Agnes Obel torna con Citizen Of Glass, un album bellissimo dal cuore di ghiaccio.

È nordica: anzi nordicissima. È glaciale: la più glaciale. Ed è delicata: dotata di grazia nelle mani e di leggerezza nella voce.

Potrebbe tranquillamente provenire da Narnia (o avrebbe potuto scrivere la colonna sonora della saga cinematografica), ma invece è nata a Copenaghen.

Ora, però, vive a Berlino, dove, oltre a due album, ha registrato una live session (rintracciabile su Youtube) che presenta perfettamente il mondo musicale che le appartiene, con tutta la sua intimità e chiarezza.

 

Esordiente nel 2010 con Philharmonics (5 dischi di platino in Danimarca, uno in Francia, uno in Belgio e un disco d’oro nei Paesi Bassi) si afferma in tutto il Vecchio Continente, diventando una delle figure europee più interessanti.

Nel 2013 pubblica Aventine (rifermento all’Aventino, uno dei colli romani), registrato a Berlino, la cui armonia afferma ulteriormente la personalità e la capacità dell’artista di creare musica di sonorità celtica, composta da strumenti essenziali e da composizioni rilassanti, che rendono i suoi brani delle meravigliose ninne nanne o la giusta playlist per una gita in un bosco. Le sue composizioni toccano qualcosa di spirituale, di elevato.

 

Agnes Obel 1

 

Lo scorso 21 ottobre è uscito Citizen of Glass, registrato, prodotto e mixato interamente da Agnes, a Berlino. Il titolo deriva dal concetto tedesco diBerger Gläserner” (cioè il cittadino o umano o di vetro), secondo il quale le persone devono diventare parzialmente di vetro per aprire il mondo, usando sé stesse come materiale. Nel disco, la cantautrice ha cercato di sottolineare questo concept del vetro in ogni brano, trovando modi diversi per esprimerlo. L’omogeneità delle tracce e l’intima potenza dei testi, molto brevi, non fanno che ricordare la purezza del materiale. Il vetro è limpido come la sonorità di questo lavoro, che cela in sé un grande amore e una cura profonda dei dettagli.

 

Il 28 ottobre è iniziato il tour europeo, con guest star (solo per alcune date) la bravissima Lisa Hanningan. Penso sia un’occasione da non perdere.

La nuova creazione (sì, perché vi sono elementi celestiali, sia nella musica che nel testo) di Agnes inizia con Stretch Your Eyes, che, con una partenza in minore, non fa che crescere pian piano, mantenendo una percussione di base che richiama qualcosa delle danze e delle religioni tribali in genere. Ho provato a chiudere gli occhi: mi appare una prateria verde e sconfinata con delle montagne innevate all’orizzonte.

La seconda traccia è Familiar (primo singolo), che si presenta con una voce effettata, che doppierà poi quella di Agnes. Il testo racconta d’invidia e di gelosia, sentimenti che, per quanto negativi, hanno un grande potenziale creativo e qui la cantante ha deciso di sfruttarlo. Due impulsi che modificano la realtà. Portano la mente a voler nascondere agli altri ciò che c’è d’importante, per paura che possano rovinarlo. Arrivare a pensare che nessuno sia in grado di apprezzare veramente quell’elemento fondamentale: solo noi potremmo, noi che, però, non lo possediamo.

 

La terza traccia Red Virgin Soil è un brano completamente strumentale, dominato da archi e da un sottofondo di amara tristezza che crea un’atmosfera di mistero: c’è qualcosa d’irrisolto che va indagato.

 

Quarto brano: It’s Happening Again che racconta del rimorso, di un passato che va contro la logica del tempo, continua a tornare perché niente può cancellare quello che è successo. Tu ne diventi prigioniero, nel buio.

 

Stone è il quinto brano dell’album ed è caratterizzato dal duetto voce-strumento a corde (difficile capire quale, parrebbe un mandolino).

Il ritornello “Of stone could I be” si radica nelle orecchie e non c’è modo di estirparlo. Il testo, intanto, racconta la dualità: ogni cosa, per essere quello che è, ha bisogno del proprio opposto e poeticamente questo pensiero sfocia nell’amore.

Stone, a mio parere, è uno dei brani più belli del disco. Sesta traccia è Trojan Horses. Qui la voce è il fulcro: doppiata si ramifica in diversi cori, che ricordano quelli di chiesa. Le note vocali altissime, dovendo essere protagoniste, vengono accompagnate da un delicato piano.

 

 

Poi c’è Citizen of Glass, che presenta le stesse caratteristiche musicali del precedente brano, mentre descrive l’inevitabilità degli eventi: tentare di influenzarli non fermerà la loro manifestazione.

 

In Golden Green, Agnes ricomincia a toccare note tanto acute da creparlo… il vetro. In alcuni momenti, il brano appare psichedelico e, immaginato con una base mixata, potrebbe diventare una grandissima traccia house.

Nono e penultimo pezzo: Grasshopper, strumentale malinconico, composto da pianoforte e archi, richiama a sentimenti d’angoscia e inquietudine (non lo ascolterei la sera a casa da sola).

 

Ultima traccia è Mary che chiude l’album riassumendo il concetto sonoro che vi sta alla base. Con il suo testo poetico ed enigmatico ricorda l’animo della cantautrice e le sue consolidate idee metafisiche.

Agnes Obel, con questo album, ha potenziato e ribadito il proprio stile: rimarrà per sempre quello, non c’è niente che la rappresenti maggiormente. Il suo animo nordico viene racchiuso in ogni pezzo, diventando tratto caratterizzante della sua musica inimitabile, originale in ogni suo aspetto.

 

 O sei fatto di vetro o sei umano. Lei ha deciso di essere ghiaccio.

 

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