a tutti gli effetti “casa”.