Quasi dieci minuti di applausi a Venezia 2016!
Lunghi applausi e standing ovation per El ciudadano ilustre, pellicola argentina presentata in concoso nella sezione Venezia 73 alla Mostra cinematografica del cinema, con la regia di Mariano Cohn e Gastón Duprat.
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Momentaneamente in pole position per pubblico e critica, insieme a La La Land, di Damien Chazelle che ha inaugurato il Festival, El ciudadano ilustre è una storia dentro la storia, che cerca di superare i limiti tra letteratura e cinema attraverso una struttura romanzesca suddivisa in capitoli, ognuno con un titolo ben preciso.
Il film si sviluppa attorno alla storia di Daniel Mantovani, scrittore argentino trasferitosi da anni a Barcellona. Premio Nobel per la letteratura, un uomo apparentemente schivo verso qualsiasi forma di evento inaugurato in suo onore, decide di partecipare alla consegna di un premio che lo renderebbe cittadino onorario nel suo paesino natale Salas, in Argentina.
L’arrivo dello scrittore sembra accolto in modo autentico e spontaneo dai suoi ex concittadini, ma la situazione poco a poco prende una piega differente, fino a toccare delle corde intime e poco delicate non solo riguardo Daniel, ma soprattutto nei confronti della stessa società che lo circonda. Infatti, le persone confondono la realtà con la finzione dei suoi romanzi, creando situazioni spiacevoli e fuori luogo. Così Daniel, tutt’a un tratto, si ritrova faccia a faccia con il suo passato che è rimasto stagnante, senza mai diventare futuro, senza mai trovare spunti verso il cambiamento.
Quando il protagonista passeggia per le viuzze di Salas, le immagini sono quelle di un luogo desolato e fatiscente; gli incontri con le persone di un tempo, per certi aspetti forzate. In alcune scene ricorda il protagonista di Cinema Paradiso che dopo trent’anni ritorna nel paesino dov’è nato, dove niente sembrava essere mutato, nell’eterna consapevolezza che ciò che cambia siamo noi stessi e non i luoghi.
Il film ha un tono irriverente giacché cerca di mettere in luce l’ignoranza, non come mancanza di intellettualità, quanto piuttosto di apertura. C’è una frase meravigliosa del protagonista che riflette sul fatto che, quanto più nominiamo qualcosa, tanto più questa perde il suo valore. E lo stesso succede con la cultura: l’ostentazione la rende priva di qualsiasi validità e concretezza. Nel film, Daniel mette in evidenza continuamente questo aspetto, riferendosi alle istituzioni, quando riceve il premio Nobel, o contraddicendo continuamente la gente comune, quando arriva a Salas.
La forza di questa pellicola e il suo successo al Festival risiedono principalmente nel coraggio di proporre una critica sottile, con ironia e cinismo, contro l’ignoranza che suppone una profonda chiusura, condizione che non permette di distinguere la realtà dalla finzione. Probabilmente, questa scelta di rendere questa storia quasi un racconto, evidenziata anche dalla sua struttura in capitoli, è la stessa della gente a non voler guardare più in là del proprio naso e non affrontare le responsabilità. Restare, insomma, tra gli sguardi sicuri di un passato che osserva e che protegge, ma che rende, inevitabilmente, ciechi.
Aspetteremo il 10 settembre per sapere con certezza se questa pellicola meriterà davvero il tanto auspicato Leone d’oro.