Un viaggio nella stupenda filmografia di Woody Allen.

3) Zelig (1983)

“Chiedo al rabbino qual è il significato della vita. Lui mi dice qual è il significato della vita. Ma me lo dice in ebraico. Io non lo capisco, l’ebraico. Lui chiede seicento dollari per darmi lezioni di ebraico”.

 

La frequente rottura della quarta parete in Io e Annie testimoniava già che il cinema di Allen non ha mai un approccio davvero realistico, ma è sempre aperto al paradossale, all’onirico e talvolta al fantastico quasi dichiarato. Una tendenza in qualche modo sempre presente, ma più accentuata in certi film (da Stardust Memories a La rosa purpurea del Cairo); Zelig, oltre ad aver dato il nome al locale milanese di cabaret, ne è una delle migliori dimostrazioni. A partire dal fatto che sia un “mockumentary” (di cui abbiamo stilato una classifica da paura con i migliori horror mockumentary), elemento che contrasta, esaltandolo, con il paradosso raccontato del protagonista in grado di assorbire come un camaleonte l’identità di chiunque. C’è infatti un continuo corto circuito tra l’evidente falsità dell’opera e la precisione “più vera del vero” con cui vengono ricostruiti l’età del jazz e i suoi riferimenti culturali; il film diventa così una sublime riflessione non solo sulle solite nevrosi, ma anche sul potere del cinema e della finzione. L’ironia è costante, ma porta più spesso al sorriso che alla risata fragorosa. È forse il film più concettuale, al limite dello sperimentale, di Woody Allen, e uno dei più dichiaratamente filosofici. È anche il film scelto in quota Mia Farrow.  

 

Woody Allen 3

Zelig è forse il film più concettuale, al limite dello sperimentale, di Woody Allen

 

2) Harry a pezzi (1997)

 “Tu non hai valori; tutta la tua vita è nichilismo, cinismo, sarcasmo e…orgasmo!”

“In Francia con uno slogan così vincerei le elezioni”

 

Harry a pezzi è il magnifico punto d’arrivo di un percorso, la fine di una stagione; quella del Woody Allen classico, per così dire.  L’autore qui sembra fare i conti con il suo personaggio in maniera quasi definitiva, ispirandosi non a caso a Il Posto delle fragole di Ingmar Bergman, uno dei suoi vati. È un film sì ricco di invenzioni comiche memorabili e divertentissimo, ma è anche e soprattutto un film cupo e funereo, in cui Allen non si fa sconti; le nevrosi sono accentuate in maniera quasi parossistica e raramente prima il cinismo è stato così palese, il nichilismo evidente e il pessimismo marcato. Ragionando sul rapporto tra vita e arte, con una costruzione narrativa e una libertà stilistica che riflettono la complessità dell’opera, Allen realizza un film quasi testamentario e impietoso sul suo personaggio, che negli anni successivi tornerà (quando lo farà) in maniera depotenziata o in ennesime variazioni sul tema; non a caso infatti da molti viene considerato come l’ultimo vero grande suo film prima del declino. Amarissimo e quasi crudele.

 

Woody Allen 4

Harry a pezzi è il magnifico punto d’arrivo del Woody Allen classico

 

1) Blue Jasmine (2013)

“Potete evitare di litigare; non lo sopporto…il mio Xanax non sta funzionando”

 

Come scritto nell’introduzione, questa più che una classifica vuole essere un resoconto il più possibile completo del percorso del regista; non manca quindi il vituperato da molti ultimo suo periodo, vittima di un pregiudizio che se in alcuni casi ha ragione d’essere, in altri appare più come un parere “a la page” che come frutto di una vera analisi. Tra i risultati più lucidi degli ultimi anni c’è sicuramente Blue Jasmine, ritratto impietoso di una donna altoborghese il cui tracollo psichico ed emotivo diventa testimonianza della crisi finanziaria. Dipinta sia come vittima che come carnefice, il ritratto della protagonista è stratificato e tragico, e trova linfa vitale in una magnifica Cate Blanchet. È un film in cui non si ride quasi mai e in cui mancano molte delle firme tipiche di Allen; dalla musica, al cinema, alla letteratura, elementi che anche nei film più cupi davano (si veda proprio il celebre elenco di Manhattan) una parvenza di speranza e se non di felicità, perlomeno di contentezza. In Blue Jasmine è del tutto assente anche questa flebile fiammella, e così può essere considerato il film più esplicitamente pessimista (nonché quello più esplicitamente “sociale”) del nostro. Altro indizio di ciò, il fatto che sia ambientato nella California tante volte raccontata con il fumo negli occhi.

 

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Tra i risultati più lucidi degli ultimi anni c’è sicuramente Blue Jasmine

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