La vita non è un film, ma la sua vita è stata interamente dedicata ai film. È morto sabato 17 ottobre 2015 a 91 anni il critico cinematografico Morando Morandini. 

Addio a Morando Morandini: il ricordo di un estimatore

Morando Morandini non è stato solo l’autore del celebre Dizionario dei film edito da Zanichelli (al secolo “Il Morandini”! Avete presente i voti con le stelline? Praticamente le ha inventate lui!), ma anche firma di importanti monografie su grandi registi (Ejzenstejn, Bertolucci, Huston) e coautore (insieme a Fofi e Volpi) di una Storia del cinema (1988) assolutamente pregevole.

 

Ricordo ancora come fosse ieri quando mi fu regalato per Natale il suo Dizionario dei film. Era il 2005. Dieci anni fa. Per me non era solo un dizionario: era una miniera d’oro, di perle e pepite d’oro! Ogni recensione, brevissima, era come una poesia, un sonetto da mangiare con gli occhi e assimilare col cervello (e il cuore).

 

E ricordo ancora che impresa fu trovare in libreria il suo libro Non sono che un critico. Il ritorno, edito da Il Castoro, vero e proprio testamento di una vita, di chi, come afferma nelle prime pagine, ha “il sospetto di aver passato la vita guardando un muro, e un lenzuolo bianco sopra quel muro, voltando le spalle alla realtà”.

 

Ma soprattutto ricordo quella volta che l’ho incontrato: capitò alla 67esima edizione del Festival di Venezia, ossia la prima volta che andavo alla Mostra del Cinema. Entrando in Sala Darsena, alla prima proiezione in assoluto a cui assistevo al festival, con la sala ancora in penombra, lo incrociai mentre saliva le scalette, verso l’uscita, a braccetto con Tatti Sanguineti. Avete capito bene: Morandini e Sanguineti l’uno accanto all’altro! Fu un mezzo colpo al cuore! Mi avvicinai timoroso e gli chiesi se voleva (anzi volevano) fare una foto con me. Morando, garbatamente rifiutò. Rimediai con un improvvisato autografo su un quadernetto.
Fu un incontro veloce, fugace, di quelli che però fortificano l’immagine del tuo mito. E lì, pur in una manciata di secondi, capii molto di Morando Morandini: un uomo schivo, buono, che non amava i riflettori. Un uomo che non alzava la voce, ma sapeva farsi sentire, soprattutto a parole, parole scritte intendo. Un vero mito, dunque. Che se ne è andato nello stesso silenzio che ha sempre amato. Che in fin dei conti, se ci pensate, non è altro che il silenzio che riempie un cinema quando, spentesi le luci, ha inizio il film. Quando si dice la coerenza…

 

Intervista immaginaria a Morando Morandini: “Non sono che un critico”

Morandini è stato un uomo che ho sempre desiderato intervistare. Un mostro sacro. Sì, proprio lui che su di sé affermava: “Non sono che un critico”.
Ecco quindi un’intervista immaginaria con Morando Morandini intorno alla figura del critico e all’utilità della critica. (Tutte le risposte di Morando Morandini sono tratte dal suo bellissimo libro Non sono che un critico. Il ritorno, Il Castoro, 2003)

 

Quanti film ha visto nella sua vita?
Un professionista siffatto vede in media – e quasi sempre recensisce – centocinquanta film all’anno, più un altro centinaio che ingerisce ai festival dove la razione media per un recensore non ancora sfiaccolato dalla routine è di tre film al giorno. Sono, dunque, duecentocinquanta film in un anno e parlo di lungometraggi tra i 90’ e i 120’ di durata: sono settemila/ottomila film in trent’anni. (p.12)

 

Fare il critico cinematografico è un lavoro facile, in fin dei conti si vedono solo film… o no?
Quand’ero un giovane e baldo giornalista, all’inizio della sua attività di recensore, durante una visita a una vecchia zia, a me assai cara, milanese di vecchio stampo, mi sentii dire: “Ma che razza di mestiere fai? Vai al cinema una volta al giorno, ci vai gratis, e per giunta ti pagano!”. Non mi sono mai dimenticato di quella vecchia zia e delle sue parole che possono sembrare banali nella loro affettuosa ovvietà, ma che nascondono, a mio parere, una verità. (p. 13)

 

Ma un critico cinematografico guarda film tutto il giorno? In molti se lo immaginano così. O ha anche una vita sociale oltre il grande schermo?
In quanto cittadino, il critico ha il diritto/dovere di leggere qualche buon libro che non sia di cinema, andare qualche volta a teatro, ai concerti, alle mostre, fare l’amore, occuparsi della moglie e dei figli, se ne ha, fare politica, stare con gli amici, oziare, insomma vivere. (p. 14)

 

Che cos’è una recensione?
La recensione è, in fondo, un microgenere letterario. (p. 21). Poiché è un genere, bisogna impararne bene le regole prima di trasgredirle (p. 30). La critica deve rispondere a tre compiti: informare, analizzare, valutare. E, quand’è possibile, dissodare e scoprire. (p. 32) Bisogna dare da bere al lettore, non dargliela a bere. (p. 23). Fare il critico è una funzione, non dev’essere un ruolo. Bisogna fare il traghettatore. (p. 44).

 

Come definirebbe sul suo dizionario la figura del critico?
Che cos’è un critico, in fondo? Uno spettatore (un lettore) esigente che sa scrivere meglio e che ha più memoria della media dei suoi lettori. Se, per giunta, è anche più intelligente, tanto meglio. (p. 36)

 

E chi è lo spettatore?
Lo spettatore è quello che finisce il film. (p. 64)

 

Qual è la cosa più ardua per un critico?
Parafrasando Bresson: il critico deve sognare di nuovo il sogno del regista. (p. 27)

 

E quella più difficile di una recensione?
Il problema non è scrivere. È togliere. (p. 47)

 

Cosa proprio non sopporta dei critici, anche di alcuni suoi colleghi critici?
Detesto la tiepidezza. La loro scrittura è un brodo tiepido, spesso insipido, incerta tra la freddezza della lucidità e il calore della partecipazione emotiva. (p. 52)

 

Il peggior difetto di un critico?
C’è qualcosa che i critici non riescono ad ammettere e che, comunque, odiano: avere torto. Non soltanto loro, si può obiettare. Loro, più degli altri. (p. 42)

 

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