Magic in the Moonlight è piatto, privo di vitalità e di quella energia che ci aspetteremmo da un regista del suo calibro.

Woody Allen è senza dubbio uno dei registi più prolifici degli ultimi decenni. Dal 1966 ad oggi ha diretto circa una cinquantina di film. Basta quindi un rapido calcolo matematico per rendersi conto che il cineasta newyorkese è riuscito a portare nei cinema di tutto il mondo quasi un film all’anno. Tale fatto diventa ancora più impressionante se pensiamo che Woody ha sceneggiato tutti questi film e in molti di essi ha persino recitato come attore protagonista.
Ma una vasta produzione come la sua comporta un rischio molto alto: con tempistiche così ristrette, anche se ci si chiama Allen, la possibilità di portare sullo schermo una pellicola mediocre esiste.
Il destino ha voluto che tra tali pellicole – quelle mediocri – ci sia anche, a braccetto con To Rome with Love (2012), il suo ultimo film Magic in the Moonlight (2014).

 

La trama è piuttosto semplice. Siamo nel 1928, cavalcavia temporale tra gli eleganti anni Venti ed i temibili anni Trenta. A Berlino un celebre illusionista cinese si esibisce sul palco con incredibili performances tra gli applausi di un pubblico impressionato e divertito. Peccato che in realtà il prestigiatore di cinese abbia solo il nome e il travestimento di scena. A vestire i suoi panni è infatti Stanley Crawford (Colin Firth), un inglese spocchioso, cinico, snob e arrogante. Sarà la richiesta d’aiuto di un collega e amico a portarlo nel meraviglioso sud della Francia, precisamente in Costa Azzurra. Qui Stanley e le sue straordinarie abilità illusionistiche sono chiamati a smascherare Sophie, una giovanissima e bellissima medium americana (Emma Stone), ospitata al momento nella residenza di una facoltosissima famiglia; pare che la sedicente sensitiva stia spillando molti quattrini alla nobildonna di casa e abbia addirittura fatto innamorare perdutamente il figlio di quest’ultima. La truffatrice-scalatrice sociale va dunque fermata e solo il migliore può smascherarla una volta per tutte. Il superbo Stanley è convinto di giocare questa partita a mani basse, ma sarà costretto a ricredersi dopo poco tempo passato con la giovane medium. L’illusionista inglese non solo non sarà in grado di capire i trucchetti che si celano dietro alle “magie” della donna, ma allo stesso tempo comincerà ad invaghirsi di Sophie.

 

Il personaggio di Stanley è certamente l’elemento di vero interesse del film: un uomo sicuro di sé, che non crede in niente, che vive la vita da pessimista-nichilista, burlandosi dei creduloni che pensano che la vita sia qualcosa di più di quello che noi tutti vediamo. La religione per lui è insensata, così come sciocchi sono coloro che credono nella magia e nella genuinità di una medium, illusi che vivono in una speranza che non esiste. Per intenderci: Stanley Crawford, prestigiatore famoso in tutto il mondo, si guadagna da vivere (con divertimento personale) illudendo gli altri, tutti gli sprovveduti disposti a pagare pur di essere illusi. La beffa però è doppia: non solo perché illusionista, ma anche in quanto Stanley si traveste da cinese (è così snob da non mostrasi con la sua vera identità)!

 

Colin Firth è molto credibile nel ruolo affidatogli da Allen: spregiudicato, insensibile, cinico ed insopportabile. E anche quando il suo personaggio cambia, quando comincia a credere nella gioia della vita, Firth resta all’altezza della situazione.
Lo stesso, a mio parere, non si può dire della protagonista femminile, Emma Stone, fanciulla dagli occhi enormi. Il suo personaggio è infatti del tutto privo di quella fascinazione femminilissima tipica della donne portate sullo schermo da Woody Allen. Sophie risulta piuttosto caricata, sempre in bilico tra il ridicolo ed il patetico. Che fosse voluto, può darsi; ma resta il fatto che questo personaggio femminile non ha nulla di affascinante, né tantomeno regge il confronto con il suo pari maschile.
Magic in the Moonlight non è in sé un pessimo film; preso da solo, spogliato del nome del suo autore, è un film frivolo ma guardabile. Il problema è che questo film è di Woody Allen. Il problema è che tutti noi lo compareremo sempre all’intera produzione alleniana e il confronto con uno qualsiasi dei suoi film (basti pensare al recente Midnight in Paris, 2011, film dolcissimo e brioso) fa impallidire e vergognare Magic in the Moonlight. La verità è che quest’ultimo film di Allen è piatto, privo di vitalità e di quella energia che ci aspetteremmo da un’opera di Woody. È un film che parla della gioia di vivere che, però, non viene trasmessa affatto. Qualcuno ha tentato di scovare misteriosi e intrinseci risvolti storici e rilevantissimi dettagli simbolici dietro alle frivole immagini di Magic in the Moonlight; ma il fatto è che per molte persone è difficile accettare il fatto che Woody Allen possa aver fatto un film mediocre.

 

Va chiarito che quest’ultimo scivolone di certo non macchierà la sua reputazione, né tantomeno screditerà il suo talento. Quello che preme sottolineare è soprattutto che Magic in the Moonlight non piacerà a tutti, ma questo è probabilmente il prezzo da pagare in caso si voglia fare un film ogni anno e ci si chiami Woody Allen. Perché anche i migliori sbagliano, a volte.