Troppi subplot e poche emozioni: delude il terzo capitolo della saga.

Siamo alla fine degli anni Cinquanta, e Ip Man si è guadagnato da tempo la fama di miglior esponente del Wing Chun fra le scuole di arti marziali di Hong Kong. L’equilibrio si rompe a causa di un gangster afroamericano che punta al rilevamento della scuola elementare, frequentata tra l’altro dal secondogenito del protagonista. A tener testa agli scagnozzi del malavitoso intervengono sia gli allievi del maestro che un guidatore di risciò con l’ambizione di aprire a sua volta una scuola di Wing Chun e battersi con Ip Man. Quest’ultimo si troverà nuovamente scisso tra il suo senso del dovere e il desiderio di stare accanto all’amata moglie nel momento più difficile della loro vita insieme.

 

Dopo aver fronteggiato una spietata dominazione giapponese a Foshan (Ip Man), l’arroganza dei colonialisti inglesi a Hong Kong e la rivalità fra le scuole di kung fu cittadine (Ip Man 2), va da sé che questo terzo film della saga non è all’altezza dei suoi precedenti in quanto a epicità e incisività (esattamente, purtroppo, come la recitazione di Donnie Yen).

 

film ip man 3

 

Inesattezze biografiche e componente naïf sono trascurabili se confrontate alla sceneggiatura, vero punto debole del film Ip man 3: i troppi subplot iniziati e frettolosamente conclusi fanno sì che il fulcro narrativo si sposti in continuazione, generando disorientamento e senso d’incompletezza. C’è stato spazio perfino per un accenno al sodalizio fra Ip Man e Bruce Lee (Danny Chan), il più celebre dei suoi allievi; accenno che sarebbe stato interessante approfondire anziché rimandare a un improbabile quarto capitolo della saga diretta da Wilson Yip.

 

A poco è valsa la partecipazione dell’ex pugile Mike Tyson, decisamente sovradimensionata in sede di campagna marketing (soprattutto ai fini dell’esportazione oltreoceano).

 

Perfino un altro selling element di tutto rispetto come Yuen Wo Ping (coreografo di arti marziali per La tigre e il dragone, le saghe di Matrix e Kill Bill) non riesce a sfoderare tutto il suo talento, realizzando una serie di duelli tecnicamente ben orchestrati ma quasi mai eccezionali.

 

Contrariamente alle aspettative, la sequenza più degna di nota per bellezza e precisione riguarda nientemeno che un cha cha cha in montaggio alternato ad una sfida mancata.

 

Per rifarsi gli occhi in puro stile Wing Chun, da rivedere The Grandmaster, capolavoro di Wong Kar-wai.