Il regista Michael Arias con Tekkonkinkreet porta in scena una fiaba moderna, pervasa da violenza e sentimento.

Tekkonkinkreet è la storia di Bianco e Nero, due fratelli, due bambini che scorrazzano per Città Tesoro.

Li chiamano i Gatti, sono i padroni della città, tutti li temono e fanno bene perché con i Gatti non si scherza, saltano per la città, o meglio sopra, in equilibrio su altissimi pali della luce, osservano che tutto vada per il verso giusto, scrutano le stranezze di Città Tesoro, una metaforica città giapponese dipinta da colori pop, schizzata di sangue e sudore.

 

Bianco è puro, ma non indifeso, vive nel suo mondo da fiaba, con elefanti che passeggiano per la casa, fiori che nascono e si attorcigliano, e accanto a lui c’è Nero, rabbioso, cupo, inquieto, si prende cura del fratellino, lo veste, lo lava, fa tutto quello che dovrebbe fare un buon fratello maggiore.

Ma Nero e Bianco sono inseparabili, proprio come lo yin e lo yang del TAO, appoggiati l’uno sull’altro si completano, ma se divisi scricchiolano, precipitano in caduta libera facendo un grosso botto.

 

tekkonkinkreet 2

Nero e bianco sono inseparabili

 

A far da contorno ai due ragazzini tantissimi personaggi forse un po’ stereotiparti, ma è il ruolo che rivestono che lo richiede.

Arriva il signor Serpente, un moderno lucifero dalle orecchie a punta, sconvolge l’equilibrio della città, tutto sta cambiando troppo velocemente. Topo ex capo degli yakuza viene messo da parte, tutto si muove secondo i fili che sta tessendo Serpente, che si insinua fra le crepe delle persone, usa il ricatto, tenta il prossimo proprio come il serpente tentò Adamo ed Eva.

Ma Serpente, affiancato da scagnozzi dalle fattezze robotiche, aliene, dalla forza disumana, non fa i conti insieme all’oste o meglio agli osti, pensa di far fuori i Gatti, di dividerli per affondare il colpo, la ferita mortale, per impadronirsi di Città Tesoro, ma i Gatti non ci stanno, sono furiosi, sprizzano rabbia come il Giappone degli anni ’60.

 

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La città Tesoro di Tekkonkinkreet

 

Il regista Michael Arias, statunitense d’importazione, insieme allo sceneggiatore Antonhy Weintraub crea un mondo allucinato, una fiaba moderna, pervasa da violenza e sentimento, due costanti sempre presenti nella vita, proprio come il nero e il bianco.

Il disegno è alternativo, accattivante nella sua imperfezione, volti spigolosi, braccia e gambe che sembrano quelle di bambole di pezza.

La regia è qualcosa di completamente nuovo, mai visto in un film d’animazione, la macchina da presa vola, come i corvi all’inizio del film, scruta i personaggi, si insinua nei vicoli, salta da un palazzo all’altro, l’azione a volte frenetica dei combattimenti, degli inseguimenti è qualcosa di stupefacente, sangue e pallottole degne di un gangster movie; il tutto accompagnato dalle musiche dei Plaid.

 

Film d’animazione che ai più piccoli potrebbe far storcere il naso, una storia che intrattiene e commuove, un rapporto fra due bambini che difficilmente dimenticheremo; definito da molti un buon film, noi gridiamo al capolavoro.

È la storia di Nero e Bianco, è la storia di tutti noi.