I Death in Vegas sono uno dei gruppi simbolo della nuova musica electro-rock.

Bisogna proprio chiamarsi Fearless (coraggioso) per formare un gruppo come i Death In Vegas. Una band che in poco più di 15 anni di carriera sforna 6 album muovendosi tra una quantità spropositata di generi senza perdere mai un colpo. Anzi, spianando la strada ad una nuova cultura musicale che unisce un’etica (lontanamente) punk all’elettronica, alla psichedelica, alla dub, all’ambient, al rock puro e a molto altro ancora. Un folle pastiche che fa incontrare i Kraftwerk e i Massive Attack, i Can e gli Stooges, i Primal Scream e i Chemical Brothers.

 

Ma perchè, a 5 mesi di distanza dal loro ultimo album, si torna a parlare dei Death In Vegas?

Tutto nasce dal messaggio di un amico che mi chiede informazioni su un certo gruppo che sarà ospite al Mira Festival di Barcellona, una delle iniziative che rendono la città catalana una delle più interessanti d’Europa (si svolge dal 10 al 12 novembre al Fabra i Coats).

Il messaggio contiene questa domanda, secca:

“Cosa ne pensi dei Death In Vegas?”

Istantaneamente collego i ricordi al lontano 1999, anno di uscita di Contino Sessions, e capisco che la mia risposta non sarà corta come il quesito.

 

Perchè risalire alla prima adolescenza con memorie musicali è sempre qualcosa di speciale, quasi paragonabile alla sottile malinconia che avvolge i ricordi del primo amore. Ti costringe ad andare a ritroso nel tempo, sino ad arrivare ad un momento che è collegato ad una canzone.

 

Quella canzone è Dirge, ed il momento è l’inizio dei Duemila che si fa inesorabile. MTV si avvicina alla sua fine e Kurt Cobain si è tramutato in “memoria”, lasciando orfana un’intera generazione. Eppure c’è questa canzone che riesce a colpirmi, mi entra in testa.

 

 

Ma rimane senza un titolo, senza un gruppo da proclamare. Solo anni dopo, grazie al caso, riconoscerò in questa Dirge i Death In Vegas. Ed anche se verrò a conoscenza della sua imbarazzante somiglianza di Another Reason dei Five Or Six, fa lo stesso.

 

Londinesi e formati nel 1994, i DIV sono un duo composto da Richard Fearless e Steve Hellier. Due ragazzi che di musica ne hanno ascoltata un bel pò, e questo si capisce subito dal loro album di esordio, Dead Elvis (quello che inizialmente doveva essere il nome della band) del 1997.

Qui i due inglesi suonano come dei Primal Scream fatti di oppio, deflagrando improvvisamente in un big beat post-Elvis Presley.

Un Elvis che appare sin da subito nella copertina del disco, moltiplicandosi in un graffito come se fosse un miracolo divino.

Si intravedono già i primi sprazzi di genialità con grandi canzoni come I Spy (dei Beatles in fuga dall’orgia indiana che incontrano Amon Tobin) e Rematerialised. Elvis è morto, ma può riposare in pace.

 

Il lavoro successivo è The Contino Sessions, quello che rimane senza dubbio il loro album migliore. Con ospiti di eccezione quali Bobby Gillespie (nella bellissima Soul Auctioneer, ballata lisergica ed oscura dal testo quasi Burroughsiano), Iggy Pop e Jim Reid dei Jesus And Mary Chain, sicuramente un’altra fonte di ispirazione per il lato più electro-noise dei DIV. Il disco suona quasi come un post-punk di matrice elettronica, sfornando grandi tracce come Lever Street e la famosa Dirge.

 

Nel 2002 è il turno di Scorpio Rising (titolo che rimanda all’omonimo cult del cinema sperimentale di Kenneth Anger), che conta per l’ennesima volta la collaborazione di grandi nomi come Liam Gallagher, Dot Allison e niente meno che Hope Sandoval.

In questo album l’idea di rock elettronico dei DIV non fa altro che rafforzarsi, lasciando spazio anche ad atmosfere più sognanti (23 Lies, Killing Smile e Diving Horses). Ma la canzone per cui verrà ricordato maggiormente Scorpio Rising si basa nuovamente (come in Dirge) nella catarsi di un coro femminile. Si tratta di Girls, presente anche nella colonna sonora di Lost in Translation, film di Sofia Coppola.

 

 

Nel successivo Satan’s Circus (2004) non appaiono ospiti speciali. Tutto viene lasciato al canto delle macchine, avvicinando i Death In Vegas a dei Kraftwerk degli anni 2000. In questo circo satanico c’è spazio anche per uno degli esperimenti più techno del gruppo, Black Lead, mentre il resto dell’album scorre come gocce di Xanax, mostrando in tracce come Heil Xanax e Anita Berber l’incredibile capacità dei DIV nello scrivere musica strumentale. Un talento che è quasi un marchio di fabbrica per il duo britannico.

 

Intanto Steve Hellier abbandona il gruppo, lasciando a Richard Fearless la responsabilità di portare avanti questa grande carriera con Trans-Love Energies, un album malinconico che ripercorre il loro passato e l’ultimo Transmission. Le intuizioni dei tempi che furono sembrano essersi affievolite, ma canzoni come Lightning Bolt(che fa pensare tanto al predominio del basso in The Outback di Rik L Rik e al post-punk quasi dance dei Liquid Liquid) e Mind Control lasciano ben sperare per il futuro di questo grande calderone elettro-dub-rock conosciuto come Death In Vegas.

 

Tutto sommato credo che tirerò corto e risponderò così all’amico:

“Cosa ne penso dei Death In Vegas? Penso che siano straordinari”

Ed ora saranno al Mira Festiva di Barcellona a condividere la loro musica essenziale, geniale. Beato chi ci sarà.