Non mancano punti deboli nella sceneggiatura del film di David Dobkin.

In alcuni casi i rapporti in famiglia possono essere talmente tesi da volerne rifuggire, emozionalmente e fisicamente. Hank Palmer, cinico avvocato di successo, questo lo sa bene: allontanatosi presto dalla natia cittadina in Indiana a causa dei contrasti con il padre Joseph, Hank ha tagliato tutti i ponti con la sua famiglia.
Ma l’improvvisa morte della madre lo costringe a tornare nella sua casa d’infanzia per partecipare ai funerali. Al suo arrivo a Carlinville, Hank nota con fastidio che tutto è rimasto come lo ricordava. Anche suo padre, detto il Giudice per via del suo mestiere, è rimasto lo stesso: severo, intransigente, tutto d’un pezzo. La prima occhiata che i due si scambiano dopo anni di lontananza parla chiaro.

Il lutto prosegue in casa Palmer e le cose tra il Giudice ed Hank non migliorano. Ad Hank spetta solo una gelida stretta di mano, mentre a tutti gli altri Joseph offre un caloroso abbraccio; la colazione, rituale di famiglia, si svolge come ogni giorno in un locale del posto, ma Hank non viene invitato. Come se non bastasse quella che un tempo era la cameretta di Hank adesso è un ripostiglio pieno di cianfrusaglie e all’orgoglioso avvocato non resta che dormirci lo stesso, facendosi spazio tra i vecchi, dolorosi ricordi.
Non stupisce quindi che, una volta terminate le onoranze funebri, Hank prenda il primo volo per tornare a casa sua. Ma il giovane non ha fatto i conti con un sadico destino, che lo riporta immediatamente a Carlinville per affrontare la nuova emergenza di casa Palmer: il Giudice è sospettato di omicidio e necessita di un avvocato. Entrambi restii a dover collaborare con l’altro, Hank e Joseph cercano comunque di seppellire l’ascia di guerra per un bene superiore.
The Judge porta sullo schermo un argomento tutt’altro che nuovo, il difficile rapporto tra un padre e suo figlio, ma lo fa affidandosi all’interpretazione di due grandi attori: Robert Downey jr nel ruolo di Hank e Robert Duvall nella vesti dell’integerrimo Giudice. Due personalità apparentemente opposte si danno battaglia dall’inizio alla fine, senza esclusione di colpi. Ma come era prevedibile entrambi i protagonisti svelano lentamente – e inesorabilmente – le loro fragilità. Mentre un figlio testardo e collerico si rivela bisognoso dell’approvazione di un padre che aveva quasi ripudiato, un giudice dalla morale ferrea abituato a condannare i colpevoli senza pietà si ritrova suo malgrado ad essere giudicato (da una corte, ma soprattutto da sé stesso e dai figli).

 

La scelta di Robert Downey jr e Robert Duvall si rivela ben presto fondamentale non solo per la buona riuscita del film, ma anche in funzione di salvagente nel caso qualcosa andasse storto. E qualcosa è andato storto: la sceneggiatura alla base del film vanta alcune buone idee, ma presenta anche svariati punti deboli. Molte sono infatti le sequenze di troppo, sia perché confondono lo spettatore, distraendolo da quella che dovrebbe essere la colonna portante di The Judge (il rapporto tra Hank e Jospeh), sia perché alcune di esse contengono ripetizioni e sottolineature superflue. Questo errore costa caro agli autori, in quanto chi guarda ha la fastidiosa sensazione di non essere da loro ritenuto all’altezza di capire il film senza tutti gli addobbi extra. In poche parole: avendo scelto due pilastri della recitazione come Duvall e Downey jr, che senso ha far dire loro infinite volte quanto difficile sia il loro rapporto? Bastano i loro sguardi, una parola non detta, una carezza non data.

 

Di contro, alcune delle immagini del film sono di straordinaria bellezza: basti citare la sequenza girata nel bagno di casa Palmer, nel momento in cui Hank corre in aiuto del padre. In questo caso, ma anche in altri, le doti dei due attori vengono esaltate nel modo più corretto.
Va infine sottolineato che The Judge (che ha aperto il Toronto International Film Festival) è stato diretto da un regista piuttosto giovane, David Dobkin, che fino ad adesso si era cimentato quasi esclusivamente in commedie, alcune di esse di successo (Due single a nozze). Mancava forse anche un po’ di esperienza da parte del regista, che nonostante tutto ha fatto un buon lavoro.