La tenerezza di Gianni Amelio ha un titolo antifrastico, riferito a qualcosa di cui nel film non c'è quasi traccia; qualche volta desiderata, ma soprattutto respinta, la tenerezza è completamente assente.

Tratto dal romanzo di Lorenzo Marone La tentazione di essere felici, La Tenerezza di Gianni Amelio ha un titolo antifrastico, riferito a qualcosa di cui nel film non c’è quasi traccia; qualche volta desiderata, ma soprattutto respinta, la tenerezza è completamente assente, se non per brevi fasi e sofferti attimi, nel ritorno ad alti livelli dell’autore di Così Ridevano e di Colpire al cuore dopo il capitombolo de L’Intrepido. Come lei, la serenità, la pace interiore e la minima parvenza di felicità; i personaggi o hanno coscientemente gettato la spugna, o soccombono nella ricerca e, per citare il titolo del romanzo, nella tentazione di essere felici.

 

Lorenzo (uno straordinario Lorenzo Carpentieri) è un avvocato in pensione, chiuso completamente in se stesso, che vive isolato nel vecchio appartamento della moglie nel centro di Napoli, non parlando neanche con i suoi due figli. Qualcosa sembra cambiare quando una giovane coppia si trasferisce nell’appartamento accanto al suo e, grazie all’energica e svampita Michela (Micaela Ramazzotti), l’anziano avvocato pare, almeno in parte, uscire dal guscio all’interno del quale si è rinchiuso. A scompaginare ulteriormente le carte nell’interiorità del protagonista, un’improvvisa tragedia.

 

La tenerezza 1

Lorenzo Carpentieri e Giovanna Mezzogiorno

 

Gianni Amelio racconta la difficoltà di affidarsi ai sentimenti e ai rapporti umani, anche quelli più ovvi –  tra i temi decisivi del film, la paternità e il rapporto con i figli – e prova a descrivere come paure, ricordi e rimorsi agiscono nell’interiorità incancrenendosi. Elementi nella sostanza insondabili; il film infatti vive di silenzi e di non detti. Il regista calabrese non ha l’arroganza di voler spiegare e di cercare di dare un senso; si limita a mostrare gli effetti e la quotidianità, talvolta amara e talvolta tragica, di chi vive in questo sofferto deserto dei rapporti umani. I silenzi però sono assordanti e i non detti riecheggiano continuamente, nell’evolversi dei protagonisti come nella mente dello spettatore. Allo stesso modo risuonano il passato e i trascorsi dei personaggi, anche in questo caso accennati più che raccontati.

 

Lavorando, con efficacia e asciuttezza, sulla superficie e raccontando gli effetti più che le cause, La tenerezza conquista per lunghi tratti per la sua dolente forza, e per come mette lo spettatore di fronte ad una realtà che, anche se non ai livelli delle condizioni descritte nel film, in qualche modo interessa tutti, e in cui, anche solo per un rapporto tra i tanti delle nostre vite, in molti possono riconoscersi. È un film che sfiora l’astrazione quando suggerisce e gioca sul non detto, e che purtroppo talvolta cade, in particolare nella seconda parte, quando si affida a dialoghi, che troppo spesso paiono poco naturali, e a monologhi declamatori e retorici (su tutti, il pre-finale nel tribunale). In questi momenti, sempre più frequenti verso la fine, La tenerezza perde l’efficacia delle fasi migliori e la naturalezza con cui parla allo spettatore, cadendo nel vizio tipico di quei film che vogliono spiegare anche quando non ci sarebbe assolutamente la necessità di farlo. (C’è solo un “monologo” potente e davvero utile al senso del film; quello di Greta Scacchi sull’ascensore).

 

La tenerezza 2

Micaela Ramazzotti e Elio Germano in una scena del film

 

Gianni Amelio dirige, supportato dall’ottima fotografia di Luca Bigazzi (che ha lavorato anche sul set di Young Pope), con la semplicità del veterano, alternando primi piani a leggeri movimenti di macchina, e dando grande risalto ai confini e ai limiti interni delle ambientazioni. Abbiamo già detto dell’ottima prova di Renato Carpentieri, mentre Elio Germano (che però non sfigura), Micaela Ramazzotti e Giovanna Mezzogiorno regalano l’ennesima non variazione sul tema dei loro personaggi più tipici. Tra i quattro la peggiore, anche perché quella meno aiutata dalla sceneggiatura e dai dialoghi, è la Mezzogiorno, ma preoccupante inizia ad essere la stasi sul personaggio della svampita piena vitalità della Ramazzotti.

 

La Tenerezza, quindi, con i suoi alti e i suoi bassi, con i suoi momenti più potenti e dolenti e con le sue cadute nella retorica declamatoria, nel complesso funziona, per lunghi tratti decisamente. Che poi la tenerezza a cui nel film ci si nega e a cui si sfugge fa capolino (forse) nell’ultima inquadratura, incarnata in un piccolo gesto apparentemente di un’ovvietà assoluta, ma nella sostanza difficile da compiere, come superare un ostacolo insormontabile.

 

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