Ascesa e declino di Ewan McGregor, che con la trasposizione di Pastorale Americana fa un vero e proprio passo falso.

12 maggio 1997

In America viene pubblicato Pastorale americana di Philip Roth.  

Lo scrittore di Newark decide di dividere il suo romanzo in tre parti: Paradiso ricordato-La caduta-Paradiso perduto.

La scelta è vincente. Raccontare ascesa e declino di Seymour Levov – detto lo Svedese – ma allo stesso tempo della sua famiglia e di una nazione intera. Quell’America flagellata dal fuoco fatuo del sogno americano, sempre alla ricerca dell’Isola che non c’è.

Tre come i profondi sentimenti con cui Nathan Zuckerman, alter ego di Roth, guarda lo Svedese: ammirazione, spietatezza e tenerezza.

Zuckerman-Roth, figli degli anni Trenta, adolescenti nei Cinquanta, nutrono grandi speranze per la propria nazione, in quanto gli spettri della grande depressione si sono dissolti e la seconda guerra mondiale si è conclusa con una straordinaria vittoria:

 

“Lo Svedese brillava come estremo nel football, pivot nel basket e prima base nel baseball … grazie allo Svedese, il quartiere cominciò a fantasticare su se stesso e sul resto del mondo, così come fantastica il tifoso di ogni paese… L’assunzione di Levov lo Svedese a domestico Apollo degli ebrei di Weequahic si può spiegare meglio, credo, con la guerra contro i tedeschi e i giapponesi e le paure che essa generò. Con lo Svedese che furoreggiava sul campo da gioco, l’insensata superficie della vita forniva una specie di bizzarro, illusorio sostentamento, il felice abbandono a una svedesiana innocenza, per coloro che vivevano nella paura di non rivedere mai più i figli, i fratelli o i mariti”.

 

Ecco, queste sono le premesse con cui si presenta il romanzo di Roth, che gli conferirà il Premio Pulitzer per la narrativa nel 1998.

 

24 marzo 1997

Quarantanove giorni prima dell’uscita di Pastorale americana, Ewan McGregor è ospite alla cerimonia degli Oscar, in quanto Trainspotting ha ricevuto una nomination per la migliore sceneggiatura non originale.

Ha ventisei anni, è secco, sbarbato e non si immagina nemmeno di come verrà sconvolto l’orizzonte letterario americano solo quarantanove giorni dopo quella serata di gala.

Il talentino scozzese si era fatto notare, già nel 1994, con Piccoli omicidi tra amici, per poi consacrarsi nell’immaginario collettivo come Mark Renton.

 

Pastorale americana 3

Ewan McGregor alias Mark Renton

 

A queste due performance sono seguite altre di tutto rispetto, proiettando Ewan McGregor, da sbarbatello di provincia ad attore maturo in Big Fish e ne L’uomo nell’ombra.

Da Danny Boyle a Tim Burton per finire con Roman Polanski.

Il problema è che McGregor ha preferito scegliere la strada dell’El Dorado segnata dai vari Star Wars, The Island e Il cacciatore di giganti – la lista sarebbe infinita – piuttosto che quella del cinema d’essai, cazzuto, come I racconti del cuscino di Peter Greenaway o Velvet Goldmine.

Ma si sa, la strada del dollaro è sempre la più buona.

Questo è il motivo principale per cui Pastorale americana di McGregor è un grosso buco nell’acqua.

 

20 ottobre 2016

Esce Pastorale americana al cinema, e intanto io sono vissuto abbastanza per leggere e rileggere il libro di Roth.

L’attore scozzese ha deciso di portare sullo schermo un pilastro della letteratura americana, diventato ormai classico moderno. Operazione rischiosa, ma non impossibile. Si pensi ai vari Nabokov con Lolita, Burgess con Arancia meccanica, ah già, quello era Kubrick, lui è Dio travestito da regista, quindi può fare tutto, anche volare.

Il discorso è semplice: o hai due palle grosse come un girasole o non esordisci alla regia con Pastorale americana.

McGregor elimina quasi completamente la prima parte del libro, riassumendo e semplificando tutto il passato glorioso dello Svedese –e quindi di un’America pronta a spaccare il mondo – in poche semplici parole della voce off. Ridicolo.

 

Il plot quindi si stringe, e diventa più simile a una telenovela che all’affresco di una nazione che sanguina per le proprie ferite.

La storia del film è semplice: un padre e una figlia, e il loro rapporto sconvolto da una bomba.

 

Pastorale americana 1

Lo Svedese e sua figlia Merry

 

 

Peccato che il libro non voglia assolutamente rappresentare il rapporto tra un padre e una figlia, ma si erge a testamento di un paese in continua trasformazione, dagli anni Cinquanta alla fine della guerra del Vietnam. Un ventennio delicato, rappresentato con estrema chiarezza dalla penna di Roth. Da McGregor no.

 

La spietatezza dell’occhio disincanto di Zuckerman, caratteristica della seconda parte del libro, nel film non traspare nemmeno. Appare sempre questa nostalgia, questo occhio di riguardo per lo Svedese, ma Roth ci ha consegnato una delle domande più buie del Novecento: “Cosa diavolo c’è di meno riprovevole della vita dei Levov?”.

Un cazzotto nello stomaco alla fine di un libro di quattrocento pagine.

 

Ma passiamo al cast. La scelta è stata del tutto sbagliata. Se, prima di vedere il film, pensavo che come physique du role Ewan McGregor fosse perfetto, già dopo una manciata di minuti mi sono dovuto ricredere. Ha una faccia da pesce lesso a metà tra un paziente di Qualcuno volò sul nido del cuculo e Big Fish, con quel sorriso sardonico per circa metà film e lo sguardo perso nel vuoto.

 

Pastorale americana 2

Lo sguardo a pesce lesso di Ewan McGregor

 

 

Su Dakota Fanning nei panni della figlia Merry meglio stendere un velo pietoso. Quando dovrebbe avere sedici anni, ed essere l’esile ragazza tormentata del libro, sembra una venticinquenne sull’orlo di una crisi di nervi. Imbarazzante.

 

L’unica che si salva è Jennifer Connelly, perfetta per la parte tutta lustrini di Miss New Jersey.

 

Ewan McGregor sguazza alla perfezione nella mediocrità di quel cinema americano di cui ormai fa parte.

 

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