Un’attesa estenuante, molte le finanze investite, trepidanti i fan, forse troppe le aspettative.

Ci sono voluti molti anni. Un lunghissimo parto di nove anni, ma finalmente gli antieroi di Basin City sono tornati sul grande schermo, abilmente manovrati dalla coppia Miller-Rodriguez: il sequel di Sin City, è stato rigurgitato dopo un’attesa estenuante. Molte le finanze investite, trepidanti i fan, forse troppe le aspettative.

Inaspettatamente Marv, Nancy e gli altri – come dei vecchissimi amici – sono tornati tra noi come se mai ci fosse stato un simile salto temporale (eccezion fatta per il cambio volto del personaggio di Dwight, interpretato in questo secondo capitolo da Josh Brolin).
(Ba)sin City è sempre la stessa: cupa, viscerale, corrotta, pullulante di inquiete anime nere assetate di vendetta. Nella Città del Peccato Dwight incontra inaspettatamente la donna che anni prima gli aveva spezzato il cuore, la bellissima Eva (Ava nella versione originale), interpretata dall’ipnotica Eva Green. Nei guai con il facoltoso marito, Eva prega l’ex amante di aiutarla a tirarsene fuori. Ma la femme fatale (la cui fatalità è anche troppo palese) porta con sé aria di guai… Guai molto grossi.

 

In un altro luogo della stessa dannata città, mentre Marv (Mickey Rourke) passa il suo tempo a bere e pestare gentaglia per divertimento, la splendida stripper Nancy (Jessica Alba, più bella che mai) medita una tremenda vendetta ai danni del potentissimo e corrottissimo Senatore Roark (un villain a tutto tondo): l’uomo è colpevole di aver provocato, anni prima, la morte del suo amato Hartigan.
Parallelamente un altro personaggio desidera sfidare il Senatore. È Joseph Gordon-Levitt, che per l’occasione veste i panni di Johnny, abilissimo ma sfacciato giocatore d’azzardo. Un giovanotto presuntuoso e sciocco, peccatore di superbia: “Odiati, Johnny, odiati quando avrai tempo”.

 

Intorno ai molteplici vendicatori serpeggiano e si intrecciano le svariate realtà di Sin City, una sorta di eterna città maledetta immutabile nel tempo e circoscritta in uno spazio delimitato ma intangibile. Un flusso di anime disperate e disperse, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che allevierà forse per un attimo quella loro pesante esistenza. Il tutto per rituffarsi nuovamente, un secondo dopo, nella sconfinata e lacerante oscurità di una città che non perdona niente a nessuno.

 

Le atmosfere noir che troviamo in A Dame to Kill For sono le stesse – fortunatamente – che caratterizzavano il primo capitolo. Il plot è piuttosto ridicolo, soprattutto rispetto al suo predecessore, principalmente a causa della scelta da parte degli autori di posizionare al centro dell’attenzione la vicenda sentimentale – pusillanime – di Dwight. Ma ciò è coerente con l’andamento della graphic novel da cui è tratto il film, perciò la frase precedente va letta come mera constatazione. I personaggi sono strepitosi, eccessivi e fumettistici quanto basta; credibili gli attori che danno loro vita.

 

Sin City, nel 2005, aveva spaccato. L’attesa del secondo episodio aveva lasciato a molti l’amaro in bocca. Al suo arrivo nelle sale, nel 2014, A Dame to Kill For (disponibile anche nella sua versione 3D – versione alquanto inutile vista la tipologia delle immagini) non ha spaccato, ma se non altro ha risvegliato in noi l’amore per gli abitanti sporchi, brutti e cattivi di Basin City, per questi personaggi memorabili, che ci erano mancati tanto.
Il nero, il colore inaspettato, stridente e dispotico; le forme sinuose, malcelate da pelle, lattex e armi dei personaggi femminili; le parole, pronunciate o pensate, ad effetto, pungenti, sempre al posto giusto, secche e incisive, fedeli amanti delle immagini. Questi sono solo alcuni dei motivi per cui vale la pena vedere Sin City e il suo sequel.