Point Break: il film dei quattro elementi.

Siamo in California, a Los Angeles e una banda di malviventi spadroneggia nelle rapine in banca. Sono in quattro e vengono chiamati gli ‘ex presidenti’ perché indossano le maschere di Carter, Reagan, Nixon e Johnson. L’FBI non sa più dove sbattere la testa poiché la teoria dell’agente Angelo Pappas (Gary Busey di nuovo alle prese con il surf come in Un mercoledì da leoni) per la quale gli “ex presidenti” sarebbero dei surfisti, viene considerata una follia. Con l’arrivo a Los Angeles di Johnny Utah (un giovanissimo Keanu Reeves) l’indagine viene rispolverata. Questo l’incipit di Point Break.

 

Utah crede al collega Pappas e dopo aver trovato l’aggancio perfetto, la surfista Tyler, si fa allenare giorno e notte entrando piano piano nell’ambiente. Qui conosce Bodhi (un grande Patrick Swayze), surfista e capo della banda.
Point Break è un film d’azione – forse uno dei migliori del genere – ma prima ancora è il film dei quattro elementi: Acqua, Fuoco, Terra, Aria.
L’acqua è l’elemento portante del film, la madre di tutte le cose e proprio per questo lo apre e lo chiude in modo ciclico e perfetto. L’acqua dà la vita, ma la può anche togliere da un momento all’altro.
Il fuoco ha un aspetto miscellaneo in Point Break. È un fuoco oscuro e romantico che si fonde tra falò sulla spiaggia, colpi di pistola e lanciafiamme.
La terra è il collante di tutto, il suolo calpestato da Bodhi e Utah è lo stesso che calpestiamo ogni giorno, un terreno accidentato fatto di continui inseguimenti, che se non sono testa a testa con la polizia sono testa a testa con noi stessi, che ci portano a trasformarci di volta in volta alla ricerca di un barlume di felicità, proprio come i due protagonisti.
Ed infine l’aria. Un elemento che affascina molto la banda degli ‘ex presidenti’, così tanto da essere uno dei principali motivi delle loro rapine, perché lo skydiving è un vizio molto costoso, e insieme al surf è l’unica cosa che li rende davvero vivi.

Point Break è quindi un film sugli elementi, ma anche sull’amore. L’amore per la vita, per il pericolo, per una donna, ma anche per un amico. Perché di amore si deve parlare se si vuole analizzare il rapporto tra Utah e Bodhi. I due si incontrano ed intrecciano le proprie esperienze in un nodo indissolubile, un nodo che non si romperà neanche quando l’uno scoprirà il mestiere dell’altro, in quell’inseguimento capolavoro, che è anche una delle scene più belle del film, in cui Utah in una corsa disperata si farà male ad una gamba, lasciando scappare Bodhi che, girandosi, lo guarderà da lontano con un’arma puntata contro, una pistola che non potrà mai esplodere quel colpo, perché sparando Utah potrebbe recidere quel cordone ombelicale che lo lega a Bodhi e alla sua nuova vita. Un amore platonico, quindi, inteso come moto dell’animo, un po’ come il surf in cui “prima ti perdi e poi ti ritrovi”.

 

Point Break è un punto di rottura, proprio come quello in cui si rompono le onde. È un film che rappresenta alla perfezione gli anni Novanta, insieme a tutte le insicurezze, i turbamenti, i sogni e il malessere di quella generazione. La regista Kathryn Bigelow si trova a suo agio con le scene d’azione mostrando una capacità narrativa fuori dal comune, una mente pienamente cosciente che sviscera il nucleo del film in più sottonuclei, evidenziando un lato filosofico di norma estraneo ai film d’azione. Point Break, a distanza di ventiquattro anni, insieme a Strange Days rimane il film migliore della Bigelow, e aver scoperto da poco che a Natale 2015 ne uscirà un remake mi addolora un po’.
I remake vanno bene per le cose imperfette, per cercare di aggiungere qualcosa di nuovo, ma in Point Break non manca niente, è tutto perfetto, basta lasciarsi trasportare dalle onde del mare.