La rivoluzione pop di David Bowie che ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra cultura.

Dal momento in cui lo special man creato da David Bowie, Ziggy Stardust, è disceso dal suo stravagante universo stellato per giungere sul pianeta Terra, tutti noi facciamo parte della sua band.

 

“Ziggy suonava la chitarra

Spassandosela con Wierd e Gilly, gli Spiders from Mars

Suonava con la sinistra ma si spinse troppo oltre

Divenne il tipo speciale e noi diventammo la band di Ziggy”

 

Definire David Bowie semplicemente “artista” è estremamente limitante. La sua camaleontica capacità di reinventare continuamente la propria identità attraverso l’interpretazione di iconici personaggi, dall’uomo venuto dalle stelle Ziggy Stardust al freddo Duca Bianco, ha inciso significativamente su innumerevoli aspetti della cultura di massa contemporanea.

 

David Robert Jones nasce nel quartiere londinese di Brixton l’8 Gennaio del 1947. Sin dalla giovane età, i suoi interessi si concentrano sul rhythm and blues, il rock ‘n’ roll e il jazz, subendo il fascino di grandi artisti americani quali Fats Domino, Elvis, Little Richards e John Coltrane.

 

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Un giovanissimo David Bowie con i King Bees

 

Dopo le prime esperienze adolescenziali, dapprima con i Kon-rads e poi con i King Bees, adotta lo pseudonimo di “David Bowie” per distinguersi dal Davy Jones dei Monkees. In realtà, il nome è ispirato ai coltelli da caccia di Jim Bowie e lo stesso David giustifica la curiosa scelta affermando:  

 

Volevo qualcosa che esprimesse un desiderio di tagliare corto con le bugie e tutto il resto.

 

Nel 1966, Bowie pubblica, con i Lower Thirds, il primo singolo su 45 giri Can’t Help Thinking About Me. Nonostante il riscontro commerciale non fosse dei migliori, il singolo gli vale la prima intervista ufficiale su Melody Maker. Dalle parole di David emergono i primi accenni della poliedricità di interessi dell’artista, quasi anticipando le sue future intenzioni.

La rivista descrive il diciannovenne inglese come un colto studente di astrologia che oltre ad essere un ottimo musicista e compositore, disegna abiti per John Stephen di Carnaby Street. Bowie parla anche di recitazione e il Buddhismo:

 

Voglio recitare, mi piacerebbe interpretare dei ruoli… e voglio andare in Tibet, è un luogo affascinante”.

 

Dal punto di vista musicale, in quegli anni David è sempre più attratto dalle atmosfere decadenti dei Velvet Underground e Lou Reed incide molto sulla sua formazione musicale. Non a caso tra i due l’influenza artistica è reciproca: Bowie produrrà il celebre Transformer, capolavoro solista di Reed.

 

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David Bowie con Lou Reed

 

Il 1967 lo vede irrompere sulla scena musicale con la pubblicazione del suo primo album, l’omonimo David Bowie. Tuttavia l’album non ottiene un gran successo commerciale.

La crescente notorietà, ottenuta con diverse apparizioni in trasmissioni televisive e radiofoniche, gli permette di stringere importanti rapporti con personalità che caratterizzeranno per anni il percorso artistico di Bowie: conoscerà Tony Visconti, suo futuro produttore e Marc Bolan aprendo alcuni live dei Tyrannosaurus Rex. Incontra anche la sua futura prima moglie, Angela Barnett, la quale contribuirà fortemente alla nuova immagine androgina del marito, consigliandolo in costumi, acconciature e atteggiamenti da tenere sul palco e in pubblico.

 

Nello stesso frangente, cresce il suo interesse per il cinema, l’arte del mimo e il teatro. Partecipa al cortometraggio The Image di Michael Armstrong e studia le performance di Lindsay Kemp da cui, per sua stessa ammissione, imparerà l’intensità drammatica del linguaggio del corpo e a conferire la teatralità per cui saranno celebri le sue performance dal vivo.

 

The Image è il cortometraggio di Michael Armstrong con David Bowie e Michael Byrne.

 

La pubblicazione del singolo Space Oddity e successivamente dell’omonimo secondo album, getta le basi per l’eccentrica svolta stilistica di Bowie che lo lancerà definitivamente tra le stelle.

 

In un concerto al Marquee Club incontra il chitarrista Mick Ronson, che lavorerà con Bowie affiancando Tony Visconti e il batterista John Cambridge.  La nuova formazione prende il nome di Hype (un’ironica abbreviazione di hypocritical per sottolineare l’ipocrisia dilagante nel mondo della musica alternativa). L’esordio degli Hype alla Roundhouse di Londra segna una fondamentale metamorfosi: dopo aver incessantemente sperimentato trucchi e costumi, David fa indossare ai membri del gruppo stravaganti vestiti realizzati da Angela Barnett e dalla fidanzata di Visconti.

Ogni componente decise di assumere l’identità di un personaggio dei fumetti e Bowie, in calze di lurex multicolore, stivali alti e mantello azzurro, divenne Rainbowman. Il concerto simbolizza la prima vera rivoluzione musicale messa in atto da Bowie: la nascita del glam rock.

 

La fascinazione per gli astri (già emersa con Space Oddity e Life on Mars?) e la stravaganza di modi e costumi, si concretizzò, per David, indossando i panni di Ziggy Stardust.

Frutto della mente estremamente geniale di Bowie, la parentesi di Ziggy costituisce un ciclo narrativo e musicale rivoluzionario nella storia della musica pop-rock. Un alieno, androgino rocker la cui effeminatezza insita nel suo stravagante e controverso sex appeal ha ridefinito il concetto di rockstar, spostando l’attenzione della cultura di massa sull’ideale della libertà sessuale.

 

David lavorò sul personaggio ispirandosi alla storia del musicista britannico Vince Taylor il quale, dopo abusi di droghe e diversi crolli nervosi, decise di aderire ad una setta e cominciò a definirsi un dio alieno venuto sulla terra. A plasmare la personalità di Ziggy furono anche la stravaganza del pioniere texano dello psychobilly Legendary Stardust Cowboy e l’influenza sui costumi dello stilista giapponese Kansai Yamamoto.

 

Ziggy assunse così la forma di una pansessuale e stravagante rockstar aliena. Inviato come messaggero su una Terra ormai in declino, la sua edonistica figura era carica di un messaggio di speranza, pace e amore. Nelle performance dal vivo con la sua band, gli Spiders from Mars, David Bowie nei panni di Ziggy regalò al pubblico emozionanti performance che trascendevano dall’essere un “semplice” live, trasformandosi in una vera e propria performance artistica e teatrale. Celebre fu la scintillante esibizione di Starman (tratto dal disco The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars) a Top of The Pops nel 1972.

 

 La scintillante esibizione di Starman a Top of The Pops nel 1972.

 

La passione di Bowie per la recitazione e la teatralità lo condussero a un’immedesimazione totale con il suo alter ego.

 

“Sul palco ero un robot mentre fuori dal palco invece provavo emozioni. È probabilmente per questo che preferivo vestirmi come Ziggy piuttosto che essere David”.

 

In realtà, come più tardi chiarito dallo stesso artista, Ziggy era un umano in contatto con entità provenienti da un’altra dimensione. Queste entità chiamate “Infiniti”, alieni senza emozioni, lo sfruttarono per invadere la Terra e distruggerla.

 

“La fine arriva quando arrivano gli Infiniti. Ziggy è consigliato in un sogno dagli Infiniti di scrivere della venuta di un uomo delle stelle, così ha scritto Starman, che è la prima notizia di speranza che le persone ricevono. Quando gli Infiniti arrivano, prendono pezzi di Ziggy per renderli reali, perché nel loro stato originale sono anti-materia e non possono esistere nel nostro mondo. E lo fanno a pezzi sul palco durante Rock ‘n’ Roll Suicide. Appena Ziggy muore sul palco, gli Infiniti prendono i suoi elementi e diventano visibili”.

 

Ziggy divenne un fenomeno di massa sempre più grande: le sue esibizioni dal vivo, così stravaganti e sfrontate, attiravano orde di fan in delirio e l’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars lasciò un segno indelebile nel panorama della musica pop in quegli anni.

 

Nonostante avesse consolidato la sua popolarità, la staticità non era di certo ciò che contraddistingueva l’arte di David Bowie. E così il personaggio di Ziggy viaggiò in America trasformandosi in Aladdin Sane.

 

L’omonimo album che accompagnò la nuova invenzione si discostò dall’organicità del suo predecessore: la musica fu invasa da elementi americaneggianti, passando da sonorità latine al jazz d’avanguardia. Le tematiche del glam rock furono accentuate in quanto lo stile di Aladdin Sane non era altro che un’estensione del filone di Ziggy:

 

Era Ziggy che incontrava la celebrità… un soggettivo Ziggy che parlava dell’America, la mia interpretazione di quello che l’America significa per me”.

 

La nuova corrente narrativa ebbe toni marcatamente più introspettivi con riflessioni sul concetto di sanità mentale. Molte delle tracce contenute nel disco parlavano del modo di affrontare il proprio stato psicologico. Dai testi emergono eccessi, un mondo di stelle in declino e di sesso comprato, di party, di droga e alcool, di luci e ombre dove il confine tra finzione e realtà si assottiglia fino a scomparire. L’aspirante rockstar che fantasticava sulla fama cede alla sua immagine riflessa nello specchio. E’ il conflitto interiore di un David Bowie che, a causa della fama e del successo, era finito per perdere la sua identità nello stellare Ziggy Stardust, senza più alcuna distinzione tra il personaggio e l’uomo.

 

Non a caso il simbolismo che accompagna Aladdin richiama questo conflitto. Il nome è un gioco di parole inglese a-lad-insane (un ragazzo folle, letteralmente) e la cover del disco riporta una delle più famose foto della sua carriera: David è a torso nudo, con gli occhi chiusi, i capelli sfavillanti e il volto diviso in due da una saetta rossa e blu mentre una lacrima gli scivola lungo la clavicola. Il trucco, ad opera di Pierre La Roche rappresentava l’emblema della frattura interiore del personaggio.

 

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La celebre copertina di Aladdin Sane

 

La conflittualità di Bowie determinò il ritiro dalle scene del suo alter ego con un ultimo live, il 3 Luglio del 1973, all’Hammersmith Odeon di Londra. Gli ultimi concerti inclusero canzoni sia da Ziggy Stardust che da Aladdin Sane e si contraddistinsero per momenti di estrema teatralità e drammaticità alternati a gesti sfacciati, come Bowie che simulava una fellatio con la chitarra di Mick Ronson.

 

Facendo l’amore col suo ego

Ziggy fu risucchiato nella sua mente

Come un messia lebbroso

Quando i ragazzi l’hanno ucciso

Ho dovuto sciogliere il gruppo”.

 

L’ultima esibizione di Ziggy Stardust all’Hammersmith Odeon di Londra, 3 luglio 1973.

 

Ma Ziggy/Aladdin morì solo sul palcoscenico. L’impatto culturale fu enorme e i richiami all’alter ego di Bowie sono riscontrabili ancora tutt’oggi. Il messaggio implicito nel personaggio è di rivoluzione e rottura: Ziggy nasce da un’avversione nei confronti dell’industria discografica e, in più in generale, degli standard della società dell’epoca, definiti noiosi e banali. E’ delle volontà di cambiamento che si fa carico Bowie con l’atterraggio di Ziggy sulla Terra. David istruiva i membri della sua band sul teatro, sulla presenza scenica e sui costumi, focalizzandosi sulla pratica di mettere in piedi un vero e proprio spettacolo piuttosto che far semplicemente musica.  Sapendo attingere sapientemente dalle sue influenze, senza mai scadere nel plagio, ha creato look e stili unici. Il ruolo dell’uomo caduto dalle stelle è stato fonte di ispirazione anche per registi, come per Nicolas Roeg e il suo The Man Who Fell to Earth del 1976, di cui Bowie stesso è protagonista.

 

L’androginia di Ziggy, simbolo di un insolito sex appeal e icona del movimento LGBT inglese, ha influenzato indelebilmente anche le mode: stilisti come Marc Jacobs, Miuccia Prada, Alexander McQueen, oltre ad aver attinto pettinature e vesti dai look di Bowie, hanno preso in prestito l’idea di un trasformismo continuo, contro ogni convenzione, nelle loro collezioni stagionali.

 

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L’influenza di David Bowie nel mondo della moda

 

Le stelle, terra natia e linfa vitale di Ziggy Stardust, si sono oscurate il 10 Gennaio del 2016 con la morte improvvisa di David Bowie. Nel suo universo, più cupo e buio di quello scintillante del suo alter ego, aleggia la presenza della morte. Conscio della fase terminale della sua malattia, due giorni prima della sua morte pubblica il suo ultimo disco, Blackstar, un capolavoro di art rock e free jazz che funge da testamento spirituale. L’album è l’ennesima riprova del suo talento trasformista.

 

Ma David Bowie non è morto con Blackstar in una fredda giornata di Gennaio e il suo Ziggy non ci ha mai abbandonato per davvero. La loro eredità è in tutto ciò che ci circonda, dalla musica alla moda, dal teatro al cinema, nei media e in ciò che indossiamo. La nostra deve un ringraziamento speciale a quest’uomo: l’audacia di sapersi reinventare senza lasciarsi scalfire dal tempo distruggendo ogni canone convenzionale, continuerà a ispirare l’estro di innumerevoli artisti e riuscirà a permeare attraverso generazioni, generi e arti. Trasformandosi, come sempre.

 

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