Anche questa volta Hollywood ha premiato se stessa.

Anche questa edizione degli Oscar 2015 si è conclusa. Per l’ottantasettesima volta “Hollywood ha premiato se stessa”. Ha vinto Birdman. E questo è il primo, palese, verdetto. Ha perso Boyhood, da molti dato come favorito. Anche questo è palese. Ha vinto, in realtà, l’unico film che poteva vincere. Quello di Inarritu era infatti il film che avrebbe dovuto vincere. E sappiamo bene che all’Academy le sorprese non piacciono. Non ricordo, a memoria, un anno in cui il grande o uno dei grandi favoriti sia rimasto a bocca asciutta. A meno che non si voglia considerare sorpresa la vittoria di The hurt locker su Avatar nel 2010, ma neanche l’Academy si sarebbe mai sognata di consegnare il Premio Oscar ad un remake di Pocahontas ambientato in un mondo di puffi giganti. Intendiamoci, non che Birdman non sia un bel film anzi è senz’altro il migliore della fin qui altalenante carriera di Alejandro González Iñárritu e forse l’Academy si sentiva in debito col regista messicano dal lontano 2007, anno in cui, candidato in tutte le categorie principali con Babel, rimase sostanzialmente a bocca asciutta. Quello che invece mi sarebbe piaciuto, era un po’ di coraggio in più. Il coraggio sufficiente per premiare quello che poi era l’unico vero capolavoro in concorso quest’anno (lo splendido cinema-vita di Boyhood). Il coraggio necessario (e qui ce ne sarebbe voluto di più) per premiare un film emozionante come Whiplash, gemma rara che già aveva conquistato il Sundance. E invece.

 

Invece prende tutto Birdman. Miglior film (e non lo era) miglior regia (senz’altro meritevole, ma che dire allora di Linklater o di Anderson?) miglior sceneggiatura originale (Grand Budapest Hotel sinceramente mi era parsa un gradino sopra). Mi chiedo allora a cosa serva allargare la lista dei candidati (passati da cinque a dieci nel 2008, poi scesi a nove poi ancora ad otto, magari il prossimo anno a sette, così, senza un perché) se poi se la giocano i soliti due o tre. Giusto per dare un contentino a qualcuno? Ah dimenticavo, Birdman vince anche la fotografia (peccato che il bianco e nero di Ida aveva ben altra valenza artistica…).

 

Il miglior film straniero va proprio al film del polacco Pawlikowski, Ida. Bel film, intenso e commovente. Probabilmente il migliore dei cinque in lizza (non ho visto Leviathan, di cui ho sentito parlare molto bene) in un anno di particolare magra (stando almeno alla cinquina che si contendeva il riconoscimento) considerato che il tanto osannato Timbuktu è un discreto film che non affonda mai veramente il colpo e Storie pazzesche è simpatico, un po’ amaro ma niente più. Della serie: i capolavori erano altrove (vedi sotto). Il film d’animazione dell’anno è invece Big Hero 6. Ed alzi la mano chi avrebbe scommesso anche un solo centesimo su uno qualunque degli altri quattro film in concorso. Non ho visto le quote dei bookmakers ma scommetto che fosse sull’1.10 o giù di lì. Citizenfour vince invece l’Oscar al miglior documentario. Non lo conosco ma immagino sia un capolavoro. Non avrebbe potuto, altrimenti, avere la meglio sullo splendido lavoro del duo Wim Wenders Sebastiao Salgado (Il sale della terra).

 

Arriviamo così alle statuette per i migliori interpreti. E qui è difficile non concordare con l’Academy per i premi assegnati, benché almeno tre su quattro scontati. Julianne Moore e Eddie Redmayne splendidi protagonisti di Still Alice e La teoria del tutto offrono due struggenti performance donando autentica dignità a due personaggi malati nel corpo o nella mente. Ad onor del vero anche Benedict Cumberbacht avrebbe meritato l’ambito premio (dando corpo e voce al genio Alan Turing nel film The imitation game, che comunque si porta a casa il prestigioso Oscar per la sceneggiatura non originale). Una provocazione: un premio ex aequo stile Venezia? Capitolo non protagonisti. Se scontata, e strameritata, appariva la vittoria del caratterista J.K. Simmons (e chi ha visto Whiplash non può che essere d’accordo) quella di Patricia Arquette è stata abbastanza una sorpresa, non perché immeritata (unico riconoscimento a Boyhood, tra l’altro) ma perché la competizione era alta (dalla giovane Emma Stone, che avrà sicuramente tempo per rifarsi, alla veterana Meryl Streep, di cui ho perso da tempo il conto delle candidature).

 

Oscar 2015 1

J.K. Simmons e Patricia Arquette vincitori degli Oscar 2015

 

Annotazioni sparse. La migliore colonna sonora è di Alexandre Desplat (finalmente, all’ottava nomination) per il film Grand Budapest Hotel. Tra l’altro il compositore francese era candidato anche per La teoria del tutto. Il film di Wes Anderson vince anche gli Oscar per la scenografia, i costumi (Milena Canonero, alla quarta statuetta, la prima la meritò per Barry Lyndon) e il trucco. Francamente non so se siano meritati, sanno più di risarcimento. Whiplash porta a casa altre due statuette per montaggio e sonoro. La miglior canzone è Glory dal film Selma. I migliori effetti speciali sono quelli di Interstellar.

 

Last but not least. Si è notata (o perlomeno io l’ho notata) l’inspiegabile assenza di due tra i film più belli del 2014 che avrebbero potuto rendere più incerto il verdetto nelle categorie dei migliori film (in lingua inglese e in lingua straniera). Parlo, evidentemente, di Gone girl – L’amore bugiardo che ritengo decisamente migliore del film di Inarritu e di Mommy che per freschezza, capacità espressiva e sperimentazione si faceva nettamente preferire ad almeno tre dei film in concorso nella sua categoria (la sua assenza è, questa sì, una storia pazzesca). Tuttavia, mentre il giovane regista canadese Xavier Dolan è all’inizio della sua pur già brillante carriera e scommetto non passerà molto prima che anche negli States si accorgano di lui, l’ostracismo verso David Fincher non appare più giustificabile. Eppure sento che arriverà presto l’occasione per risarcire anche lui. Chiamatelo Academy style.