Paolo Virzì dà prova della sua maturità mettendo in scena un imponente capolavoro.

Il regista livornese Paolo Virzì passa dalla commedia a lui cara a un mix ben riuscito fra giallo, noir con qualche spruzzo di comicità qua e là.
Per chi era titubante riguardo questo esperimento, o per chi lo è ancora, il consiglio è di scrollarsi di dosso i pregiudizi e i timori sull’approccio del regista a un nuovo genere ed entrare sicuri in sala .
Con lo spegnersi delle luci ci troviamo immersi in un mondo malato, in un paese incancrenito, ben descritto dai fidi collaboratori di Virzì; gli sceneggiatori Francesco Bruni e Francesco Piccolo.
I tre, notando un romanzo del 2004 di Stephen Amidon ambientato nel Connecticut, capiscono che può fare al caso loro, prendono la palla al balzo ed ecco il Capitale umano.

 

Siamo in Brianza, la storia gravita intorno a due famiglie, i piccolo borghesi Ossola e i ricchissimi Bernaschi; il pretesto per unire le due famiglie è un omicidio di un “povero cristo”, come ci dirà il commissario, che permette al regista di sviscerare il mondo degli Ossola e dei Bernaschi, di mettere a nudo un’Italia che zoppica ormai da anni.
Dino Ossola (uno stupendo Fabrizio Bentivoglio) sfrutta la relazione della figlia Serena (l’esordiente rivelazione Matilde Gioli) con il rampollo della famiglia Bernaschi per entrare nel loro fondo fiduciario. Un padre disposto a tutto pur di vedere “il nostro comune amico”, il denaro, entrare in cassa, sentire il tintinnio delle monete riempirgli il cuore e l’anima.
Il capofamiglia Bernaschi (un azzeccatissimo Fabrizio Gifuni) è un broker divenuto ricchissimo grazie alle disgrazie altrui, prosciuga la linfa vitale a un paese che ne conserva già poca, incarna quella borghesia agghindata nel lusso sfrenato, cieca all’arte e a tutto ciò che non è concreto, quella borghesia capace di trasformare un antico teatro in un grigio lotto di appartamenti.
Carla Bernaschi è interessata all’arte, appassionata di teatro, sembra diversa dallo sciacallo del marito, ma la sua è solo apparenza perché non disdegna di essere viziata da giri in limousine con tanto di autista che la scarrozza di qua e di là per la città, fra manicure, negozi di tessuti pregiati e chi più ne ha più ne metta. La psicologa Roberta (Valeria Golino), compagna di Dino Ossola, fa da contraltare alla nullafacente Carla; sembra ascoltare e capire tutti, col suo sguardo tenero e innocente, sempre pronta ad aiutare chi ne ha bisogno. Ma proprio lei, che dovrebbe comprendere meglio di chiunque altro l’animo umano, scivola nella contraddizione di vivere accanto ad un essere viscido, senza alcun freno morale come Dino.
Serena e il disadattato Luca, si cercano, si trovano in un mondo corrotto, circondati da persone che pensano solo a se stesse, soli ma complici, dentro un paese scalcinato, in un plot che forse consegna a loro le chiavi del futuro; i giovani sì, forse loro possono…

 

Il regista ci mostra un panorama arido, sentimenti rarefatti, senza moralismi di alcun tipo: starà allo spettatore capire ciò che giusto o sbagliato.
Dopo questo imponente film, Paolo Virzì potrebbe ricevere una chiamata dagli studios più ambiti del mondo, da quella Hollywood che ha già attratto Gabriele Muccino e Paolo Sorrentino. Ma, forse, il regista è troppo connotato con l’Italia e gli italiani; e, forse, è un bene perché dopo questa prova di maturità dobbiamo proteggere il nostro di capitale umano.
Paolo Virzì è un po’ come il buon vino, più invecchia e più si apprezza.