Ovvero "Rock and roll can never die".

Ci sono degli anni che hanno qualcosa in più degli altri; una caratterizzazione particolare che li rende unici, non per forza migliori, ma diversi. Ok, forse non è vero niente, però ogni tanto ci piace fare i profeti, ed io oggi mi sento un po’ così. Come i Maya con il 12 12 12.
Insomma, secondo me il 2016 è l’anno del Rock’N’Roll. Quello con la R la N e la seconda R maiuscole.
Aspettate, non chiudete subito la pagina, datemi un’ opportunità.

 

Ci sono dei segnali che me lo dicono, non faccio affermazioni a caso, giuro.
David Bowie, prima di tutto. Se ne è andato il giorno dopo il suo compleanno, facendo della sua morte un’opera d’arte. Abbiamo mai visto una cosa più Rock’N’Roll di questa? Abbiamo mai visto qualcuno affrontare la morte a testa alta, così, con la musica in mano da una parte e l’orgoglio di aver fatto sempre quello che più gli pareva dall’altra, come ha fatto il Duca Bianco?
E non è stato forse incredibile vedere, poche settimane dopo la morte del Duca, uscire il nuovo singolo di Iggy Pop (scritto insieme all’ultimo figliol prodigo del Rock’N’Roll, Joshua Homme), che tra l’altro negli stessi giorni dichiarava che Bowie non era stato solo un suo amico, ma il suo salvatore?
Bastano queste due cose a farci esclamare: “Quest’anno voglio essere un Rocker anch’io, come lo sono stati questi primi due mesi e mezzo del 2016!”

 

Ma non è finita, perché al cinema è uscito The Hateful Eight, l’ottavo film di Tarantino, il più rocker dei registi, con il più rocker dei musicisti italiani a curarne la colonna sonora. Il risultato è un western che trasuda blues e country-roll da ogni poro (anche Jack White ha partecipato allo score, basta dire questo).
Non possiamo scordarci neppure The End Of The Tour, il film sulla “Rockstar della letteratura americana” (parola di David Lipsky): David Foster Wallace, autore del rivoluzionario Infinite Jest e uomo tormentato più di Kurt Cobain.
Altri segnali? La morte del maestro Eco. Colui che, tra le altre cose, fece divenire popolare lo studio (e la filosofia) dei nuovi media, caratterizzò la semiotica in modo definitivo, e “rivoluzionò” il romanzo italiano (“Stat rosa pristina nomine”…) con un nuovo modo di fare gialli.
Forse al maestro il rock non piaceva nemmeno tanto; ma un suo romanzo, con quei colpi di scena incredibili, ti dava gli stessi brividi della colonna sonora di Neil Young per Dead Man, quindi non posso non citarlo.
Ah, ho detto Neil Young? E’ in tour di nuovo, e visto come butta quest’anno tra i grandi io un salto a vedercelo lo faccio. Non ci crederete, ma viene anche in Italia. Quest’anno è l’anno del Rock’N’Roll, ve l’ho detto.
Potrei continuare citandovi una serie in corso, che si intitola Vinyl (cosa è più polverosamente Rock’N’Roll di un vinile) che ha come papà niente di meno che Scorsese e Jagger; oppure l’annuncio definitivo di David Lynch che conferma un nuovo Twin Peaks per il 2017… potrei continuare ancora con questi grandi notizie.

 

Però, per convincervi ancora meglio, a farvi tornare alle origini e spezzare una lancia in più in favore del Rock’N’Roll e di uno stile di vita minimale ma non per questo non al massimo, vi voglio raccontare di un incontro che ho avuto a Milano, al Teatro Nidaba, via Gola 12, incontro che ha suggellato la mia convinzione che questo 2016 sia cominciato e continuerà all’insegna del classico Rock’N’Roll.

 

Questo incontro ha un nome e un cognome, come tutti gli incontri “umani” del resto: Luke Winslow King. La cosa particolare di questo Luke, invece, non è il nome. Ma il modo in cui fa musica.
Già, perché dal momento in cui sono entrato in questo stracolmo locale milanese, situato in un angolo neanche troppo luminoso di una neanche troppo luminosa via di Milano, questo signore mi ha fatto assaporare il vero sapore del rock’n’roll. Quello vero, fatto di una chitarra, di sudore, e di qualche fedele compagno che ti affianca sicuro.
Per tutto il tempo che ha suonato (davvero tanto), non sono riuscito a staccargli gli occhi di dosso, e ho finalmente capito che cosa diavolo significa avere una passione nella vita, e che cosa significa essere essenziali, al di là di ogni stupida etichetta che ti dice che ormai il rock’n’roll è passato, e che quello che puoi fare con una chitarra è molto meno rispetto a quello che puoi fare con cinque synth diversi; una voce-iper-distorta-con-il-miglior-distorto-mai-visto-in-circolazione, e uno studio di registrazione da svariati euro al giorno.

 

Luke Winslow per me ha rappresentato in una sola sera la musica, quella vera. Sudata, a contatto con il pubblico, mai stanca di suonare, infinitamente sporca, scarna, e diretta alla bocca del tuo stomaco.
Luke Winslow, e perché no il poco luminoso Teatro Nidaba nella luminosa e fashionissima Milano città europea, hanno per me rappresentato la voglia di non arrendersi, e di affrontare i restanti 10-9 mesi del 2016 come si deve: con una consapevolezza di voler ritrovare la bocca del proprio stomaco, per alimentare quella voglia di rock’n’roll sporco di blues e folk, puro e senza fronzoli, che sa tenerti in vita anche nei momenti più tosti e complessi, quelli in cui proprio sei sicuro di non farcela.
Sì, sarà proprio un anno di rock’n’roll; se anche voi avete trovato i vostri segnali, il vostro Luke Winslow, e il vostro poco luminoso Teatro Nidaba, potete capirmi.

 

Naturalmente non ho resistito a intervistarlo, ma se pubblicassi quello che ci siamo detti sono convinto che il tutto non risulterebbe così magico come è stato; perché praticamente l’unica cosa che mi ha detto è che per lui la musica è tutto, e che fa questa cosa da quando ha sedici anni. Io, entusiasta, gli ho detto che mi aveva fatto alzare anche l’ultimo brivido mai alzato ad un live, ma la cosa non lo ha smosso più di tanto, nonostante i sentiti “grazie” che mi ha detto di rimando. Probabilmente Luke è uno di quei classici tipi che devi prendere quando passa, nelle vie poco luminose della tua città, e ascoltarlo suonare; altrimenti non puoi davvero capire che cosa possa essere. Funziona così no, il R’N’R?

 

Vorrei ringraziare la mia Giorgia per avermi fatto conoscere il locale. È grazie a lei che ho incontrato Luke e il Rock’N’Roll.