Il film di Mike Flanagan caratterizza i suoi personaggi in maniera impeccabile, senza attingere agli stereotipi dei film horror.

 
 
Non ho mai considerato i film horror appartenenti a un genere di serie B. Anzi, ad essere sincero ne sono sempre stato appassionato. Certo, c’è horror e horror. Quelle saghe infinite (tipo Halloween o Saw, giusto per citarne due) che sono nient’altro che una coazione a ripetere di format di successo le ho sempre ritenute poco più che sottoprodotti utili giusto per fare incassi al botteghino; con alcune eccezioni ovviamente (il primo Halloween, ad esempio). Ma al di là di queste declinazioni in salsa splatter o torture, è sempre esistito nella storia del cinema un horror maturo e di qualità che ha in Shining, Rosemary’s baby, L’esorcista e, perché no, Profondo rosso i suoi capolavori inarrivabili.
 
Senza tuttavia dover tornare troppo indietro, anche il recente passato ci ha lasciato in eredità grandi film del genere (due per tutti, The others e Lasciami entrare) ed horror di buona fattura (The orphanage, Dark skies). È in questo secondo filone che si inserisce il film horror Oculus, opera seconda del regista Mike Flanagan, opera matura e non convenzionale. Matura per almeno due ordini di ragioni. Innanzitutto per l’accurata caratterizzazione dei personaggi (ed in particolare dei due protagonisti) inusuale in un genere che pesca di solito a piene mani nella collezione di macchiette o stereotipi. Maturo anche per la sapienza che dimostra nel saper fondere, a mano a mano che la storia procede, le due diverse linee temporali di cui la vicenda si compone.
 
film horror oculus
 
 
Forzatamente separati, dieci anni prima, in seguito ad una serie di tragici eventi che hanno portato alla morte dei loro genitori, Kaylie (la sorella maggiore) e Timbo (il fratello minore) si ritrovano dopo anni difficili e percorsi differenti. Lei è stata affidata ad un’altra famiglia fino al raggiungimento della maggiore età e lui è stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico poiché ritenuto colpevole della morte dei genitori. Kaylie tuttavia è convinta che non sia il fratello il responsabile di quegli omicidi ma una oscura presenza che abita da secoli lo specchio che il padre aveva acquistato e allocato nel suo ufficio di casa. Specchio che sembra abbia provocato, nel corso degli anni, la morte dei suoi proprietari, succedutisi nel tempo. Per questa ragione coinvolge il fratello, i cui ricordi dell’accaduto sono probabilmente inquinati da anni di terapie, nel raffinatissimo piano che ha escogitato per distruggere definitivamente quello specchio e con lui il demone che lo abita.

 

Inizialmente ignari di ciò che è avvenuto dieci anni prima, arriviamo a conoscere lentamente, attraverso quei flashback che come dicevo si fondono col presente, gli sconvolgenti ed inspiegabili eventi che hanno cambiato per sempre le vite dei due giovani. Riscopriamo così l’eterno dilemma tra sogno e realtà, l’incertezza tra l’esatta comprensione dell’esistente e la distorta percezione degli eventi, fino ad un finale che insinua nelle nostre menti il dubbio di un eterno ritorno delle cose.