Un immobilismo dal quale non scaturisce nessun soffio emozionale.

La grande bellezza è stato un faro accecante nella notte buia, un’esplosione di stile, un’opera d’arte totale che metteva da parte la narratività liberando il campo al pensiero per immagini, qualcosa capace di puntare altissimo e raggiungere quel punto siderale. L’Oscar come Miglior Film Straniero 2014 suggella la grandezza di quel capolavoro, perché di tale quintessenza stiamo parlando. Ripartire dopo cotanto risultato sarebbe dura per chiunque, poiché il rischio è sempre quello di non ritrovare le stesse ispirazione e profondità. Youth – La giovinezza paga l’ingombrante presenza e il lungo amarcord lasciato da La grande bellezza. Con questo film, Paolo Sorrentino ritrova il gusto del racconto, della narrazione, della giustapposizione cronologica degli eventi, seppur a modo suo, con tanta rarefazione e tante ellissi. E torna in America, dopo la mezza débacle del fastidioso e poco riuscito This must be the place. Come nel film con Sean Penn, anche in Youth – La giovinezza Sorrentino si perde, è discontinuo, altalenante, disomogeneo, a tratti ispirato e a tratti spiritualmente vacuo.

 

Momenti assolutamente poetici (la sequenza ambientata a Venezia su un’interminabile passerella in una Piazza San Marco affogata dall’acqua alta) si alternano a progressioni piatte come quelle con l’emissario della regina Elisabetta, ingessate in campi e controcampi che smorzano la magniloquente architettura stilistica del regista napoletano. Sorrentino cerca di ergersi ancora una volta a vate e narratore dei massimi sistemi, la giovinezza e la vecchiaia, il ricordo e l’arte. Youth potrebbe apparire come un naturale proseguimento de La grande bellezza. Non a caso, nel finale del film del 2013, Jep Gambardella su quello scoglio ricordava il tempo perduto, la beata gioventù, quella “quant’è bella giovinezza che si fugge tutta via…”. In Youth vorrebbe fare lo stesso, ma non riesce ad orientare la sua bussola, mai.

 

Tanto da suscitare in noi la domanda: cosa voleva davvero raccontarci? Certamente l’urgenza (personale) di esorcizzare la paura del futuro, della morte, del panta rei. Senza dubbio, quindi, è una riflessione sul tempo, come giustificato dai tanti corpi nudi sfatti, su tutti quello (del sosia) di Maradona, contrapposti alla fiorente ed esuberante bellezza e sensualità di Miss Universo (Madalina Ghenea). Ma cos’altro? Youth – La giovinezza è un film che passeggia, proprio come fanno i due protagonisti Fred (Michael Caine) e Mick (Harvey Keitel), che passeggiando cercano se stessi, cercano di ricordare e trovare il perché delle cose. Ecco, Youth è un film in cerca di un senso e in ricerca di un buon finale (che non arriva), proprio come fanno i giovani sceneggiatori che affiancano il personaggio di Keitel. Cerca e ricerca, gira e rimugina, ma non trova nessun approdo concreto o definitivo. “Le emozioni sono sopravvalutate” afferma Michael Caine. Sorrentino, invece, le sottostima, le dimentica, affidandosi a tanti quadri e tanto immobilismo dai quali non scaturisce alcun soffio emozionale, rifugiandosi in tante belle frasi-sentenza che vorrebbero essere massime sulla vita e invece suonano come banali parole gettate al vento.

 

Tommaso Tronconi 

 

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