Daydream Nation è uno di quegli album che lascerà per sempre il segno.

Ci sono alcuni album, nella storia della musica, che per i dipendenti da nota sono delle vere e proprie esperienze di vita. Esperienze che cambiano il modo di vedere l’arte, che si suddividerà in prima e dopo l’ascolto di tali opere. Naturalmente, come avrete già capito, Daydream Nation è uno di questi. Non dimenticherò mai il primo ascolto del disco. E non finirò mai di ringraziare i Sonic Youth.

 

Ricordo sempre quando lo acquistai, prima stampa del 1988 in vinile, dopo tanti risparmi. Ricordo sempre quando la testina toccò la liscia superficie di PVC, dando inizio a tutto. Ma facciamo un salto indietro nel tempo. La leggenda dice che il gruppo si formò nel lontano 1981, durante un evento di 10 giorni organizzato dallo stesso Thurston Moore (chitarra e voce dei Sonic Youth). Il festival, Noise Fest, prevedeva anche l’esibizione di un certo Glenn Branca, forte fonte di ispirazione per i nostri quattro musicisti. Da qui nasce la loro carriera.

 

 

Nel 1982 esce il loro omonimo ep, che dimostra subito le loro capacità, seguito da Confusion is Sex (83) e da tre piccoli capolavori quali sono Bad Moon Rising (84), Evol (86) e Sister (87). E qui arriva il punto di svolta nella loro maestosa carriera. 1988. Esce Daydream Nation. E’ il momento di tornare in camera mia ed al mio primo ascolto dell’album. Metto le cuffie (come faccio sempre ai primi ascolti) e alzo il volume al massimo (con conseguenti maledizioni ricevute da parte del mio udito). La prima traccia è Teenage Riot, probabilmente una delle canzoni più belle dei Sonic Youth, uno dei loro manifesti. La voce di Kim Gordon (basso) ci guida in una intro malata, per poi venire spazzata via da una esplosione di chitarre e la voce di Thurston Moore che inneggia alla ribellione:

 

“Teenage riot in a public station /Gonna fight and tear it up in a hypernation for you”

 

E’ un incipit che toglie il fiato, da pelle d’oca. Finita la canzone abbiamo bisogno di un momento di pausa, per renderci conto che siamo davanti a qualcosa di enorme, e proviamo già a tratteggiare le linee dell’album, immaginandocelo come una singola canzone dei Sonici: una caduta nell’abisso, una forma che con il passare dei minuti tende a perdere ogni logica (apparentemente, perché il rumore dei Sonic Youth è quanto di più logico si possa trovare nel noise rock). Ed è veramente così. La seconda traccia, Silver Rocket, ci mostra quanto il gruppo di New York prenda dal punk e dall’hardcore le proprie radici. E qui è la prima destrutturazione dell’album, con la forma canzone che salta dai propri binari per circa due minuti per poi riavvolgersi su se stessa ritornando ad un finale che ricalca l’inizio. Le composizioni dei Sonic Youth sono un serpente che si morde la coda, ma passando da strane traiettorie, che sorprendono sempre, mai banali. The Sprawl è un altro capolavoro, gemma straniante che conclude il lato A del primo vinile. Ci apprestiamo a cambiare lato accorgendoci di avere già il fiatone, emozionati. E pensare che non siamo neanche a metà.

 

Sonic Youth 1

 

 

Il noise dei Sonic Youth, è un noise segnato dal passare degli anni. E’ un noise segnato prevalentemente dall’avanguardia dei Velvet Underground, dalle canzoni più sperimentali dell’album d’esordio del gruppo di Lou Reed come Venus in Furs e European Son, dal caos di Metal Machine Music del cantautore americano. Il lato B sembra uno spartiacque, la classica calma prima della tempesta, con Cross The Breeze e Erics Trip che sembrano essere gli unici punti deboli dell’opera. Ma una regola dell’album è quella di piazzare un capolavoro per lato. E così ecco arrivare Total Trash, quella che inizialmente sembra essere la traccia più politically correct e mainstream dell’opera ma che improvvisamente ci sorprende con una caduta verso i deliri delle chitarre di Thurston Moore e Lee Ranaldo, accompagnati da una batteria ossessiva, che non lascia respirare. Forse è uno dei punti dell’opera in cui la tensione è più alta, quasi incontrollabile. Eppure in questo caos, sembra sempre di avvertire un ordine che ha del geniale. E’ la bipolarità del mondo, è il disordine dell’America, con una facciata così pulita da rendere logici tutti gli scheletri nell’armadio che si porta appresso da ormai troppi anni.

 

Sonic Youth 3

I Sonic Youth sono Thurston Moore, Lee Ranaldo, Steve Shelley e Kim Gordon

 

Così eccoci arrivati al secondo vinile. La tempesta sta quasi per cominciare. Hey Joni svela la vena psichedelica del gruppo, Providence è un ipotetica chiamata telefonica attraversata da un pianoforte psicotico e dalla distorsione delle chitarre e Candle…cosa dire di Candle. Probabilmente una delle canzoni più conosciute dei newyorkesi, il titolo che tutti i fan conoscono. Candle è la summa della chitarra di Ranaldo, una composizione malinconica che richiama la copertina dell’album (entrata con diritto tra le migliori di sempre, una candela su sfondo scuro, una debole luce nell’oscurità). Rain King porta la stratificazione delle chitarre al massimo, attraversata da feedback oscuri e un ritmo forsennato. Ed eccoci arrivati alla conclusione. L’ultimo lato. Da qui, finisce e comincia tutto. La tempesta finalmente si può abbattere all’interno del nostro sistema uditivo.

 

Sonic Youth 4

 

E lo fa immediatamente con Kissability, in cui Kim Gordon ci ammalia con un canto eccitato per poi farci colpire da un riff indimenticabile, forse tra gli accordi migliori dell’album, i più potenti. E infine ci ritroviamo in alto mare, assaliti da onde sonore troppo alte, onde che hanno forgiato la storia del noise rock. Trilogy è l’ultima composizione dell’album, un finale provocatorio e nichilista. Le tre parti da cui è composta (in tutto circa un quarto d’ora di puro delirio) si suddividono in The Wonder, ballata alienante che fa venire le vertigini, Hyperstation, un incubo che si aggira nella psiche collettiva per concludersi con l’hardcore di Eliminator Jr. E poi? E poi solo silenzio. Il silenzio che attanaglia la stanza una volta concluso Daydream Nation è quasi insopportabile. Fortunatamente il seme di questo album sarà raccolto in seguito da grandi gruppi, contribuendo notevolmente alla nascita del movimento grunge (Kurt Cobain ha sempre annoverato i Sonic Youth tra i gruppi che hanno avuto la maggiore influenza per i Nirvana). Ma rimane sempre una sensazione, nettissima, che questo, sia stato l’ultimo vero grande album della storia del rock, l’ultima vera perla (Nevermind permettendo). E una volta finita questa esperienza, perché l’ascolto di Daydream Nation lo è, non esisterà nient’altro. Capolavoro. Play it fucking loud.

 

Ps – attenzione, nuoce gravemente all’udito!