Da Playtime ad Amici miei un viaggio nelle migliori commedie amare del cinema.

Fin dai tempi della comicità muta slapstick, quando gli oggetti dall’uso più quotidiano e le azioni più ovvie dichiaravano guerra al malcapitato protagonista, le migliori commedie hanno sempre più o meno nascosto un sottofondo di disagio e inadeguatezza; come se rappresentasse la mancata sintonia tra l’individuo e il mondo che lo circonda e le sue regole, con le relative ed esilaranti conseguenze. Del resto, la faccia malinconica e perplessa di Buster Keaton dopo l’ennesima caduta riassume questo punto di vista. Nei decenni la comicità al cinema si è stratificata in numerosi filoni ed altrettanti approcci al far ridere (o anche solo sorridere), che non stiamo qui ad elencare. Non c’è solo la dicotomia ‘film comico vs commedia’; sia all’interno del comico puro che della commedia le strade percorse sono state molte. Tra queste non sono mancate le commedie dichiaratamente amare, in cui l’atto del ridere, spesso acre e quasi torvo, è stato una maniera per esorcizzare la disperazione e il fallimento, la nostalgia e il rimpianto. Fra poche settimane uscirà il celebrato e premiato Toni Erdmann, il cui protagonista è solo l’ultimo esempio di una serie di personaggi che fanno ridere loro malgrado. Ripercorriamo la storia del cinema con le migliori commedie amare che hanno lasciato il segno.

 

5) Playtime – Jacques Tatì (1968)

Dicevamo che la comicità fisica può essere letta come espressione di una mancata sintonia tra individuo e mondo; tra coloro che hanno imparato e rinnovato la lezione dei vari Chaplin e Keaton, aggiornandola al caos della modernità, c’è Jacques Tatì. Playtime è la summa, imponente, magniloquente e volutamente caotica a livello visivo, della sua poetica. Monsieur Hulot, alla sua quarta apparizione, continua in maniera ostinata e contraria a camminare in senso opposto al mondo e alla società che lo circonda. Talvolta è un elemento destabilizzante, più spesso è una vittima (o entrambe le cose). Hulot è impossibilitato a compiere azioni quotidiane e ad essere accettato davvero nell’agone sociale, se non come maschera di puro folclore. È l’elemento stonato in una società caotica, irrefrenabile e preda delle nevrosi e delle apparenze. È anche la figura più rilassante nell’horror vacui messo in scena, elemento che però non toglie la sensazione di utopica e inutile resistenza destinata alla sconfitta e all’emarginazione.

 

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Una scena da Playtime di Jacques Tati

 

4) Partita a quattro – Ernst Lubitsch (1933)

Non è obbligatorio che una delle migliori commedie amare debba essere per forza una commedia dai riferimenti sociali; la mestizia e la malinconia nascoste o esorcizzate da un sorriso si possono trovare anche in storie intime e sentimentali. D’altronde, chi non ha mai sofferto come un cane per amore o per motivi stupidi invece che per la fame nel mondo scagli il primo Bacio Perugina. E chi poteva insegnarcelo se non colui che più di altri ha definito i canoni del genere? Ernst Lubitsch. Partita a quattro, storia di un triangolo amoroso in realtà mai davvero realizzato e con quarto incomodo annesso, racconta della difficoltà di scegliere e di rinunciare, delle conseguenti rinunce e compromessi, su tutte il sacrificio di una parte di sé, e la condanna alla stasi e al dubbio interiori. I tre lati del triangolo sono personaggi che “perdono nel momento stesso in cui pare vincano” (Franco La Polla), e il loro patto finale non è credibile, per quanto generoso, sentito e sincero. I tre ci credono, ma sanno benissimo che la loro è una falsa speranza. Il magistrale esempio del “Lubitsch’s touch” che è il consapevole e amaro scambio di sguardi con cui il film si chiude è un finale mesto e malinconico come raramente accadrà ancora in commedie sentimentali.

 

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Ernst Lubitsch con Partita a quattro dimostra che le migliori commedie amare non devono avere per forza tematiche sociali

 

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