Onestà intellettuale e coscienza civile nella pellicola di Daniele Vicari.

Certo bisogna farne di strada
Da una ginnastica d’obbedienza
Fino ad un gesto molto più umano
Che ti dia il senso della violenza
Però bisogna farne altrettanta
Per diventare così coglioni
Da non riuscire più a capire
Che non ci sono poteri buoni

[F. De André, Nella mia ora di libertà]

 

Don’t clean up this blood. Ovvero, per non dimenticare. Non dimenticare che la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, a Genova, alla scuola Diaz, si è consumata la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale (parole di Amnesty International). Più che un film denuncia quindi, un film testimonianza, basato sulla complessa ricostruzione storica degli eventi cosi come emersa dal processo (conclusosi con il passaggio in giudicato delle condanne nel 2011). Una “verità processuale” da sbattere in faccia a coloro che, da più parti, hanno accusato il regista di faziosità o partigianeria. Da riconoscergli, invece, onestà intellettuale e coscienza civile. La prima è mancata in abbondanza ai nostri buoni Governanti e ai dirigenti di Polizia (impegnati a rimbalzarsi responsabilità, in un clima peraltro dominato da ignobile omertà), la seconda avrebbe dovuto far prevalere l’indignazione piuttosto che l’italianissima politica dello struzzo e farci pretendere giustizia. Al di là della sentenza della Cassazione (che conferma almeno le condanne ad alcuni dei superpoliziotti che erano in servizio quella notte a Genova) troppe domande sono rimaste senza risposta (chi ha dato l’ordine? perché? Dov’erano e che facevano nel frattempo il capo della polizia e il ministro degli Interni?).

 

Daniele Vicari dribbla con disinvoltura ogni rischio di retorica, mostra e non dimostra, lascia che siano le immagini a parlare, si mantiene equidistante dagli eventi regalando volti noti a vittime e carnefici (Elio Germano e Claudio Santamaria), ma soprattutto restituisce al mezzo cinematografico una sua dimensione autenticamente civile.

 

Non sarà certo un film a ripulire l’onta, a rendere giustizia a tutti coloro (ricordiamolo: italiani e stranieri, giovani e anziani, ma soprattutto, pacifici e senz’armi) che quella notte vennero gravemente violati nei loro diritti fondamentali, ma ricordare la vergogna potrà forse lenire un po’ le ferite. Taccio su ciò che avvenne (e che il film mostra parzialmente) successivamente alla caserma di Bolzaneto. Meriterebbe un discorso a parte, ma non è la sede opportuna.

Ps: dopo oltre due anni dalla sua uscita al cinema la Rai ha finalmente trasmesso in prima serata il film. Meglio tardi che mai.