Era il 2012, quando un gruppo di giovani inglesi conosciutosi all’università di Leeds sfornava dal nulla “An Awesome Wave”,  vincitore del Mercury Prize e divenuto immediatamente un cult per la generazione attuale.  Album di esordio che si è tramutato in un vero e proprio  calderone musicale, riuscendo ad unire, nello stile dei migliori alchimisti, tutte le tendenze più vincenti degli ultimi anni (provate ad immaginarvi Bon Iver, The Hood, Clouddead, The Xx, Radiohead, Four Tet, Django Django e Tricky tutti insieme). Da qui la più assoluta consacrazione, per un gruppo che inserisce le più moderne tendenze anche nel proprio nome. Difatti Alt-J è una combinazione che, nei Mac, porta ad ottenere la lettera greca delta (?), simbolo di cambiamento.  Un nome che proviene dalla tastiera dei pc per rimanerci.  In molti attraverso la rete hanno lodato il gruppo, tramutando il loro secondo album in uno dei più attesi dell’anno. Noi siamo riusciti ad ascoltarlo in anticipo e…

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La prima cosa che notiamo è l’assenza di ? (o cambiamento se volete). Difatti “This Is All Yours”ricalca la struttura del suo predecessore, senza troppi spunti innovativi. Ma lo fa benissimo, tramutandosi immediatamente in un gran bell’album. Il deja-vu iniziale di “Intro”, attraversata da cori sintetizzati e dalla particolarissima voce di Joe Newman (un Woody Guthrie in k-hole che si aggira barcollante all’interno di club futuristici), ci trascina subito verso il tema centrale dell’album. “Arrival In Nara” e “Nara” sono manifesti del gruppo più che canzoni. Nara infatti, è una città giapponese in cui i cervi sono liberi di vagare nei parchi, metafora di libertà assoluta, nella vita come nell’arte. Ed è proprio questa libertà creativa che attraversa le due bellissime tracce acustiche, che dimostrano quanto il gruppo inglese sia maturato musicalmente, dando sfogo al loro lato più (indie) folk ed intimamente pastorale. E siamo solo all’inizio. “Every Other Freckle” è un downtempo assassino che si candida ad essere il  miglior singolo del disco, “Garden Of England”  è un piccolo interludio che si unisce alla pace della natura, dando spazio al fischiettare degli uccelli in lontananza, “Left Hand Free” è l’episodio più rock dell’album, ricordando il blues allucinato dei Black Keys. Ma è la seconda parte del disco, quella che stupisce di più. Come detto prima il lavoro degli inglesi suona più maturo, sicuro, e grazie a questo dal cilindro degli Alt-J escono fuori piccole gemme come “Choice Kingdom” con il suo nostalgico synth finale, “Hunger Of The Pine”, folktronica impreziosita da un tocco trip-hop acquisito anche grazie al sample di Miley Cyrus (sì,avete capito bene, non è uno scherzo. I nostri tre folli inglesi hanno usato un estratto di” 4×4” e il risultato è esaltante, ascoltare per credere), e “Warm Foothills”, struggente ballata che lascia fluttuare l’ascoltatore in un cielo che sembra mare.  Il tutto seguito dalle bellissime “The Gospel Of John Hurt”, “Pusher” e “Bloodflood pt.2”, il ricongiungimento finale con “An Awesome Wave”, contenente la prima parte della traccia, la dimostrazione da parte del gruppo che la loro musica è un vero e proprio mondo, da inseguire in qualsiasi loro lavoro. Poi tutto finisce con “Leaving Nara”, e anche noi tristi sentiamo di lasciarci alle spalle quella lontana cittadina giapponese in cui la libertà è tangibile, e non solo un’illusione. E per questo ringraziamo gli Alt-J (o ? se volete).

Sabato 14 febbraio suoneranno ad Assago, al Mediolanum Forum. Noi ci saremo.

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