Fahrenheit 451 di Bradbury prende il titolo dalla temperatura a cui la carta delle pagine dei libri viene bruciata: essi sono considerati dal potere nocivi per lo Stato, perché inducono le persone a pensare. Il protagonista del film è proprio un incendiario di libri, Guy Montag, che è sconvolto dall’incontro con una ex-insegnante di scuola elementare, che lo invita a riflettere sulla mancanza di libertà di opinione creata dallo Stato. Egli quindi, appurata l’importanza della libertà, si appassiona di lettura di romanzi e inizia così una vita da ‘sovversivo’. La moglie, entrata ormai senza più via d’uscita nell’ideologia ipnotica del regime, non sopporta il comportamento del marito e avverte gli incendiari della presenza dei libri: alla missione prende parte anche Montag, che appena venuto a conoscenza della casa da incendiare, uccide il capitano della squadra e fugge in un bosco: qui, lontano dal controllo dello Stato, incontra altri sovversivi come lui, i quali imparano libri a memoria per salvaguardare il futuro della letteratura.

 

Bradbury 1

Il romanzo di Bradbury è diventato anche un fantastico film di Truffaut

 

Brazil narra invece la storia di Sam Lowry, addetto, sognatore e ingenuo, agli archivi del dipartimento informazioni di un paese futuristico. Lo Stato in cui vive è un regime dittatoriale e dispotico, dove vi è la minaccia continua di attentati da parte di terroristi stanchi di essere oppressi dalle istituzioni politiche. Sam viene incaricato dai suoi superiori di andare a pagare la vedova di un uomo imprigionato per un errore degli Archivi: proprio durante quest’ordine, scopre che la vicina di casa della donna è colei che ogni notte sogna e di cui è innamorato. È una giovane terrorista. Sam deciderà allora di aiutarla, ma proprio per questo motivo verrà catturato e subirà il lavaggio del cervello. Riuscirà grazie ai suoi sogni, a fuggire (mentalmente) dalla realtà.

 

The Truman Show rimane comunque la più pertinente rappresentazione cinematografica del Panopticon. Truman Burbank è un uomo che conduce una vita ideale: ha una moglie e un miglior amico che lo amano, un lavoro che lo soddisfa ed è amichevole e socievole con tutti. Il problema è che tutta la sua vita è una messa in scena architettata dal regista Christof, il quale ha creato un’isola con tanto di abitanti-attori apposta per il Truman Show. Il protagonista si accorge di ciò all’età di circa trent’anni e allora decide di fuggire in barca a vela (la sua più grande paura causata dalla morte in mare del padre), ma si imbatte nella parete del teatro di posa dell’isola. Uscirà allora dal programma televisivo attraverso una porta posta sulla scenografia del programma.
Christof è così l’unico ‘signore della torre‘, che osserva nell’anello tutti gli abitanti dell’isola, con un occhio di riguardo verso le azioni di Truman.
Ma chi è veramente libero in questo sistema sociale? Il destino di Christof, proprio come diceva il signore della torre, “è legato a quello del detenuto, da tutti i legami che è stato capace di creare”, ma il prigioniero, non conoscendo la sua natura di ‘osservato in maniera costante’, si comporta in modo totalmente libero. Questa è infatti una differenza fra il film e il concetto del Panoptismo: il detenuto non sa quando, ma è comunque cosciente di essere sorvegliato ed è proprio per questo motivo che è prigioniero; Truman invece non sa di essere controllato e quindi si può ritenere libero. Inoltre, non sono liberi neppure gli attori che recitano, perché sono appunto diretti dal regista e influenzati dalle azioni di Burbank; e ancora, non sono liberi neppure tutti coloro che guardano lo show in televisione, perché sono appunto schiavi dei mass media. In questo film quindi, fino a quando Truman è inconsapevole della sua vera condizione, è un uomo libero.
I film appena descritti rappresentano società in cui il potere non si cala dall’alto, ma pervade da dentro e si costruisce in una serie di relazioni di potere multiple: proprio l’obiettivo del Panopticon. Questa architettura può anche essere la chiave di lettura del comportamento di ogni individuo verso le altre persone: l’atteggiamento che più caratterizza la società moderna è il giudizio degli altri. Ognuno di noi è infatti un ‘signore della torre’ e dall’osservazione di tutti gli atteggiamenti degli altri, cerca di guadagnare in efficacia e in capacità di penetrazione nel comportamento degli uomini: proprio ciò che tenta di fare il potere, controllando gli individui. L’unità di misura con cui si giudicano le persone, sono proprio le buone maniere che Giovanni Della Casa scrive ne Il Galateo. Lo storico e sociologo tedesco Norbert Elias, da uno studio di questo testo, arriva alla tesi che la società moderna si è costruita su un generale cambiamento culturale, ovvero l’innalzamento della soglia del pudore:

 

“un fenomeno rilevante come la nascita della moderna vita privata e del suo moderno rapporto con quella pubblica si è svolta sul terreno dell’imposizione e introiezione di modelli di inibizione delle pulsioni e di comportamento disciplinato”.(Guida allo studio della storia moderna – Roberto Bizzocchi)

La pensa in modo simile anche Freud, il quale afferma che la civiltà si basa proprio sulla repressione degli istinti sessuali e violenti degli individui ed è proprio per questo motivo che la società moderna è abitata da individui frustrati:

 

“La civiltà si lega al disagio perché la sua stessa esistenza è resa possibile solo attraverso la repressione degli istinti della violenza e del sesso: al fine di una convivenza civile gli uomini hanno introiettato un senso di colpa che è alla base del loro autocontrollo delle pulsioni, una rinuncia e un sacrificio di sé che generano appunto infelicità e nevrosi”. (Guida allo studio della storia moderna – Roberto Bizzocchi)

 

La disciplina dei comportamenti non è del resto un tema che interessi solo la sfera privata, perché essa evidentemente influenza in modo decisivo la gestione sociale dell’ordine pubblico e l’esercizio del potere. È proprio quello che rappresentano la figura dell’ispettore giudiziario minorile e delle forze dell’ordine in generale in Arancia Meccanica: non fanno il loro dovere per il bene del cittadino, ma per la salute dello Stato e del potere.

 

Un’importante critica a proposito dell’assistenza sociale è rappresentata dal padre del cinema David Wark Griffith con in Intolerance, una delle più grandi opere del cinema muto:

 

“egli traccia con pungente ironia un quadro della beneficenza nell’ambiente di miseria urbana, dell’ipocrisia da parte degli attivisti e delle istituzioni filantropiche, della discordanza fra i programmi caritativi e le attese degli indigenti. Nel quadro di Griffith l’assistenza sociale è accompagnata da azioni repressive, da una stretta vigilanza sul modo di vivere dell’ambiente dei poveri, sulla loro moralità e sui comportamenti nella vita quotidiana, sulla partecipazione alle pratiche religiose e sull’igiene personale. Tutto ciò consolidava una specie di marchio d’infamia. […] Ogni forma di svago e di divertimento, considerata fonte di depravazione e manifestazione di una vita prodiga, veniva biasimata. Per cui le azioni filantropiche, indipendentemente dalle intenzioni dei loro promotori, si scontravano spesso con la diffidenza e l’ostilità degli ambienti poveri e con l’avversione del movimento socialista”. (La pietà e la forca – Bronislaw Geremek)

In questo film non si cerca di educare il violento, ma il povero. Se si pensa inoltre alle sopra citate ‘workhouses‘, il trattamento riservato a coloro che non erano abbastanza ricchi, era molto simile a quello dei delinquenti: costretti al lavoro forzato. Esse erano infatti “nuove versioni degli ospedali generali con il medesimo rigido regime del passato di costrizioni e privazioni”. (La pietà e la forca – Bronislaw Geremek)

Nel tardo Medioevo erano sorti gli istituti sociali, che erano istituzioni pubbliche e private, il cui scopo era quello di assicurare l’assistenza pubblica e la sorveglianza di individui sottoposti a specifiche pratiche di internamento.
Nel XVI secolo lo slancio riformatore nel settore assistenziale si basava sulla distinzione fra poveri meritevoli e non, fra indigeni e non. Il povero forestiero non meritevole di protezione veniva generalmente espulso, quello indigeno, internato ed ‘educato’ col lavoro forzato.
Sempre nel Regno Unito, per ragioni economiche, nel 1834 fu emanata una legge che aboliva la ‘carità legale’, proibiva l’aiuto a domicilio e costringeva i poveri nelle case di lavoro. Quindi chi è povero ha bisogno di ‘rimedio sociale’ e si costringe così al lavoro proprio come chi uccide.

 

Nel Medioevo però non era così e il trattamento che veniva loro riservato era differente: era infatti usanza distribuire loro elemosine. Era tipico che i ricchi nobili, durante i loro viaggi per le città e per le feste, offrissero denaro ai mendicanti. Per la nobiltà l’elemosina divenne quasi uno status symbol: chi donava di più, dimostrava di essere più era ricco.
L’elemosina era fatta inoltre dalla Chiesa, che nei giorni delle feste elargiva donazioni ai poveri riuniti nei monasteri. Il suo ruolo principale era infatti quello di filtro fra le classi basse e quelle alte: la carità dei laici si realizzava attraverso lasciti ai monasteri, che si sarebbero poi presi cura dei bisognosi; inoltre un terzo o un quarto dei proventi ecclesiali doveva essere destinato ai poveri.
La nascita dell’età moderna, ha fatto sì quindi che anche i poveri venissero considerati ‘individui da correggere’, o ancora meglio ‘da sfruttare’ (data la loro natura sociale debole) nel processo produttivo che hanno creato le rivoluzioni industriali.

 

“La vita è una cella un po’ fuori dell’ordinario, più uno è povero più si restringono i metri quadrati a sua disposizione”.  (Vasco Pratolini)

 

Se ti è piaciuto questo articolo leggi la prima parte di Da Kubrick a Bradbury: la libertà dell’individuo nel cinema e nella letteratura – 1° parte.