Todd Solondz racconta una società (quella americana) amorale e depressa, composta di individui che hanno irrimediabilmente perduto la strada per la felicità.

Se chiedessimo in giro chi è Todd Solondz, sicuramente quasi nessuno saprebbe rispondere. Se provassimo a fare la stessa domanda all’uscita di un qualunque cinema forse la percentuale di quelli che saprebbero rispondere aumenterebbe, ma non sensibilmente. Negli Stati Uniti, suo Paese natale, le cose non sarebbero poi tanto diverse (nel senso che saprebbero giusto attribuirgli la corretta professione). Tutto questo per dire che il regista e sceneggiatore americano, classe ’59, è ben poco conosciuto fuori dal ristretto gruppo di frequentatori dei festival (i suoi ultimi tre film sono stati tutti presentati in Concorso a Venezia). Ed è un peccato. Sì, perché il personalissimo cinema di Todd Solondz è senz’altro un’esperienza che merita di essere vissuta. Un’esperienza impegnativa, questo è fuor di dubbio. La sua fine e intelligente scrittura racconta una società (quella americana, ma mai come in questo caso potremmo dire tutto il mondo è paese) amorale e depressa, composta di individui che hanno irrimediabilmente perduto la strada per la felicità. Il loro tentativo di ritrovarla, talvolta assurdo e disperato, è efficacemente narrato con sguardo cinicamente disincantato che non prova vergogna a sguazzare nel torbido (e grottesco) della vita.

I protagonisti dei suoi film sono talvolta ripresi mentre cercano disperatamente di inseguire i loro desideri (rectius: capricci) con tentativi spesso goffi ed inadeguati. È così per la giovane protagonista di Palindromes (2004) che alla tenera età di quattordici anni, altro non vuole che restare incinta e riuscirà nell’impresa facendosi ingravidare da un suo coetaneo. Le cose però, non andranno come aveva immaginato, e le conseguenze delle sue azioni la porteranno a vagare per una società popolata da reietti, da dimenticati, terminando dove tutto era cominciato. Todd Solondz non concede ai suoi personaggi alcun riscatto. Non può esserci alcuna redenzione. Le persone iniziano come finiscono (questo, tra l’altro il significato del termine Palindromo che da il titolo al film, ed anche il nome della protagonista, Aviva, è un palindromo), e questo destino sembra riguardare tutti, non si spiegherebbe altrimenti la scelta, audace, del regista di affidare a diverse attrici il ruolo della protagonista, nei vari capitoli lungo i quali si snoda il film. Anche in Happiness (1998) e in Life During Wartime (2009), che ne è il seguito dieci anno dopo, le tre sorelle Jordan, protagoniste delle vicende, sono alla ricerca di un equilibrio tanto personale quanto sociale. Ellen, scrittrice in carriera è costretta ad affrontare l’illusorietà di un successo fittizio; Trisha dovrà fare i conti con la scoperta delle tendenze pedofile del marito e la fine del suo matrimonio; infine Joy “figlia dei fiori” persa nell’incapacità di mettere ordine nella sua vita affettiva.

Il cinema di Todd Solondz da il suo meglio quando si trova ad affrontare la parte più “dura”, più scomoda delle vicende che racconta. Emblematiche a questo proposito la scena del padre pedofilo che cerca di spiegare al figlio quali attenzioni ha avuto nei confronti dell’amichetto (Happiness) e la scena, altrettanto forte, della madre che cerca di persuadere la figlia quattordicenne ad abortire (Palindromes).
Siamo in guerra dice uno dei protagonisti di Life During Wartime, riferendosi molto probabilmente a una delle tante guerre intraprese dal governo americano in Medio Oriente; ma la guerra di cui parla Todd, è invece una guerra personale, è la guerra che ciascuno di noi combatte contro (e per) la vita. Se è in Happiness che scoppia la guerra, sarà invece in Life During Wartime che i personaggi si troveranno a fare i conti con le inevitabili conseguenze di ciò: con la speranza di dimenticare il male, fatto e subito, con l’utopia di un perdono. In quest’ottica, il tempo di pace non può che coincidere con il raggiungimento della felicità.

Happiness, where are you?
I’ve searched so long for you.
Happiness what are you?
I haven’t got a clue.
Happiness, why do you have to stay
So far away.. from me?

[colonna sonora del film Happiness (1998)]