Andare alla quindicesima edizione del Club to Club è stato molto bello.

Perchè Torino è una città elegantissima, tipo Parigi e poi perchè il Club to Club, che vede fra gli organizzatori Giorgio Valletta, è un festival curatissimo, bene organizzato, ben comunicato e tutto sommato economico. Se ci aggiungi che per grazia divina pareva di essere a maggio, il gioco è fatto. Inoltre se non siete degli ossessionati monotematici musicali come me avrete notato che C2C si inserisce in una settimana che rivolta la città della Mole come un calzino, fra manifestazioni che riguardano il cinema, l’arte ed il design. Mi sarebbe piaciuto godermi tutte le giornate e le varie iniziative del festival sparse per la città, ma complice il lavoro, il denaro e Anubi, sono riuscito a prendere parte alle sole giornate clou, quelle che si tenevano nel megalitico Lingotto Fiere, sito nell’omonimo quartiere della città prealpina. La line-up era di quelle da far leccare i baffi, fra grandi nomi internazionali e perle indie.

 

© Internazionale.it

© Andrea Macchia

 

Ad un ingresso bene attrezzato per accogliere decine di migliaia di persone, seguiva la sconfinata main-hall dove troneggiava un bel palco illuminato in modo impeccabile e fiancheggiato da un ottimo sound-system che di fatto ha reso l’esperienza sonora coinvolgente e piacevolissima. Tirare un bilancio musicale esaustivo non è semplice, sia per il gran numero di artisti in cartellone sia per le molteplici declinazioni elettroniche che questi andavano a proporre. Di una cosa sono sicuro, i live set hanno fatto la parte del leone, mentre alcuni dei djset più attesi hanno lasciato con un po’ di amaro in bocca, ma andiamo per gradi. In primis i deflagranti Battles,  fra le migliori live band del pianeta, poi la performance maiuscola di Thom Yorke e Nigel Godrich, accompagnata dai visual a cura dell’ottimo Tarik Barri. Nel mezzo un Four Tet forse un po’ sacrificato e ridotto a soli 45 minuti, seppure di rara qualità sonora e impeccabile struttura. Poi la furia techno-tribale di PowellNot Waving nelle torrida “Sala Gialla” che ospitava artisti afferenti la Red Bull Music Academy e i nomi minori in cartellone, e ancora la bella scoperta di La Priest, nuovo progetto dell’ex frontman dei Late Of The Pier; impossibile poi non menzionare Andy Stott e la furia motorcity di Jeff Mills fra gli high-light del festival. Forse sarò troppo esigente ma nonostante la caldissima accoglienza del pubblico i djset di Jamie XX e Nicolas Jaar mi hanno lasciato a tratti perplesso. Il primo troppo facilmente si è lasciato andare ad operazioni da piacione, indugiando sulla disco per poi virare su territori più houseggianti attraverso episodi sambati coinvolgenti e divertenti, certo, ma sicuramente non degni di nota. Il producer cileno-americano, invece, ha peccato di poco coraggio e autoreferenzialità rischiando il noioso con le sue continue interruzioni del beat in favore di intermezzi dilatati dove non si riconoscevano strutture melodiche e progressioni armoniche valide. Quando finalmente decideva di offrire del groove rimaneva comunque freddo e distaccato pur senza affascinare, guadagnandosi – o forse strappandosi – gli applausi contando sulla sola cassa dritta che certo, va detto, suonava molto bene.

 

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La sensazione che ho tratto dalla due giorni di Club to Club è che a rendere stupenda l’esperienza di un festival elettronico sia stato il calore dei live set e non gli episodi legati al format del djset, riportando il valore del musicista performativo al centro del palco. Ancora di più sono felice del fatto che questa suggestione mi arrivi da una manifestazione tutta italiana della quale anche le istituzioni paiono accorgersi, nonostante le preoccupanti voci diramate in sede di conferenza stampa che vorrebbero il Club to Club giunto alla sua ultima edizione, voci alle quali non voglio dar credito.

Chiudo sottolineando l’educazione generale del pubblico e quella del personale. Mille applausi ai disegni luce su tutte le performance. Viva Torino, viva il Club to Club.

 

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Dario Russel Bracaloni

Intervista a Giorgio Valletta, fra i fondatori e curatori di Club to Club

 

© Party-Addict.com

© Party-Addict.com

 

Ciao Giorgio. Chi c’è dietro a quel progetto straordinario che è il Club to Club?

 

Situazione Xplosiva – l’associazione culturale che organizza il festival  – è nata nel 2000 e grazie ad una relazione professionale tra Sergio Ricciardone, me e Roberto Spallacci. Io e Sergio eravamo già dj da qualche anno a Torino e la prima edizione di Club to Club si è svolta di venerdì notte con 3 club collegati tra di loro da uno stesso biglietto (da lì il nome del festival). Siamo poi usciti dalla dimensione club per abbracciare la conformazione attuale con esibizioni live in luoghi normalmente non preposti alla fruizione di musica elettronica dando un’ attenzione particolare alle esibizioni dal vivo: in questo momento il festival ha una percentuale ben selezionata ma minoritaria di djset, ci interessa dare più spazio alle performance dal vivo in alcuni casi anche con elementi multimediali.”

 

Pensiamo che il pubblico del festival andrà ad aumentare, come dimostrato dalla sua crescita costante. Come si comportano invece le istituzioni e i media nazionali nei vostri confronti?

 

“Il pubblico, che è aumentato nel corso degli anni, ci ha dato conforto arrivando a fidarsi quasi ciecamente delle nostre scelte. Per quanto riguarda le istituzioni il sostegno c’è stato da un certo punto in poi, noi abbiamo provato a cercarlo facendo capire cosa è il Club to Club; ci sono media che ancora equivocano sulla natura del festival e forse è anche colpa del nome (l’anno scorso Battiato fu annunciato su un quotidiano nazionale come Battiato in console, a confronto di un live inedito con musicisti chiamati per l’occasione”, ndr )…dunque di  fronte ad equivoci del genere è difficile far capire quello che facciamo perchè si crea grande confusione nei lettori! Noi ci mettiamo gusto personale ed esperienza, ogni anno facciamo le nostre scommesse invitando artisti nuovi e ci fidiamo del nostro radar personale: sosteniamo un discorso avant-pop, immaginando quello che in futuro potrebbe essere la musica pop.”

 

Un ottimo lavoro di scouting che ci ha regalato talenti inaspettati, puoi confermare?

 

“Cerchiamo di fare talent-scouting dagli inizi, siamo stati i primi a portare in Italia Villalobos, Ellen Alien o James Blake e i Disclosure. Quest’anno un altro colpo clamoroso è stato Floating Point al Teatro Carignano (dove si sono esibiti nelle scorse edizioni Kode9 e James Holden, ndr); il Lingotto Fiere rimane la location dalla capienza più ampia, sperando in futuro di poter accogliere più persone, magari in un luogo ancora più grande.”

 

Altre conferme arrivano anche da spettatori e stampa esteri presenti nel week-end…

 

“Direi che siamo considerati come parte di un panorama internazionale forse perchè parliamo ad un pubblico internazionale; quest’anno più del 10% dei paganti viene dall’estero e questo è un dato che ha pochi paralleli sia ora che in passato. In Italia si pensa al proprio orticello più del dovuto, ragionando troppo se un artista può piacere o meno al pubblico italiano. Per questo siamo orgogliosi di portare così tante persone a Torino nei giorni dei festival  prendendosi i rischi di una scommessa non vinta in partenza; lo dico anche pensando a ciò che di bello succede in città in settimana con eventi come Paratissima o Artissima

 

A questo punto ti chiediamo qualche bel nome da seguire fra quelli andati in scena in questa XV edizione del festival.

 

“ Il nome di Floating Points l’ho già fatto, forse per alcuni non è ancora molto conosciuto, mentre per altri è tra i più bravi al momento della scena house. Uno dei produttori emergenti secondo me più bravi è Sophie, il Venerdì è stata la volta di Tala, produttrice britannica in parte di origine iraniana con nuovo Ep  tra elettronica r’n’b e pop tra molte virgolette. Poi vi consiglio anche Powell, che ha fatto parlare il mondo intero dopo la controversa vicenda con un musicista suo fan che sarebbe poi Steve Albini; ancora, Lotic e Rabbit che sono la nuova generazione di produttori americani  lontani da quello che propone il mainstream idm oltre-oceano, tra l’altro anche coinvolti da Bjork per dei lavori di remix!”

 

Alessandro Miglietta